Viva il Tar che ha bocciato l’inglese al Politecnico

Editoriale

Viva il Tar che ha bocciato l’inglese al Politecnico. Ma l’italiano resta uno sconosciuto nei nostri atenei
Bocciata l’introduzione dell’inglese come lingua esclusiva di insegnamento, per fortuna i docenti si sono ribellati e hanno fatto ricorso, vincendo.

Simonetta Bartolini

Finalmente una buona notizia! Il TAR ha bocciato la "rivoluzionaria" stupidaggine del rettore del Politecnico di Milano. Giovanni Azzone, questo il nome del "magnifico"- in accordo con un altro "genio" della cultura, l'ex ministro Profumo che nel dicastero di sua competenza ha fatto più danni della grandine -aveva stabilito che dal 2014 nella prestigiosa università milanese si insegnasse esclusivamente, sì proprio ESCLUSIVAMENTE, in inglese.
Dall'ingegneria alla storia dell'arte, dalla fisica alla letteratura italiana, secondo questo "innovatore" di provincia i professori universitari avrebbero dovuto insegnare solo in inglese.
Francamente quando uscì la notizia non la prendemmo in considerazione pensando (ah, come siamo ingenui! ) ad una provocazione magari fatta ad arte per esortare gli studenti a non trascurare lo studio di una lingua di comunicazione internazionale come l'inglese.
Non pensavamo possibile che il rettore di un'università italiana, in Italia, potesse credere veramente di imporre come esclusiva la lingua inglese nel proprio ateneo.
Non ci sfiorava neppure il sospetto che uno, diventato rettore, ignorasse le disposizioni costituzionali (alle quali il TAR si è richiamato nell'accogliere il ricorso di un centinaio di docenti inferociti e indignati) in materia di tutela della lingua nazionale
Non potevamo assolutamente concepire che una proposta tanto idiota fosse reale.
E invece non solo era reale, ma questo signore, che a questo punto ci costringe a chiederci in forza di quale merito culturale sia giunto alla guida di un ateneo italiano, aveva già avviato una serie di corsi accelerati di inglese per i docenti, con tanto di valutazione in itinere!
Non si tratta solo della obbligatoria e costituzionale difesa e tutela della lingua nazionale che il suddetto ha bellamente ignorato. Faccenda già grave! Quel che è più vergognoso, dal punto di vista culturale, sta nel ridurre l'insegnamento universitario ad una mera trasmissione di nozioni, nozioni che, semplificate nella forma della comunicazione in una lingua che non sia la propria, potrebbero ancora vagamente ( ma non è detto, in proposito dovrebbero esprimersi i diretti interessati) essere accettabili per materie tecniche come la matematica, la fisica, l'ingegneria.
Mentre il mero insegnamento nozionistico a livello universitario è improponibile per tutte le discipline umanistiche.
La letteratura italiana, la storia dell'arte, la Storia, la filosofia, ma anche la giurisprudenza necessitano di una comunicazione che sappia trasmettere non tanto la mera nozione (Leopardi è nato a Recanati si può anche dire in inglese), ma un pensiero complesso in forma non banale e neppure incomprensibile, che risulta da una lunga e approfondita frequentazione della lingua nella quale un professore si è formato è ha lavorato.
Non si può improvvisare in una lingua che non sia la propria, per quanto ben padroneggiata, l'esposizione e l'approfondimento del concetto di "persuasione e rettorica" di Michelstaedter. Nello stesso modo l'esimio rettore, che ignora evidentemente tutta la poesia italiana e non solo, dovrebbe illustrarci come si possa spiegare il Paradiso dantesco in inglese, o come si dovrebbe parlare della sinestesia, dell'onomatopea, o del fonosimbolismo pascoliano .
Per non dire della storia dell'arte il cui lessico ha origini italiane, così un professore italiano dovrebbe fare come in certi ridicoli documentari di History Channel trasmessi in Italia, dove a proposito di vicende italiane viene intervistato un esperto italiano, sulla sua voce viene mandata, nell'originale americano, la traduzione in inglese, e quando viene trasmesso da noi, invece di far ascoltare l'audio originale in italiano, si procede ad una ulteriore traduzione della traduzione con un effetto surreale e patetico.
Ecco, i professori di storia dell'arte dovrebbe fare così secondo l'esimio rettore.
Per una volta viva il TAR , viva la magistratura amministrativa che ha impedito uno sconcio insopportabile in un'Italia già vergognosamente inginocchiata di fronte alla cultura anglosassone, in un'Italia provinciale e patetica che sembra vergognarsi della propria grandezza culturale, della propria storia.
Un'Italia che non sa sfruttare il proprio patrimonio artistico e lo lascia andare in rovina, come lascia che nei nostri atenei si riducano le ore di letteratura italiana a favore dell'insegnamento della lingua italiana ignorando (ma chi solitamente dirige ignora le basi della conoscenza) che la lingua si apprende leggendo, leggendo, leggendo.
Leggendo i grandi classici, o i nuovi narratori, si assimila il lessico, ci si impadronisce del valore semantico delle parole, si impara ad usarle nei giusti contesti, non basta far ricorso ad un apprendimento nozionistico come quello peraltro importante ma non esclusivo, della tecnica linguistica, occorre leggere, imparare a analizzare un testo.
Nessuno darebbe la patente per la guida di un'automobile a chi avesse fatto solo lezioni teoriche, anche se dimostrasse di avere bene in mente tutte le nozioni possibili e immaginabili su come usare freno frizione e cambio, sulla guida nel traffico, e sulla tecnica del parcheggio.
Si impara a guidare con l'esperienza di guida, e perché questo non deve valere anche per la lingua italiana?
Perché dovremmo laureare, per esempio, interpreti e traduttori che non sanno padroneggiare la lingua italiana (nella quale. Dalla quale dovrebbero tradurre) avendola poco frequentata nel loro corso di studio?
Già ma questa è l'Italia, dove rettori, dall'atteggiamento più provinciale di una beghina di paese, vogliono anglicizzare i nostri atenei e dagli studenti si pretendono competenze che non potranno mai avere se i corsi di studio non saranno adeguati.

http://www.totalita.it/articolo.asp?art … &sezione=1

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