Vecchia Europa


«Esiste solo una buona, vecchia Europa
Senza di noi non si può vincere la pace»


Gerhard Schròder è il primo cancelliere tedesco a prendere parte alle cerimonie per la commemorazione dello sbarco del 6 giugno 1944. Nel 1994, all'epoca del 50° anniversario, Helmut Kohl aveva rifiutato l'invito di Francois Mitterrand. Poiché suo fratello era stato ucciso sul fronte di Normandia e lui stesso, a malapena sedicenne, era stato chiamato alle armi in occasione degli ultimi combattimenti del 1945, il cancelliere della riunificazione aveva giudicato preferibile attendere la generazione successiva. Quella dei tedeschi nati troppo tardi per conoscere la guerra. Quella di Gerhard Schròder, nato due mesi prima dello sbarco.
Prima di lei, nessun cancelliere tedesco aveva partecipato alla commemorazione dello sbarco in Normandia. Questo invito si spiega con il fatto che la sua generazione è la prima a non aver conosciuto la guerra? O la Germania ha ritrovato la propria innocenza?
«La questione non va vista in termini personali. Io sono invitato in veste di rappresentante politico della Germania, che è profondamente democratica. Con la Francia condividiamo un medesimo, fondamentale obiettivo: offrire una prospettiva all' Europa. Ecco il senso di questo generoso invito, da parte mia assai apprezzato. Non si tratta di negare la responsabilità o la colpa. La memoria del passato deve restare viva se si vuole costruire un'Europa pacifica».
In Normandia lei visiterà un cimitero militare britannico. Perché non quello tedesco?
«Non capisco il dibattito che si è aperto in Germania su questo punto, e che rispecchia linee di divisione politica. Ranville è un cimitero internazionale in cui riposano soldati di otto nazioni, trecento dei quali tedeschi. Per me, si tratta di commemorare tutti coloro che sono caduti a causa della crudeltà di Hitler: in Normandia e su tutti gli altri fronti. Come mio padre, che ha trovato la morte in Romania. Le cerimonie devono dimostrare che questi morti appartengono a tutti».
Sulle spiagge della Normandia la Germania è stata battuta, ma anche liberata. Come spiegare allora il fatto che i tedeschi abbiano continuato a battersi con tanto accanimento per quasi un anno?
«Ciò è dovuto alla natura criminale e totalitaria del regime. La pressione esercitata sulla società civile era terribile. Durante lo stesso anno si verificarono anche atti di resistenza in tutti gli strati della società, ma tale resistenza finì con l'arenarsi. Per far cadere il regime nazista occorreva un intervento esterno».
L'America che ha invaso l'Iraq è ancora lo stesso generoso Paese del 6 giugno 1944?
«Ne sono convinto. Nonostante tutto ciò che è doveroso criticare a proposito della guerra in Iraq, nonostante ciò che si è appreso sulle torture, la forza della democrazia americana non è stata intaccata. Washington si è immediatamente data da fare perché i fatti venissero alla luce. Il processo di autocritica è stato rapido e notevole, non si può dubitare della democrazia americana. Ma le obiezioni mosse da Francia e Germania, Paesi che condividono gli stessi valori degli Stati Uniti, sono legittime. Nella cooperazione fra partner democratici, la critica solidale deve essere sempre possibile».
Al di là dell'Iraq e del raffreddamento fra Berlino e Washington, la spaccatura che si è venuta a creare fra Stati Uniti ed Europa esprime due visioni opposte del mondo?
«Anche se ci sono state due visioni diverse, il multilateralismo e l'unilateralismo, mi sembra in ogni modo evidente che noi dipendiamo gli uni dagli altri. Gli americani hanno capito che si può vincere la guerra da soli, ma che per raggiungere la pace occorrono l'Onu ed i partner dell'Alleanza. L'Europa ha l'obbligo di contribuire alla stabilizzazione di questa regione. L'Iraq ricopre un ruolo-chiave e ciò che conta adesso sono la sua stabilizzazione e democratizzazione. Il contrasto sull'opportunità dell'intervento, che ci ha diviso dagli Stati Uniti, appartiene al passato, è già storia. Ora si tratta di garantire il futuro, quindi la stabilità dell'Iraq. La Germania non invierà i suoi soldati ma darà un contributo alla creazione delle forze di sicurezza irachene. E aiuterà il futuro governo di Bagdad anche sul piano finanziario».
Dopo l'allargamento, esiste davvero una sola Europa? O è valida la distinzione fra una «vecchia» Europa, gelosa della propria indipendenza, e una «nuova», asservita all'America?
«Non esiste altro che una buona, vecchia Europa. I nuovi membri dell' Unione sono vecchi europei, poiché tutti condividiamo la stessa cultura. Non credo dunque a questa distinzione fra nuova e vecchia Europa, che è quella di Donald Rumsfeld… Non saprei neppure più dire chi l'abbia inventata. Però, da allora, il suo autore ha compreso che questa distinzione non era ragionevole».
A fine giugno c'è il vertice della Nato a Istanbul. L'idea americana di un «Grande Medio Oriente» presuppone anche l'allargamento della zona d'intervento dell'Alleanza. E' favorevole all'invio delle truppe Nato in Iraq?
«Quando si parla di Grande Medio Oriente, bisogna fare attenzione perché i Paesi musulmani non abbiano l'impressione che l'Europa e gli Stati Uniti vogliano imporre il loro modello democratico. Questo progetto non può riuscirà se il processo delle riforme non si produce nella regione stessa. Quanto al ruolo della Nato in Iraq, dubito che possa portare a un incremento di sicurezza. Premesso che si sono già dei Paesi Nato in Iraq, la Germania non bloccherà il vertice di Istanbul: ma un ruolo della Nato mi sembra difficile».
Cosa deve contenere la risoluzione sull'Iraq presentato da America e Gran Bretagna perché la Germania lo giudichi favorevolmente?
«Il testo all'esame descrive un percorso ragionevole. La discussione a New York, alla quale partecipano pure i rappresentanti del governo di transizione, si fonda su due argomenti centrali: la durata del processo di trasferimento della sovranità e il grado di influenza che gli iracheni eserciteranno sulle azioni militari. Francia e Germania concordano rigorosamente le proprie linee e agiscono in cooperazione con altri. Io sono convinto che si troverà una soluzione a entrambe le questioni».
Perché l'Onu ritrovi la propria forza, la riforma di Kofi Annan dovrà passare attraverso la riorganizzazione del Consiglio di sicurezza e l'attribuzione di un seggio permanente alla Germania?
«Il dibattito è in corso. Il nucleo centrale della riforma Annan è la riorganizzazione del Consiglio di Sicurezza. Per rafforzarne la legittimità si rende necessaria una migliore rappresentatività. Una volta portata a compimento questa riforma, mi parrebbe ragionevole e opportuno che la Germania presentasse la propria candidatura. Insisto comunque sulla necessità che venga rispettato l'ordine cronologico: prima di attribuire un seggio permanente alla Germania, l'Onu dovrà portare a compimento la propria riforma».

Charles Lambroschini
Pierre Bocev
Le Figaro /Agenzia Volpe
(Traduzione di Paola Teresa Rossetti)

Corriere della sera, 06.06.2004, p.5

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