Il Segretario del Tesoro Mnuchin a Gualtieri (e agli omologhi di Francia, Spagna, Regno Unito): illegittime le tasse su Google, Amazon e Facebook.
Un nuovo giro di dazi statunitensi sui produttori del made in Italy e di vari altri Paesi europei si sta profilando già all’orizzonte, mentre fra le due sponde dell’Atlantico si avvicina la rottura sulla tassazione dei colossi del Big Tech. Una settimana fa il segretario al Tesoro americano Steven Mnuchin ha scritto al suo pari grado italiano Roberto Gualtieri e ai suoi colleghi di Francia, Gran Bretagna e Spagna. L’obiettivo dell’ex banchiere di Goldman Sachs era imprimere un deciso colpo di freno alle trattative sul modo in cui potranno essere tassati sulle attività europee grandi gruppi basati negli Stati come Google, Amazon o Facebook. La minaccia fra le righe della lettera di Mnuchin a Gualtieri e agli altri ministri è però quella di una ritorsione commerciale se Italia, Francia, Spagna e Gran Bretagna non faranno un passo indietro sui prelievi a carico delle Big Tech decisi nelle leggi di bilancio già in vigore quest’anno. Nel documento riservato di Mnuchin, che il Corriere pubblica in questa pagina, i toni sono ultimativi. «Abbiamo messo in chiaro che ci opponiamo all’adozione di misure che si concentrano solamente su aziende digitali, soprattutto su servizi digitali su base lorda che ricadono in prevalenza a carico di imprese statunitensi».
Per il momento, invece, è esattamente quanto sta accadendo. I quattro governi europei hanno già fatto scattare le loro «web tax», nel caso dell’Italia e di altri Paesi su base lorda: il prelievo riguarderà il 13% del fatturato su servizi digitali – dalla pubblicità, all’e-commerce, all’uso dei dati – a carico di gruppi di dimensioni significative. Così i quattro governi europei cercano di ricomporre le paradossali distorsioni emerse negli anni scorsi: trasferendo i propri profitti registrati in tutta Europa, Medio Oriente e Africa verso l’Irlanda, Google per esempio in alcuni degli scorsi anni è arrivata a pagare un’aliquota dello 0,2%; quanto a Apple, un’indagine della Commissione Ue ha messo in luce che il prelievo concentrato in Irlanda sui profitti europei nel 2014 era dello 0,005%. L’ingranaggio delle «web tax» di Francia e Italia era però congegnato in modo da lasciare spazio al negoziato con l’amministrazione Trump, perché prevede che le Big Tech saldino solo nel 2021 gli oneri fiscali maturati quest’anno. Durante l’interludio, sulle due sponde dell’Atlantico si era cercato di negoziare un compromesso a due corni sostenuto dall’Ocse di Parigi: l’amministrazione americana avrebbe potuto avere maggiori diritti di prelievo su certi proventi dei gruppi europei del lusso maturati negli Stati Uniti e tutte le democrazie avanzate avrebbero lavorato in vista della definizione di aliquote minime sulle imprese che debellino gli stratagemmi dei paradisi fiscali. Ora la lettera di Mnuchin fa saltare tutto e torna a far pesare la prospettiva di ritorsioni commerciali per le «web tax» già varate dall’Italia e dagli altri tre governi. L’amministrazione «non crede che il 2020 sia il momento adatto per condurre queste trattative», scrive il segretario al Tesoro. «In questo momento i governi in tutto il mondo dovrebbero concentrarsi sui problemi economici che derivano da Covid-19». Poi l’affondo: «Gli Stati Uniti non sono in condizioni di concordare, neanche su base transitoria, cambiamenti a regole fondamentali che finiscano per tassare più pesantemente solo un gruppo limitato di aziende in prevalenza americane. Nel frattempo gli Stati Uniti restano contrari a tasse sui servizi digitali e altre simili misure unilaterali».
Infine Mnuchin passa alla minaccia esplicita di dazi e sanzioni commerciali: «Se i Paesi scelgono di riscuotere o adottare tali tasse, gli Stati Uniti risponderanno con appropriate misure di pari importo». Nei prossimi giorni Gualtieri con il collega francese Bruno Le Maire, quello britannico Rishi Sunak e la spagnola Maria Jesús Montero risponderanno con una lettera comune. Ma è già chiaro che non potranno rinunciare a misure già legiferate, né a entrate di bilancio già attese, adesso che l’amministrazione americana fa saltare il negoziato e cerca di intimidire gli europei. È dunque concreta la possibilità che la Casa Bianca pubblichi nei prossimi mesi la lista di una serie di prodotti italiani, francesi, britannici e spagnoli che verrebbero colpiti se i quattro Paesi incasseranno all’inizio del 2021 la «web tax» maturata quest’anno.
A Trump in fondo questi venti di guerra commerciale fanno comodo. Per la sua rielezione a novembre, ha bisogno di vincere i collegi elettorali in Florida, Michigan, Pennsylvania e Wisconsin e minacciare dazi contro i concorrenti esteri dei produttori industriali e agricoli di quei quattro Stati federali può sempre portargli qualche voto in più.
Federico Fubini | Corriere della Sera | 21.06.2020