“In Europa tutto è rallentato, stanco e paralizzante, anche le energie più giovani e vitali, esattamente per la mancanza di una cultura originale europea… Ed oggi assistiamo annoiati, dopo il remake della pittura antica e di quella moderna, anche al remake del Concettualismo. Segno chi la questione non era e non è quella di pittura/sì pittura/no, bensì quella di un totale neoeclettismo di fine novecento, dove tutte le direzioni sono possibili e valide e dove pertanto tutto è fermo, annaspante, cadaverico”. Così tuona Giorgio Pagano, architetto e artista trentaseienne che da dieci anni impegna le sue energie nella costruzione di una cultura europea sovranazionale come condizione per la più ampia unità politica e sociale. Pur condividendo la critica alle avanguardie degli anni Settanta, Pagano si distanzia radicalmente dalle soluzioni della Transavanguardia e dell’Anacronismo, che attacca senza mezzi ermini. Al loro cinico e reazionario ripiegamento storicistico, contrappone, ‘infatti, un’arte fortemente progettuale e progettata, affatto “autonoma”, dove i oggetti e la loro resa formale sono finalizzati all’unico obiettivo dell’unità europea. Un artista che osa dunque, in tempi così permissivi e neutralizzanti ogni autentica energia creativa, prendere posizione in modo polemico, unilaterale, irriducibile. Più arduo, forse, è orizzontarsi nella pluralità degli esiti pittorici, spesso confusi, a volte sovraccarichi, altre volte meccanicamente traspositivi. Frutto comunque di un’elaborazione critica dell’intero patrimonio storico, letto come vitale “esempio di organizzazione del caos”. “S. Augustini”, frontale e ieratico come nella tradizione, si staglia sul fondo di lamiera, ferro e quarzo plastico e reca, nella mano sbalzata in ottone, una fotocopia di quel brano del “De Civitate Dei” che attribuisce alle lingue oltre che alle guerre la causa di divisione tra gli uomini. Sul tema della lingua – oltre che nel movimento federalista Pagano milita in quello esperantista – è centrato anche “Cicero, Dante, Zamenhof” dove dal multistrato di fondo emergono i volti in fórmica di coloro che si sono battuti per evolvere la lingua dal greco al latino al volgare fino all’esperanto. Lucio Fontana è maestro indiscusso anche per Pagano. In “Luce Fontana”, sorta di dittico verticale, il taglio luminoso della tela è sovrastato dallo scritto, in forma di taglio su carta per elaboratore, in cui il maestro spazialista rivendica indignato, conversando con Carla Lonzi, il primato delle sue invenzioni contro il tentativo di appropriazione da parte degli americani. Si tratta in genere di opere di piccolo formato, decisamente figurative dove il messaggio non è però immediatamente decifrabile e dove la tecnica, elaborata e stratificata, rifugge l’unicità della pittura ad olio. Mutua poi spesso dall’architettura l’idea della “tensotela” il cui uso porta ad una rinnovata organizzazione delle immagini nel quadro e del quadro nello spazio architettonico”, flessibile, adattabile allo spazio, facilmente rimuovibile. “Il tavolo dell’unione” che qui presentiamo, dell’84-’87, affronta direttamente il tema della costruzione dell’unità europea. A differenza delle opere precedenti, il linguaggio si fa più serrato, efficace ed incisivo. “Un canto dell’edificazione armonica e musicale della città, del suo costruirsi unitariamente nella varietà”, come nel mito di Anfione che titola l’intero ciclo. Si parte dalle operazioni costruttive preliminari come lo sterramento, l’impasto del cemento e la forgiatura del ferro, per giungere, attraverso “La Torre d’amore”, questa Antibabele che si incunea nel terreno ed il dittico dedicato a Dante e Giotto fondatori della cultura umanistica, al “Plinto di fondazione” dove il cubo è leggermente slittato rispetto al trapezio e dove i 4 ferri azzurri, di dimensione asimmetrica, sono, in omaggio a Beuys, in foggia di bastoni. In cemento verde, esso regge il tavolo di ferro azzurro circondato da semplici sgabelli dalle gambe policrome che, anziché ancorarlo a terra, lo librano come un satellite in orbita. Con estrema onestà e modestia è lo stesso Pagano, a conclusione del ciclo di saggi teorici “Arte e critica dalla crisi del concettualismo alla fondazione della cultura europea”, a rispondere con una martellante sequenza di stimolanti quesiti alla perplessità circa lo scarto tra forza dei contenuti ed esiti ancora alla ricerca di una direzione: “Come andranno ripensate la ritrattistica, le figure, lo spazio? In che modo, attraverso l’uso di quali materiali, si può rendere questa forte contemporaneità riconquistata, accanto ai grandi esempi degli Antichi? Ed anche gli Antichi ed il loro spazio come andranno riletti visivamente? Ed il nocciolo linguistico non porterà ad una forte immissione di ‘scritturalità’ nello spazio visivo guidandoci verso un ripensamento creativo della lezione islamica? E non sarà possibile una figura rinascimentale che raccordi in sé, nuovamente, pittura-scultura-architettura?” Una partita tutta da giocare.
Ada Chiara Zevi
L’architettura. 421 n.11/novembre 1990, in occasione della mostra “Principiando la città di Anfione”.