Tv cinese in lingua araba

I trucchi del regime per rifarsi un’immagine

La tv cinese parla arabo. Parte la lunga marcia verso l’islam

La rete di Stato lancia un canale per il Medio Oriente: «Contro i pregiudizi dei media stranieri, ecco la nostra verità»

di Marta Allevato

La Tv ci salverà. Avranno pensato così a Pechino, nell’avveniristica sede della Cctv, l’emittente di Stato, quando ieri è stato lanciato il nuovo canale in arabo con lo scopo dichiarato di mostrare al Medio Oriente e ai Paesi del Nord Africa la «vera Cina». Che poi sarebbe quella approvata dal regime; quella dello sviluppo economico e della «società armoniosa», contro quella del regime e della censura diffusa dai media internazionali, sempre «prevenuti» verso l’ex Celeste Impero.

La Cctv conta già quattro canali internazionali che trasmettono in cinese, inglese, francese e spagnolo. Il canale arabo, che potrà contare su uno staff di circa 80 persone, trasmetterà 24 ore su 24 notizie, intrattenimento e programmi educativi rivolti a un’audience potenziale di circa 300 milioni di persone in 22 Paesi. Gli speaker saranno cinesi che parlano arabo. A spiegare l’iniziativa è lo stesso vicepresidente della China Central Television, Zhang Changming: «E imperativo per noi essere un’emittente plurilingue, sfaccettata e con più punti di vista. Speriamo che il mondo possa conoscere la Cina e la Cina possa conoscere il resto del mondo sempre meglio». La linea editoriale? «Essere reali, oggettivi, accurati e trasparenti» spiega Zhang. Peccato sia difficile da credere per un Paese dove la censura è sistema e la libertà d’espressione un traguardo che sembra solo allontanarsi. Basta ricordare che l’anno scorso, dopo le rivolte e la repressione in Tibet, Pechino aveva lanciato una campagna contro le falsità dei media stranieri. Nello stesso periodo alcuni corrispondenti esteri hanno ricevuto minacce di morte.

L’iniziativa della Cctv è solo una parte di un programma più ambizioso, che punta a promuovere l’immagine della Cina nel mondo attraverso i media nazionali, di cui il regime ha il controllo quasi completo. L’idea è anche quella di incrementare gli uffici di corrispondenza all’estero dell’agenzia di stampa ufficiale Xinhua, che già ne conta oltre 100. Già lo scorso aprile il quotidiano in cinese Global Times ha inaugurato un’edizione inglese. Sconosciuti i costi dell’iniziativa. Secondo il giornale di Hong Kong South China Morning Post, Pechino punta a investire l’equivalente di 4.6 miliardi di curo nello sviluppo della sua rete informativa. Il Medio Oriente e il bacino Mediterraneo non sono mai stati punti nevralgici della strategia internazionale cinese. Per questo, la campagna alla conquista dell’islam non si spiega solo come un’operazione di maquillage. E in atto un rinnovato attivismo della Cina nel mondo arabo che si presenta come un insieme di interessi economici, espansionismo politico e necessità di sicurezza. La crescita economica ha costretto i vertici del Partito comunista a rivedere la propria politica energetica aprendosi alle importazioni di petrolio dai Paesi mediorientali. Oggi Iran e Arabia Saudita riforniscono di oro nero il gigante cinese per quasi due terzi delle sue importazioni totali.

Il prossimo obiettivo della Cctv? Un canale in russo. Guarda caso altra frontiera dell’approvvigionamento energetico.

(Da Il Giornale, 26/7/2009).

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