Salvo sorprese Parigi dirà si all’apertura dei negoziati
Turchia in Europa, La Francia sceglie il rinvio
Il dibattito in Parlamento dopo le minacce di veto del presidente Chirac
L’ambasciatore turco ironizza: “E pensare che da noi è ancora in vigore il codice napoleonico”
Di Cesare Martinetti, corrispondente da Parigi
Né l'Europa né la Turchia «sono pronte all'adesione». Con questa trovata dialettica che alla fine non è dispiaciuta a nessuno perché sostanzialmente dilatoria il primo ministro Jean-Pierre Raffarin ha disinnescato le trappole del dibattito parlamentare sull' ingresso di Ankara nell'Unione europea che negli ultimi giorni aveva assunto in Francia le forme di uno psicodramma secondo la nota formula che attribuisce ai francesi la straordinaria capacità di «teatralizzare» meglio di tutti i problemi di ognuno. Cio' significa che Jacques Chirac – salvo imprevedibili sorprese – nel Consiglio Europeo di dicembre dirà «sì» all'apertura dei negoziati tra Bruxelles e la Turchia, conservando pero' l'opzione di fermare in qualunque momento il processo.
Insomma la Francia non puà dire no, ma limiterà al massimo il peso del suo si'. Lo stesso presidente, qualche giorno fa, durante il viaggio in Cina era stato costretto a raffreddare il dibattito che andava troppo accalorandosi in patria annunciando da Pechino che Parigi si teneva a disposizione l'arma del «veto». Arma letale se si pensa all'effetto che ne ha avuto il semplice annuncio nel dibattito all'Onu sulla guerra in Iraq.
In questo caso la situazione è diversa. Chirac è sempre stato favorevole all'ingresso della Turchia nell'Unione europea, per convincimento personale e per ragioni di opportunità politica, specie a riguardo dell'asse con la Germania (il cancelliere Scrhoeder è il grande sponsor di Ankara) che non puo' essere messo in causa dalla pur importante questione turca. Ma il presidente è stato costretto ad ammorbidire la sua posizione da un crescendo irresistibile del sentimento anti-turco in Francia. Soprattutto dentro il suo partito, 1'UMP. Un centinaio di deputati hanno chiesto un dibattitto all'Assemblée unendosi alla richiesta degli scomodi alleati centristi dell'UDF, decisamente contrari. Divisi – come quasi su
tutto – i socialisti che alla fine si sono rivelati i migliori alleati del primo ministro Raffarin nel galleggiamento sull'ambigua formula del «né noi né loro siamo pronti all'adesione».
E cosi' ieri dall'attesissimo dibattito parlamentare conclusosi senza voto (perché essendo la Francia una repubblica presidenziale, la competenza della politica estera è costituzionalmente affidata al presidente) il governo ne é uscito senza troppi danni annunciando che la posizione francese nel negoziato europeo sarebbe stata quella di mantenere aperte fino alla fine le due opzioni: o adesione o partenariato privilegiato. La Francia dunque non si impegna a sostenere l'ingresso della Turchia nell'Unione, ma a seguire passo passo i negoziati e a decidere solo alla fine se il miglior modo di unire la Turchia alla UE sarà una «adesione» o un semplice «partenariato». Il brodo turco sarà molto annacquato a Parigi per evitare un'idigestione.
Il paradosso di questa storia è che il paese che per rispetto dei suoi principi «repubblicani» e laici non ha voluto il riferimento alle «radici cristiane dell'Europa» nel preambolo della Costituzione europea è entrato in tilt con se stesso nella prospettiva che un grande paese musulmano entri nella UE. E il fatto che la Francia sia anche il paese europeo con la più alta comunità musulmana (oltre cinque milioni di persone) non è certo un caso. Nel detto e soprattutto nel non detto di questo dibattito è come se la Francia avesse tirato fuori tutte le sue paure e le sue reticenze di fronte all'ingombrante massa dei suoi musulmani.
L'ambasciatore turco a Parigi, Uluç Özülker, che in questi giorni s'è molto speso in dibattiti e interviste, l'ha detto chiaramente: «Il vero motivo di tutte queste reticenze è la religione, se la Turchia fosse cristiana non ci sarebbe nessun problema». Ed ha aggiunto con ironia: «Tanto più che la Turchia moderna è costruita sull'immagine della Francia. Siamo uno stato laico e le riforme di Ataturk non sono altro che la replica adattata della Rivoluzione francese. Da noi è tuttora in vigore il codice napoleonico…»
I francesi non hanno pero' riconosciuto questa affinità, anche se va detto che nel generalizzato «mamma-li-turchi» che s'è levato in questi giorni e che si è
espresso in forme diverse a destra e a sinistra, si riproduceva il malessere che ha oggi il paese nei confronti dell'Europa, cui viene attribuita la colpa di ogni difficoltà. Jacques Chirac per calmare il gioco ha comunque promesso che l'ultima parola toccherà ai francesi, attraverso un referendum, che si svolgerà alla fine dei negoziati tra Turchia e Unione Europea, vale a dire tra «dieci o quindici anni». In attesa bisognerà fare i conti con l'Europa, quella che c'è, senza la Turchia, ma con un sacco di problemi. E anche qui un altro referendum è all'orizzonte, forse per l'autunno 2005. In teoria si vota sul testo del trattato costituzionale elaborato a Bruxelles dalla Convenzione presieduta da Giscard d'Estaing; in realtà sarà un modo di misurare la temperatura del sentimento europeo dei francesi.