GIAN LUIGI BECCARIA
Non passa giorno che nelle cronache dei giornali non compaia un intervento, un’intervista, un’inchiesta, una notizia su quanto male va la lingua italiana: non la si sa più scrivere, non si governa più la sua sintassi, si fanno errori marchiani di ortografia. E poi c’è chi propone di insegnare il dialetto a scuola, in un Paese dove l’italiano come lingua di una nazione è stata una conquista lunga, faticosa e non ancora raggiunta!
A Torino, Facoltà di Medicina II, per l’a.a. 2009 – 2010 si è deciso di far partire un corso di lingua italiana, visto che le matricole non capiscono più quel che il professore dice a lezione. Qualche giorno prima di Natale abbiamo letto sui giornali che tutti gli iscritti al concorso per funzionario dell’ufficio Appalti di Orbetello sono stati respinti dopo la prova scritta a causa degli strafalcioni di ortografia, di sintassi, e incapacità assoluta di costruire un testo connesso e coerente. Nel febbraio 2010 sono stati bocciati per gravi errori di ortografia moltissimi aspiranti procuratori, ovviamente tutti laureati.
Già si stanno invocando rimedi di emergenza per recuperare un italiano accettabile: pronti interventi, pronti soccorso per la lingua, sotto forma di recuperi extrascolastici (ma come recuperare in tre mesi quello che un ragazzo non ha fatto in otto anni!). Curiosamente la riforma in cantiere per la Scuola Media Superiore ha in mente di ridurre di due ore l’insegnamento dell’italiano, mentre si dovrebbe ampliare lo spazio dedicato all’educazione linguistica.
Riconosco però che nell’attuale progetto di riforma per i Licei ci sono molte cose condivisibili. Per il primo biennio si insiste lodevolmente sulla produzione scritta, dove le carenze sono appunto più diffuse. Si torna a insistere sull’allestimento del testo, sulla sintassi del periodo, sull’uso dei connettivi, sull’interpunzione, e sul dominio del lessico astratto, e, quanto ai testi letterari, nel secondo biennio sull’analisi in particolare del lessico, a partire dalla pratica della spiegazione letterale, caduta in disuso.
Quanto alla letteratura, condivido appieno che non si abbandonino gli aspetti metodologici dall’analisi di un testo, ma che si metta da parte l’eccessiva insistenza sulle griglie interpretative, che hanno inflazionato i manuali, e possono compromettere il gusto della lettura, affidato alla sensibilità personale. Condivisibile anche la centralità (primo biennio dei Licei) dei Promessi sposi, testo (anzi, capolavoro) che continua a rappresentare un momento centrale dell’identità culturale e linguistica italiana.