Quando una "g" fa la differenza

Particelle elementari

Perché «negro» è parola da non usare

di Pieriuigi Battista

Caro Vittorio Feltri, si comprende l’insofferenza verso i dettami del politicamente corretto, per quella gabbia asfissiante di ipocrisie lessicali e di eufemismi sussiegosi che sfibrano un linguaggio e ne fanno un docile e insapore strumento al servizio di un nuovo dogma. Ma l’ostentazione per ben due volte del «negro» nel titolo di prima pagina del tuo Giornale rischia di trasformarsi in una spavalderia inutilmente offensiva. Anche se, sull’incresciosa vicenda di Rosarno, scrivi di volerli difendere, i «negri». Anche se le tue intenzioni sono opposte a quelle tronfiamente esibite dai nostri connazionali di Calabria che hanno promosso, con mazze e. fucili, una disgustosa «caccia al negro»: roba di cui vergognarci come italiani per il resto della nostra vita.

Dici che «negro» non è una parola tabù, basta consultare il dizionario della lingua italiana. Ma un dizionario non riesce a contenere tutti i sottintesi che caricano una parola o una definizione di significati emotivi e simbolici che non è giusto ignorare come se fossero solo la manifestazione di un insopportabile bigottismo linguistico.

I neri, gli uomini e le donne di colore, quelli che insomma hanno una pigmentazione scura della pelle, associano infatti quel nome, «negro» o nigger, a un passato di schiavitù e di umiliazione indicibili.

Se non era sempre e solo deliberatamente ingiurioso, «negro» racchiudeva in sé qualcosa di spregiativo, o di paternalistico (il «negro» era il nero buono e mansueto della «Capanna dello zio Tom» o la Mami di «Via di via col vento» una che nel doppiaggio italiano parlava proprio come una «negra»: «bovera zignorina Rozella») che conferiva a quel termine un valore implicitamente squalificante, anche a non voler pensare (con una certa fatica) a un’implicazione di tipo razzistico.

Potresti giustamente obiettare che Martin Luther King e persino Malcolm X facevano uso di quel termine. Ma era per rivendicare con orgoglio la loro «negritudine». Fatto sta che, dopo la grande stagione per i diritti civili, «negro» è diventato una definizione sgradita e sgradevole, il segno di una mancanza di rispetto o l’attaccamento a un retaggio di cui noi bianchi non dovremmo andare fieri.

Capisci bene, caro Feltri, che in questione non è il ridicolo degli «operatori ecologici» o dei «diversamente vedenti». Sui «negri» la storia è purtroppo molto diversa. E sarebbe sempre opportuno definire una persona nel modo in cui essa potrebbe riconoscersi in pieno. Se «negro» viene vissuto come un’offesa e una mancanza di riguardo, non si capisce perché non si debba attenersi a una semplice regola di cortesia: non costa niente. e, come tutte le manifestazioni della buona, educazione nella vita individuale e sociale, non è riducibile tout court all’ipocrisia. Perciò, la prossima volta, prova con «neri»: in fondo c’è solo una «g» di differenza.

Con immutata stima.

(Dal Corriere della Sera, 11/1/2010).

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