Quando si scherza con l’italiano
Tutto cominciò “lallando”…
E il gatto diventò pesce
di Carlo Donati
“Dal “Sarchiapone” ad “abracadabra” ai refusi del tipografo dell’Unità nel divertente dizionario di Giampaolo Dossena
Tutto cominciò lallando ma solo qualcuno prosegue e riesce poi a scempiare le geminate, magari dopo aver affrontato allotropi, leporeambi, pescegatti e draghi locopei in genere. Siamo, come si può faticosamente capire, nel mondo dei giochi di parole. “Lallare” è la forma più elementare, il gioco che facciamo a partire dai tre mesi di età, quando iniziamo ad esibirci in quella vasta gamma di teneri balbettii e farfugliamenti che sono propedeutici all’articolazione del linguaggio. “Scempiamente della geminata” è invece un gioco per adulti, insieme ad “allotropo”, “leporeambo”e “pescegatto”. Così ci racconta Giampaolo Dossena in un nuovo volume, “Il dado e l’alfabeto” (da Zanichelli), vero e proprio dizionario, il secondo, sull’argomento.
Dossena, come è noto, è un infaticabile studioso di letteratura italiana e dintorni, soprattutto i dintorni. I dintorni sono proprio i giochi di parole (e “I draghi locopei” ne sono l’anagramma, oltre che il titolo di un famoso libro che con Ersilia Zamponi, una ventina di anni fa, raccontò come insegnare l’italiano in modo facile e scherzoso).
I prodotti di Dossena sono sempre molto gradevoli e molto intelligenti. Ma è meglio non seguirlo troppo da vicino sul suo terreno a meno di non avere una discreta confidenza anche con indovinelli, anagrammi, crittografie, acrostici, sciarade, rebus, lucchetti e altri enigmi. Altrimenti ci si ritrova in un labirinto senza uscita e senza nemmeno la soddisfazione di capire da che parte si è entrati. Per esempio un esercizio che sembra innocuo è il gioco delle “aiuole”, parola nota per contenere tutte le vocali della lingua italiana. Si gioca scovando altre parole note con lo stesso contenuto. Ce ne sono circa quattromila. Ciò che non si deve fare è dar retta a Dossena quando, dopo avervi attirato nel tranello, aggiunge che in realtà la parola “aiuole” non contiene “tutte” le vocali, ma “solo” le lettere vocaliche. E’ come un’illusione ottica, poiché in realtà le cinque vocali non hanno cinque suoni, bensì nove. A questo punto avventurarsi tra vocali chiuse, vocali aperte, semivocali e semiconsonanti, può già cominciare a nuocere gravemente alla salute. Invece ci si può inoltrare senza pericoli nella lunga trattazione dedicata al “nonsense” (parola o frase che non vuol dir niente), pura lettura quasi senza sabbie mobili, ma anzi con varie perle. Una di queste è il “sarchiapone”, animale immaginario che ebbe lunga fama prima nel varietà e poi nel cinema. Credevamo fosse stato inventato per i memorabili sketch di Walter Chiari e Carlo Campanini. Invece viene dalla cultura classica e precisamente dal “Cunto de li cunti” di Giambattista Basile (1575-1632) che lo usò per indicare un contadino ottuso. Nei dintorni delle parole inventate c’è anche “precipitevolissimevolmente”, incoronato come vocabolo più lungo della lingua italiana. Se lo costruì apposta e per ragioni metriche Francesco Moneti (1635-1712), devoto frate francescano ma anche laborioso poeta, astrologo e umorista.
Ci sono poi le parole che si inventano da sole. Basta scambiare due lettere sulla tastiera ed è fatta. Sono errori chiamati “refusi” quando capitano per caso. Diventano un gioco, chiamato “metatesi”, quando sono volontari. Nella storia dei refusi Dossena ci ricorda un leggendario numero dell’“Unità” con un titolo di prima pagina che diceva: “Viva il compagno Togliatti “giuda” del proletariato”. Il povero tipografo ovviamente voleva scrivere “guida”.
La manipolazione delle parole ha origine molto antiche e quasi sempre è legata a pratiche divinatorie e religiose. Per esempio “abracadabra” non è una invocazione da prestigiatori dilettanti ma ha proprio un valore magico dato che viene dall’ebraico “haberakah daberah” (“la benedizione pronunciata”). Del resto anche a Delfi i giochi di parole dell’oracolo, cioè gli enigmi, venivano spacciati come risposte del dio. Lo stesso Disco di Festo, celebre reperto cretese con la sua scrittura a spirale tuttora indecifrata, potrebbe contenere formule magiche e in fondo persino la “Divina Commedia” è stata più volte affrontata in chiave di enigma.
Ecco, chi gioca con le parole è anche un enigmista, però “classico”. E per carità non parlategli di cruciverba. Qui entriamo in un mondo davvero misterioso, una comunità ristretta che si misura creando terrificanti rompicapi per i quali sono necessarie dosi massicce di intuito e intelligenza. Un mondo di pazzi savi ai confini della maniacalità. Si può facilmente immaginare che se anche solo pochi degli enigmisti classici, invece che al gioco, avessero dedicato le stesse energie a qualche cosa di concreto, avrebbero già scoperto che cosa c’è nei buchi neri dell’Universo. Altro che “pescegatto”, gioco che consiste nel passare da una parola all’altra cambiando una lettera per volta. Per esempio da “gatto” a “pesce”: “gatto” che diventa “patto” e poi “petto” e così via. Va beh, non sarà gran che, ma per Natale, al posto della tombola, può bastare.
(Da La Nazione, 21/12/2004).
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