Per un’Europa che torni a scaldare i cuori

DOPO LA MONETA UNICA E LA BOZZA DI COSTITUZIONE, SERVE UNA NUOVA CLASSE DIRIGENTE: ANDREOTTI E AMATO A CONFRONTO
Per un'Europa che torni a scaldare i cuori

ISTITUZIONI, politiche, regole, vincoli, parametri, programmi. Tutte cose fondamentali, in un «cantiere Europa» in cui per fortuna non si è mai smesso di lavorare. Ma il «Manifesto di Ventotene» scritto nel '41 da Altiero Spinelli e da Ernesto Rossi, mentre erano al confino da intellettuali antifascisti, parlava di Europa in tutt'altro modo: si ispirava al pensiero europeista di liberali come Luigi Einaudi e socialisti riformisti e democratici come Otto Bauer, Karl Kautsky e Claudio Treves e traduceva in obiettivi politici un progetto, un sogno possibile di libertà, di equilibrio, di riforme sociali, di sviluppo. Quel «manifesto» sì che di cuori ne ha scaldati. AMATO: «Quest'Europa che tutti vediamo è preziosissima: ci ha reso più confortevole la vita, ha creato il mercato comune, che permette per esempio di bere una birra fatta nello stesso modo più o meno in tutta Europa… Tutte cose essenziali, senza le quali la nostra quotidianità sarebbe peggiore e molto più complicata. Ma non si ama un'Europa fatta di regolamentazione dei luppoli, di moduli uniformi per pagare l'assicurazione contro gli incidenti d'auto. Bisogna, insomma, insistere nel parlare d'una Europa che faccia sentire la sua voce nella vicenda irachena, nei conflitti razziali e religiosi in giro per il mondo, nelle questioni che riguardano la salvaguardia delle foreste e e gli equilibri del clima, nelle prospettive dell'educazione e dei diritti. L'Europa coinvolgerebbe i giovani, se sapesse ascoltare la loro voce e capire la loro lingua. E invece… La colpa è nostra, che siamo in realtà prigionieri dell'utilissima disciplina del luppolo, ma oltre quella, almeno per il momento, non siamo stati capaci di andare».Su quali leve spingere, allora, perché l'Europa non sia solo accordi politici e norme? Come farla, una nuova classe dirigente europea? Secondo che valori e che regole? Classe dirigente, in inglese, si dice «ruling class»: una classe che fa le regole e ne rispetta il peso, il vincolo, i principi: le forme e l'etica di fondo che le ispira.ANDREOTTI: «Noi dobbiamo preoccuparci prima di tutto di crearla qui, in Italia. Perché contribuisca all'Europa. I singoli problemi possono essere affrontati, compreso quello dell'enorme dislivello di carattere sociale, tra i paesi dell'Europa a15 e i nuovi paesi che sono appena entrati. I programmi della cooperazione allo sviluppo fanno parte di un impegno comunitario fin dall' inizio della vita della Ue, ma ancora siamo ai verbi iniziali. E c'è, attualissimo, un problema di formazione interna. Avevamo un sistema legato all'obiettivo di mettere a fattore comune i vari indirizzi di cui è fatta la nostra cultura, la nostra tradizione. E oggi, con l'allargamento, bisogna cercare di raggiungere il massimo possibile di sintesi condivisa. A partire dalla Carta fondamentale, la nuova Costituzione europea. L'esperienza italiana può fornire, da questo punto di vista, utili elementi di riflessione. Nel dopoguerra eravamo un paese complesso, composito, carico di differenze e tensioni. E abbiamo lavorato per dare un valore unitario ai principi e alle regole della nostra Costituzione. Nell'Assemblea Costituente vi erano i tre grandi indirizzi: quello liberale, ispirato alla tradizione dello Stato unitario risorgimentale; l'indirizzo socialista e comunista; l'indirizzo cattolico, l'indirizzo sociale cristiano. Si è lavorato giorno dopo giorno mettendo a fattore comune esperienze e valori diversi. E alla fine è stata scritta e approvata una Carta costituzionale in cui non c'è un solo articolo che si possa dire o liberale o democristiano o socialista e comunista. Lo spirito unitario era forte, aiutando la formazione della nuova classe dirigente e, più in generale, d'un popolo che capisse bene che cos'è la politica e partecipasse alla vita dei partiti e delle istituzioni. Tanto forte che quando, a metà dell'attività dell'Assemblea Costituente, per ragioni di politica internazionale (l'Unione Sovietica pretendeva di occupare il resto dell'Europa, cominciando con l'occupare la Cecoslovacchia), i partiti si divisero e nel maggio '47 socialisti e comunisti uscirono dal governo De Gasperi, nel palazzo di Montecitorio dove si stava scrivendo la Costituzione si continuò a lavorare con lo spirito unitario unitario di sempre, perché si aveva la sensazione giusta che solo facendo le cose in quel modo si preparasse un buon futuro peri] paese».Buona scuola, è vero, l'Italia della Costituente. Questo metodo delle «convergenze» tra diversità, privilegiando l'interesse istituzionale generale e la sostanza d'un progetto di rafforzamento dell'Europa ha trovato concretezza nell'attività della Convenzione, per la nuova costituzione europea?ANDREOTTI: «Abbastanza. Ma è la Costituzione è un modello, che può essere ritoccato e al quale poi bisogna adattarsi da parte delle culture politiche e istituzionali dei singoli paesi, Non dimenticando, naturalmente, identità e interessi nazionali ma non trascurando affatto l'ispirazione di fondo di un rafforzamento politico dell'Europa. E superando il modo gladiatorio d'una certa interpretazione della politica, purtroppo oggi diffusa, secondo cui una cosa o è di un colore o è del colore opposto. Non è vero che tutto si possa ridurre così. Se lo facessimo, renderemmo sterile la vita politica e che non formeremmo una buona classe dirigente politica, che ha bisogno di crescere nel contraddittorio, nel confronto». […]L'allargamento dell'Europa ai nuovi paesi rende ancora più attuale il bisogno di una nuova cultura politica. Eppure,dell'allargamento non si colgono, da parte delle opinioni pubbliche della vecchia Europa, tutte le opportunità. I pericoli, semmai. Mentre la Ue dei 15 fatica a darsi nuove regole istituzionali, una Costituzione efficiente, rappresentativa, aperta.AMATO: «Gli europei si pongono insistentemente il problema della propria identità perché vivono da sempre tra il bisogno di unità, che non percepiscono compiutamente per mille ragioni, e l'esigenza di preservare ciascuno le proprie diversità. Ogni volta che un passo successivo di integrazione o di allargamento tocca il nervo di qualche diversità avita, ecco che tutti si chiedono: ma che cosa sto diventando, che cosa succederai di me, chi sarò? Ma il processo di integrazione ha bisogno di risposte tranquillizzanti, che tengano insieme memoria e futuro. I paesi che sono appena entrati nella Ue a 25 sono perfettamente europei, la Polonia è europea come l'Italia, i cechi sono europei come i tedeschi. I grandi romanzi europei non conoscono i confini tra i Quindici e i Venticitnque. Prendiamo atto, dunque, del fatto che nell'immediato Dopoguerra, a metà del Novecento, l'Europa si ritrovò divisa tra i paesi comunisti e quelli che, come noi in Italia, ebbero la fortuna di non diventare comunisti. Ora, dopo quasi mezzo secolo, la disgrazia del comunismo è finita. Vogliamo tenere altri europei fuori dalla porta perché avevano subito quella disgrazia? O essere felici perché stanno rientrando in casa? L'allargamento va visto in questa chiave. E vissuto come opportunità di mercati più grandi, capitale umano più ricco, culture che si confrontano e si sostengono reciprocamente, di meccanismi economici di crescita.


LA STAMPA p,24
07.07.2004
di Antonio Calabrò

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