Parliamola strana

Giovanna Cosenza, docente di Scienze della Comunicazione

La lingua? Parliamola strana

La grammatica dell’sms attraverso l’analisi di tremila ‘messaggini’

di Silvia Bignami

Beep, messaggio in arrivo: “Tanto x cambiare ci si mette pure l’influenza. Non basta sto schifo di studio! A Marì me stos a scassà le balls. BACI, a presto.sigh.sigh”. La lingua? Parliamola strana: è questa, in sintesi, la chiave per capire come comunicano oggi i giovanissimi. A spiegarlo è Giovanna Cosenza, docente di Semiotica al dipartimento di discipline della Comunicazione di Bologna. Sorride e dice che, nel corpus di 3000 ‘messaggini’ campionati per le sue ricerche, questo riportato sopra “è uno dei più rappresentativi per spiegare come parlano gli adolescenti di oggi”.

Perché?

“Perché in 160 caratteri troviamo molte delle caratteristiche principali del loro linguaggio: le abbreviazioni (‘x’ al posto di ‘per’; ‘sto’ al posto di ‘questo’), le espressioni gergali (‘schifo’), il recupero dei dialetti, in questo caso con riferimento al romanesco (‘a marì’, ‘scassà’), le parole prese dall’inglese (‘balls’), o imitate dallo spagnolo (‘stos’), le onomatopee prese a prestito da altri linguaggi, come quelli del fumetto (‘sigh.sigh’)”.

Lingue straniere, ma anche gergo e dialetto: cos’è che tiene insieme mondi così distanti?

“Il bisogno di differenziarsi, anche linguisticamente. I teenager in particolare hanno due esigenze: distinguersi dagli altri, dai genitori soprattutto, ed essere simili all’interno del loro gruppo”.

E per farlo usano il linguaggio?

“Sì, perché la lingua che parlano è un mezzo potente per esprimere la loro identità: un codice che rinforza l’appartenenza da un lato, ed esclude gli estranei dall’altro”.

Ma come si spiega l’uso del dialetto? Non è la lingua dei genitori più che quella dei figli?

“In provincia, e negli strati sociali più bassi, è ancora la lingua di entrambi: i giovani parlano dialetto in famiglia, come lo parlavano i padri, e prima di loro i nonni”.

Quindi siamo a un recupero delle lingue regionali?

“No, non credo, perché nelle fasce più alfabetizzate la situazione cambia. Gli adolescenti non parlano correttamente il loro idioma locale, ma ne usano solo alcune parole per distinguersi, per ‘parlare stravagante’, per esprimere forse anche una sorta di rigetto della cultura degli anni Sessanta, quando i giovani di allora (i genitori di oggi) rifiutavano il dialetto, ritenendolo un retaggio popolare. In ogni caso non si tratta di recupero della ‘regionalità’ del vernacolo, quanto di sfruttamento della sua ‘forza espressiva’ ”.

In che senso?

“Nel senso che ad esempio molti ragazzi bolognesi usano spesso negli sms modi di dire tipici delle regioni del Sud, come ‘sepoffà’ o ‘a soreta’, perché più espressivi”.

Perché c’è tanto bisogno di espressività?

“Perché i nuovi media ci fanno comunicare a distanza con una velocità comparabile alla sincronia del parlato faccia a faccia. Nelle mail, come negli sms, bisogna dire tutto velocemente e dentro spazi ristretti: per questo è necessario forzare l’espressività del linguaggio, e per questo il parlare dei giovani, che più di tutti usa Internet e i cellulari, va in quella direzione. Una volta, scrivere una lettera era un esercizio di bell’italiano, oggi si scrive come si parla, perché il parlato è più veloce”.

Ma anche una volta esisteva un ‘linguaggio dei giovani’? Qual è la differenza fra ieri e oggi?

“La differenza sta soprattutto nella rapidità del rinnovamento: oggi il ricambio è più veloce e le generazioni non si capiscono più anche a distanza di pochi anni. E’ colpa – e merito – degli stimoli dei media, del cinema, della musica, ma anche della tv, che raccoglie le novità linguistiche, le elabora in fretta e le mette immediatamente a disposizione delle masse, spingendo così i ragazzi a cambiare ancora, proprio per distinguersi dalle masse cui altrimenti si sentirebbero omologati. Sono comunque convinta, proprio perché il motore è il bisogno di trovare una propria identità, che i giovani abbiano sempre cercato modi di comunicare originali. Rispetto a questo, i meccanismi linguistici dei figli dei fiori o dei punk degli anni ’80 non erano molto diversi da quelli dei giovani di oggi né lo saranno, forse, da quello dei giovani di domani”. (Da La Nazione, 7/5/2004).[addsig]

2 commenti

  • Giovanna Cosenza, docente di Scienze della Comunicazione

    La lingua? Parliamola strana

    La grammatica dell’sms attraverso l’analisi di tremila ‘messaggini’

    di Silvia Bignami

    Beep, messaggio in arrivo: “Tanto x cambiare ci si mette pure l’influenza. Non basta sto schifo di studio! A Marì me stos a scassà le balls. BACI, a presto.sigh.sigh”. La lingua? Parliamola strana: è questa, in sintesi, la chiave per capire come comunicano oggi i giovanissimi. A spiegarlo è Giovanna Cosenza, docente di Semiotica al dipartimento di discipline della Comunicazione di Bologna. Sorride e dice che, nel corpus di 3000 ‘messaggini’ campionati per le sue ricerche, questo riportato sopra “è uno dei più rappresentativi per spiegare come parlano gli adolescenti di oggi”.

    Perché?

    “Perché in 160 caratteri troviamo molte delle caratteristiche principali del loro linguaggio: le abbreviazioni (‘x’ al posto di ‘per’; ‘sto’ al posto di ‘questo’), le espressioni gergali (‘schifo’), il recupero dei dialetti, in questo caso con riferimento al romanesco (‘a marì’, ‘scassà’), le parole prese dall’inglese (‘balls’), o imitate dallo spagnolo (‘stos’), le onomatopee prese a prestito da altri linguaggi, come quelli del fumetto (‘sigh.sigh’)”.

    Lingue straniere, ma anche gergo e dialetto: cos’è che tiene insieme mondi così distanti?

    “Il bisogno di differenziarsi, anche linguisticamente. I teenager in particolare hanno due esigenze: distinguersi dagli altri, dai genitori soprattutto, ed essere simili all’interno del loro gruppo”.

    E per farlo usano il linguaggio?

    “Sì, perché la lingua che parlano è un mezzo potente per esprimere la loro identità: un codice che rinforza l’appartenenza da un lato, ed esclude gli estranei dall’altro”.

    Ma come si spiega l’uso del dialetto? Non è la lingua dei genitori più che quella dei figli?

    “In provincia, e negli strati sociali più bassi, è ancora la lingua di entrambi: i giovani parlano dialetto in famiglia, come lo parlavano i padri, e prima di loro i nonni”.

    Quindi siamo a un recupero delle lingue regionali?

    “No, non credo, perché nelle fasce più alfabetizzate la situazione cambia. Gli adolescenti non parlano correttamente il loro idioma locale, ma ne usano solo alcune parole per distinguersi, per ‘parlare stravagante’, per esprimere forse anche una sorta di rigetto della cultura degli anni Sessanta, quando i giovani di allora (i genitori di oggi) rifiutavano il dialetto, ritenendolo un retaggio popolare. In ogni caso non si tratta di recupero della ‘regionalità’ del vernacolo, quanto di sfruttamento della sua ‘forza espressiva’ ”.

    In che senso?

    “Nel senso che ad esempio molti ragazzi bolognesi usano spesso negli sms modi di dire tipici delle regioni del Sud, come ‘sepoffà’ o ‘a soreta’, perché più espressivi”.

    Perché c’è tanto bisogno di espressività?

    “Perché i nuovi media ci fanno comunicare a distanza con una velocità comparabile alla sincronia del parlato faccia a faccia. Nelle mail, come negli sms, bisogna dire tutto velocemente e dentro spazi ristretti: per questo è necessario forzare l’espressività del linguaggio, e per questo il parlare dei giovani, che più di tutti usa Internet e i cellulari, va in quella direzione. Una volta, scrivere una lettera era un esercizio di bell’italiano, oggi si scrive come si parla, perché il parlato è più veloce”.

    Ma anche una volta esisteva un ‘linguaggio dei giovani’? Qual è la differenza fra ieri e oggi?

    “La differenza sta soprattutto nella rapidità del rinnovamento: oggi il ricambio è più veloce e le generazioni non si capiscono più anche a distanza di pochi anni. E’ colpa – e merito – degli stimoli dei media, del cinema, della musica, ma anche della tv, che raccoglie le novità linguistiche, le elabora in fretta e le mette immediatamente a disposizione delle masse, spingendo così i ragazzi a cambiare ancora, proprio per distinguersi dalle masse cui altrimenti si sentirebbero omologati. Sono comunque convinta, proprio perché il motore è il bisogno di trovare una propria identità, che i giovani abbiano sempre cercato modi di comunicare originali. Rispetto a questo, i meccanismi linguistici dei figli dei fiori o dei punk degli anni ’80 non erano molto diversi da quelli dei giovani di oggi né lo saranno, forse, da quello dei giovani di domani”. (Da La Nazione, 7/5/2004).[addsig]

  • Giovanna Cosenza, docente di Scienze della Comunicazione

    La lingua? Parliamola strana

    La grammatica dell’sms attraverso l’analisi di tremila ‘messaggini’

    di Silvia Bignami

    Beep, messaggio in arrivo: “Tanto x cambiare ci si mette pure l’influenza. Non basta sto schifo di studio! A Marì me stos a scassà le balls. BACI, a presto.sigh.sigh”. La lingua? Parliamola strana: è questa, in sintesi, la chiave per capire come comunicano oggi i giovanissimi. A spiegarlo è Giovanna Cosenza, docente di Semiotica al dipartimento di discipline della Comunicazione di Bologna. Sorride e dice che, nel corpus di 3000 ‘messaggini’ campionati per le sue ricerche, questo riportato sopra “è uno dei più rappresentativi per spiegare come parlano gli adolescenti di oggi”.

    Perché?

    “Perché in 160 caratteri troviamo molte delle caratteristiche principali del loro linguaggio: le abbreviazioni (‘x’ al posto di ‘per’; ‘sto’ al posto di ‘questo’), le espressioni gergali (‘schifo’), il recupero dei dialetti, in questo caso con riferimento al romanesco (‘a marì’, ‘scassà’), le parole prese dall’inglese (‘balls’), o imitate dallo spagnolo (‘stos’), le onomatopee prese a prestito da altri linguaggi, come quelli del fumetto (‘sigh.sigh’)”.

    Lingue straniere, ma anche gergo e dialetto: cos’è che tiene insieme mondi così distanti?

    “Il bisogno di differenziarsi, anche linguisticamente. I teenager in particolare hanno due esigenze: distinguersi dagli altri, dai genitori soprattutto, ed essere simili all’interno del loro gruppo”.

    E per farlo usano il linguaggio?

    “Sì, perché la lingua che parlano è un mezzo potente per esprimere la loro identità: un codice che rinforza l’appartenenza da un lato, ed esclude gli estranei dall’altro”.

    Ma come si spiega l’uso del dialetto? Non è la lingua dei genitori più che quella dei figli?

    “In provincia, e negli strati sociali più bassi, è ancora la lingua di entrambi: i giovani parlano dialetto in famiglia, come lo parlavano i padri, e prima di loro i nonni”.

    Quindi siamo a un recupero delle lingue regionali?

    “No, non credo, perché nelle fasce più alfabetizzate la situazione cambia. Gli adolescenti non parlano correttamente il loro idioma locale, ma ne usano solo alcune parole per distinguersi, per ‘parlare stravagante’, per esprimere forse anche una sorta di rigetto della cultura degli anni Sessanta, quando i giovani di allora (i genitori di oggi) rifiutavano il dialetto, ritenendolo un retaggio popolare. In ogni caso non si tratta di recupero della ‘regionalità’ del vernacolo, quanto di sfruttamento della sua ‘forza espressiva’ ”.

    In che senso?

    “Nel senso che ad esempio molti ragazzi bolognesi usano spesso negli sms modi di dire tipici delle regioni del Sud, come ‘sepoffà’ o ‘a soreta’, perché più espressivi”.

    Perché c’è tanto bisogno di espressività?

    “Perché i nuovi media ci fanno comunicare a distanza con una velocità comparabile alla sincronia del parlato faccia a faccia. Nelle mail, come negli sms, bisogna dire tutto velocemente e dentro spazi ristretti: per questo è necessario forzare l’espressività del linguaggio, e per questo il parlare dei giovani, che più di tutti usa Internet e i cellulari, va in quella direzione. Una volta, scrivere una lettera era un esercizio di bell’italiano, oggi si scrive come si parla, perché il parlato è più veloce”.

    Ma anche una volta esisteva un ‘linguaggio dei giovani’? Qual è la differenza fra ieri e oggi?

    “La differenza sta soprattutto nella rapidità del rinnovamento: oggi il ricambio è più veloce e le generazioni non si capiscono più anche a distanza di pochi anni. E’ colpa – e merito – degli stimoli dei media, del cinema, della musica, ma anche della tv, che raccoglie le novità linguistiche, le elabora in fretta e le mette immediatamente a disposizione delle masse, spingendo così i ragazzi a cambiare ancora, proprio per distinguersi dalle masse cui altrimenti si sentirebbero omologati. Sono comunque convinta, proprio perché il motore è il bisogno di trovare una propria identità, che i giovani abbiano sempre cercato modi di comunicare originali. Rispetto a questo, i meccanismi linguistici dei figli dei fiori o dei punk degli anni ’80 non erano molto diversi da quelli dei giovani di oggi né lo saranno, forse, da quello dei giovani di domani”. (Da La Nazione, 7/5/2004).[addsig]

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