Tra gli obiettivi Post-2015 per lo sviluppo sostenibile dell’ONU non c’è quello di una lingua comune per tutti, come invece aveva cercato invano di fare già nel 1922 la Società delle Nazioni per assicurare pace e fratellanza nel mondo. Le Nazioni Unite vogliono realizzare l’Impero anglofono delle Menti? Che ne pensano i BRICS? E Papa Francesco? Rilanciare l’Esperanto contro l’Empire of Mind serve anche per non vedere l’italiano sul tavolo dell’ obitorio dell’inglese… / Read in English
È incredibile, ma tra gli obiettivi per lo sviluppo sostenibile Post-2015 delle Nazioni Unite non c’è quello della Lingua Comune per Tutti!
Eppure, per assicurare la pace, la fratellanza ed il benessere all’umanità, l’organizzazione progenitrice delle Nazioni Unite, la League of Nations, pose subito tra i suoi obiettivi più importanti, quello della Lingua Comune per Tutti. Tale obiettivo vide all’opera durante le prime due Assemblee Generali, i delegati di Brasile, Belgio, Cile, Cina, Colombia, Cecoslovacchia (oggi Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca), Haiti, Italia, Giappone, India, Persia (oggi Iran), Polonia, Romania e Sud Africa portare avanti risoluzioni che suggerivano alla Lega delle Nazioni di raccomandare universalmente l’insegnamento dell’Esperanto nelle scuole come lingua internazionale ausiliaria. La maggioranza dei Paesi membri era favorevole all’adozione della Lingua Internazionale (detta Esperanto) come lingua di lavoro, tuttavia il veto della Francia (il francese era la lingua della diplomazia in quegli anni) impedì la realizzazione di tale progetto ma, comunque, nel 1922 la Lega delle Nazioni approvò unanimemente durante la sua terza Assemblea Generale il Rapporto sull’Esperanto come “International Auxiliary Language” che vide anche il supporto convinto di Lord Robert Cecil, insignito del Nobel della Pace nel 1937.
Se già nel 1922, a 35 anni dalla sua nascita ed affermazione transnazionale, si ritenne la Lingua Internazionale (detta Esperanto) pronta per essere adottata come “International Auxiliary Language”, oggi lo è più che mai: ha 93 anni di sperimentazione linguistica mondiale in più; è riconosciuta dal PEN Club International – nel 1993 – 114a lingua di letteratura nel mondo; dal 1994 al 2012 è una delle 60 lingue in cui il Pontefice impartisce la sua benedizione “Urbi et Orbi” ai cattolici di tutto il mondo due volte l’anno; è 64a lingua di traduzione di Google; è lingua di Premi Nobel per l’Economia come il tedesco Reinhard Selten; Umberto Eco ne ha parlato come di “un capolavoro linguistico”; è lingua di una comunità transnazionale presente in oltre 120 Paesi del mondo; ha tempi di apprendimento talmente rapidi che, praticamente tutti, riescono ad apprenderla da autodidatti (vedasi nelle 41 lingue di www.lernu.net); non si devono pagare insegnanti madrelingua; né viaggi studio o danari da portare alle solite nazioni privilegiate, perché ciascuna nazione del mondo è di fatto patria dell’Esperanto, e via dicendo.
Ma, stranamente, molto stranamente, dal 26 giugno 1945, per le Nazioni Unite la questione della “Lingua Comune per Tutti” e della preservazione dell’ecosistema linguistico-culturale mondiale è tabù.
Forse perché le Nazioni Unite vogliono realizzare quell’Impero anglofono delle Menti di cui Churchill parlava come piano da attuare insieme agli Stati Uniti nel 1943?
Già, perché il 6 settembre 1943, all’Università di Harvard, Churchill aveva detto chiaramente che il vecchio colonialismo era morto (la Gran Bretagna, per opera di Gandhi stava perdendo l’India, la sua più grande colonia) e che la nuova colonizzazione sarebbe stata quella ad opera degli “Imperi della mente” in quanto, spiegò Churchill, “il potere di dominare la lingua di un popolo offre guadagni di gran lunga superiori che non il togliergli province e territori o schiacciarlo con lo sfruttamento”.
Di fatto in Italia, e non solo in Italia, le forze dell’Empire of the Mind hanno lavorato bene. Umberto Eco, nel 2011, spiegava che il “dialetto è una lingua a cui è mancata l’università, e cioè la pratica della ricerca e della discussione scientifica e filosofica, che si arricchisce ogni giorno di nuovi termini e nuovi concetti”. Ebbene nemmeno 3 anni dopo, nel 2014, l’Italia si trovava senza una delle sue più importanti università, il Politecnico di Milano, dove studenti e rettorato si sono trovati d’accordo nel mandare al rogo tutti i libri di tutte le materie, di tutti i corsi di laurea magistrale e di dottorato in italiano a beneficio dell’editoria scientifica anglofona, così come è iniziata l’assunzione di docenti madrelingua inglese, piuttosto che italiana. Potete immaginare cosa ne sarà dell’italiano nel 2030, a quasi 20 anni da quella parole di Eco!
Già solo a marzo 2015, nel disegno di legge chiamato “Buona scuola” la ministra dell’Istruzione Stefania Giannini aveva addirittura inserito un provvedimento dove, all’Art. 2, si parlava di CLIL, Content Language Integrated Learning – in inglese affinché gl’italofoni non capissero di cosa si trattasse -, e in cui si prefigurava la messa a regime dell’insegnamento obbligatorio, dalle elementari alle superiori, di una qualsiasi materia in lingua inglese con la sola esclusione di lingua e letteratura italiana, prevedendo persino, al comma 14 dello stesso articolo, per la scuola primaria, l’assunzione di insegnanti di lingua madre inglese o il ricorso alla fornitura di appositi servizi.
Quel provvedimento, fortunatamente parzialmente emendato in Aula, non investiva solo 40 mila studenti del milanese, bensì oltre 3 milioni di studenti e famiglie italiane. Considerando anche un solo libro a materia, al costo medio di 20 Euro, si sarebbe arrivati a dare 60 milioni di euro all’anno all’editoria anglofona contro quella italofona. E siccome dalle elementari alle superiori le materie insegnate nella scuola italiana sono oltre 80, essendo le materie insegnabili in inglese “qualsiasi”, quindi tutte ad esclusione di lingua e letteratura italiana, anche calcolandone solo 70, si sarebbe arrivati alla cifra di 4 miliardi e 200 milioni di euro, ai quali si sarebbero aggiunti i costi del personale madrelingua inglese o delle società di angloservizio ivi previste.
Danaro che si sarebbe a sua volta aggiunto ai circa 60 miliardi di Euro l’anno che eminenti economisti già nel 2006 (Lukacs) stimavano essere il costo dell’inglesizzazione in Italia mentre i risparmi per la Gran Bretagna, che non insegna seriamente alcuna lingua straniera – come praticamente tutte le nazioni anglofone -, si aggirano intorno i 18 miliardi di Euro (Grin), nel mentre, sempre Grin indica in 25 miliardi di Euro il risparmio per tutti i Paesi europei (Gran Bretagna inclusa) se si utilizzasse l’Esperanto.
Insomma se non ci sarà un “Goal 18” che salvi i popoli del mondo da The Empire of the Mind, entro il 2030 le Nazioni Unite potranno macchiarsi di uno dei peggiori nuovi crimini contro l’umanità, quello che ha per oggetto la mercificazione e schiavizzazione delle menti e non più dei corpi: il linguicidio per migliaia di popoli; la nazionalizzazione linguistica inglese del mondo.
Un modo come un altro per ottenere la pace, quello di fare in modo che non ci siano più lingue e culture di popoli concorrenti?
Chissà. Certamente l’italiano sarà, insieme a molte altre lingue di popoli del mondo, pronta per un tavolo di obitorio inglese o statunitense.
I 60 milioni di italiani in Italia, gli 80 milioni di italiani nel mondo, il miliardo e 230 milioni di cattolici che a Roma hanno la loro capitale spirituale, possono permetterselo?
Certamente no. Il Governo italiano dovrebbe immediatamente mettersi all’opera, puntando sull’eccezionalità dell’obiettivo, imparagonabile a qualsiasi altro, affinché, malgrado il punto avanzato in cui sono giunti i negoziati nella identificazione dei 17 obiettivi, venga aggiunto il 18esimo sulla lingua comune della specie umana entro il 2030.
Considerato che bisognerebbe prospettare tale iniziativa anche all’interno dell’EEAS – il Servizio Europeo per l’Azione Esterna -, con a capo l’italiana Federica Mogherini, questo sarà anche un fondamentale modo di porre e prospettare una soluzione alla questione della discriminazione linguistica italiana per l’oligopolio anglo-franco-tedesco nell’Unione.
Basti dire che il regime del Brevetto Unitario al quale l’Italia ha aderito, avrà tre corti dislocate in Gran Bretagna, Francia e Germania, e cosa accadrà allorché un tribunale francese o tedesco avrà ordinato il sequestro dei beni aziendali e il blocco dei conti bancari di imprenditori italiani?
Quando sapremo che un giudice lontano, che non parla la nostra lingua e viceversa, con un complicato provvedimento scritto in una lingua straniera, avrà vietato in tutta l’Unione europea il commercio di prodotti fabbricati da nostre società che producono a Brescia piuttosto che a Vicenza o a Modena, Roma, Ancona, Lecce o Palermo?
Cosa accadrà quando quell’imprenditore italiano, per difendersi da un’accusa che gli viene magari da un concorrente europeo, in una lingua che non è la sua ma di quel concorrente e di quel tribunale, avrà dovuto impegnare una quantità di tempo e spendere moltissimo denaro per reclamare giustizia in una peregrinazione che lo porterà da Monaco a Londra o a Parigi?
John Stuart Mill scrisse che l’unità dell’opinione pubblica, necessaria al funzionamento del governo rappresentativo, non può aversi tra gente che manca di senso di comunità, soprattutto se si parlano lingue diverse, ebbene l’Europa può ancora permettersi di esistere senza una lingua federale?
L’umanità può permettersi l’inevitabile diluvio linguicida conseguente all’assenza di una lingua comune per tutti?
I Paesi della Speranza della Lega delle Nazioni, possono tradire quel che di giusto hanno fatto allora?
I cinque Paesi delle economie emergenti: Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica uniti come BRICS, e ben presenti alle Nazioni Unite, avendo come obiettivo comune tra loro, la promozione di un’agenda positiva e di unione nelle relazioni internazionali, potrebbero promuovere il diritto alla lingua comune della specie umana già alle Nazioni Unite?
Una grande democrazia come gli Stati Uniti perché non si batte per la democrazia e la giustizia linguistica internazionale?
Il Segretario Generale dell’ONU Ban Ki-moon può legare il proprio nome ad una Agenda delle Nazioni Unite che, da qui al 2030, direttamente e indirettamente, farà in modo che i popoli anglofoni più ricchi divengano sempre più ricchi, allarghino oltremisura i loro mercati, dragando risorse umane ed economiche dai Paesi meno fortunati, tagliando loro, direttamente o indirettamente, anche la lingua?
“The World we want” è “the english-only world we want”? L’impressione, avendo letto il Draft Zero of the outcome document for the UN summit to adopt the Post-2015 Developmente Agenda ma, anche, l’Enciclica LAUDATO SI’ sulla cura della casa comune, è che Papa Francesco di cose sullo sviluppo sostenibile ne abbia molte da dire intervenendo all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 25 settembre, Assemblea che il giorno dopo approverà gli obiettivi del millennio Post-2015. Segnalo solo un fatto: nel documento suindicato delle Nazioni Unite la parola “ecologia” è praticamente inesistente, nell’enciclica LAUDATO SI’ pesa per ben 86 volte e un intero punto è dedicato all’Ecologia culturale.
I costi dell’insegnamento della lingua straniera in Europa, confronto tra i tre scenari
François GRIN, L’insegnamento delle lingue straniere come politica pubblica, ERA onlus ed. Roma (François GRIN, L’enseignement des langues étrangères comme politique publique, Haut Conseil de l’évaluation de l’école,2005).
1. Il Regno Unito guadagna minimo 10 miliardi di euro netti l’anno dall’attuale dominio dell’inglese. Se si tiene conto dell’effetto moltiplicatore di alcuni componenti di questa cifra, così come del rendimento dei fondi che i paesi anglofoni possono investire altrove grazie alla posizione privilegiata della loro lingua, questo totale va dai 17 ai 18 miliardi di euro l’anno. Questa somma sarebbe sicuramente maggiore se l’egemonia dell’inglese fosse rafforzata da una priorità concessa da altri stati, come sta avvenendo ad esempio in Italia dal 2001. Tale risultato non tiene conto dei diversi effetti “simbolici” ad es. il vantaggio di cui godono i madre lingua inglese in ogni situazione di negoziazione o conflitto che avviene nella loro lingua; tuttavia tali effetti simbolici hanno senza dubbio notevoli ripercussioni materiali e finanziarie.
2. Lo scenario “plurilingue” non riduce i costi ma le ineguaglianze tra i popoli; tuttavia esso rappresenta un rischio sicuro di instabilità ed esige un complesso di misure di accompagnamento per essere attuato.
3. Lo scenario “Esperanto” appare come il più vantaggioso poiché si tradurrebbe in un risparmio netto per la Francia di quasi 5,4 miliardi di euro l’anno e, a titolo netto per l’intera Europa, Regno Unito e Irlanda compresi, di circa 25 miliardi di euro l’anno.
* Giorgio Pagano è un artista e teorico dell’Arte, scultore e architetto italiano, ha curato e prefato diversi volumi sugli aspetti economici del colonialismo e del linguicidio; di prossima pubblicazione Internazionalizzazione della e nella lingua italiana. Dal Governo dell’Italia al Governo dell’italianità: un modello di sviluppo nuovo. Nel 2014 è stato 50 giorni in sciopero della fame in auto davanti al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca affinché il MIUR togliesse il proprio avallo al rogo della lingua e della cultura scientifica italiana perpetrato dal Politecnico di Milano.
A New York sta coordinando la Campagna per la lingua comune della specie umana , per il Partito Radicale Nonviolento Transnazionale.