Nuova missiva a Draghi: Italiano terza lingua della/nella Unione europea e violazione del regime linguistico delle/nelle istituzioni europee rappresentata dall’illegale permanenza dell’inglese dopo la Brexit.

Nella puntata di Translimen del primo agosto 2021 curata e condotta da Giorgio Kadmo Pagano a Radio Radicale

All’Ill.mo Presidente del Consiglio dei Ministri
Prof. Mario Draghi
CC: All’Ill.mo Presidente della Repubblica
Chiar.mo Prof. Sergio Mattarella

Roma, 5 marzo 2022

Oggetto: Italiano terza lingua della/nella Unione europea e violazione del regime linguistico delle/nelle istituzioni europee rappresentata dall’illegale permanenza dell’inglese dopo la Brexit.

Illustre Signor Presidente del Consiglio,

                                                                                       in questo centesimo anniversario della nascita di Pier Paolo Pasolini, i Mille dell’Italiano tornano a scriverLe perché la Legalità e la Democrazia delle lingue e dei popoli europei, così come la proporzionalità del numero di persone delle popolazioni che le parlano, siano rispettate e fatte rispettare dall’Unione europea e dal Suo Governo.
Di Pasolini, all’uopo, vogliamo citare un solo passaggio tratto dal Paragrafo V del discorso che scrisse per i Radicali di Pannella nel 1975, allorché parlando di “tecnofascismo (che potrebbe comunque realizzarsi solo a patto di chiamarsi antifascismo)” dice che i bisogni indotti dal nuovo capitalismo “sono totalmente e perfettamente inutili e artificiali. Ecco perché, attraverso essi, il nuovo capitalismo non si limiterebbe a cambiare storicamente un tipo d’uomo: ma l’umanità stessa.”
Ecco, il nostro timore è proprio questo, che si stia cambiando e si voglia cambiare l’umanità, quantomeno quel mezzo miliardo che abita l’Unione europea, ignorando Regole, Legalità, varietà ed affermare, per contro, un unico pensiero, un monopolio persino extraeuropeo e foriero di sempre maggiore povertà culturale e valoriale per le popolazioni dell’Unione.
Nella risposta del 27 luglio 2021, il Suo Ufficio di Presidenza concordava con noi dei Mille dell’Italiano sul pilastro europeo del Multilinguismo e sul fatto che “è vero che l’utilizzo diffuso dell’inglese all’interno dell’Unione europea non favorisce in tutti i casi l’avvicinamento dei cittadini e delle imprese italiane alle istituzioni europee.
Questo può costituire un fattore penalizzante per le aziende italiane laddove la scarsa familiarità con l’inglese ostacoli la conoscenza di meccanismi, regole e procedure di partecipazione alle gare d’appalto internazionali
”.
C’era stato comunicato che le nostre “proposte saranno oggetto di approfondimento da parte dei nostri Uffici e in particolare del Dipartimento per le politiche europee” ma nulla di quanto anticipato è finora accaduto.
Torniamo quindi a chiedere, oltre all’unica opera finora perseguita e in relazione al meccanismo delle assunzioni EPSO – che riguarda una ristrettissima platea di utenti italiani -, quali sono le iniziative che il Suo Governo ha perseguito e intende perseguire affinché la lingua della Repubblica italiana:

  1. Sia sempre presente e in modo esaustivo nelle Consultazioni pubbliche europee.
  2.  Venga considerata lingua ufficiale nei bandi europei anche in caso di contenziosi. Vedasi in proposito l’ultima e incredibile vicenda dell’Erasmus+ 2021-2027 di 26 miliardi di Euro, in cui l’Italia subisce, senza battere ciglio – oseremmo dire vergognosamente -, l’imposizione del monolinguismo anglosassone promosso illegalmente dalla Commissione a “lingua di riferimento in caso di dubbio e contenziosi”.
  3. Sia lingua ufficiale nelle comunicazioni di finanziamenti, gare d’appalto e progetti europei, vedasi attuale situazione di ben 9.548 opportunità economiche esclusivamente in inglese in <https://ec.europa.eu/info/funding-tenders/opportunities/portal/screen/opportunities/funding-updates>.
  4. sia presente nelle piattaforme europee a cominciare dalla Piattaforma della politica sanitaria dell’UE, anche questa unicamente in lingua inglese <https://webgate.ec.europa.eu/hpf/>.
    Surrettiziamente, e con inversa proporzione agli appena 6 milioni di parlanti delle ex colonie britanniche, si vuole imporre monopolisticamente l’inglese persino come sola lingua di lavoro dell’Unione Europea, continuando a mantenerne un trattamento privilegiato rispetto alle altre lingue ufficiali, pur non risultando allo stato dichiarata da alcun Paese.

          Dall’ art.55 del TUE e dall’ art. 1 del reg.1/58 emerge che il novero delle lingue dei Trattati (cioè autentiche) e delle lingue ufficiali e di lavoro non coincidono necessariamente. Sono i singoli Stati Membri, al momento della rispettiva adesione all’Unione, a stabilire non soltanto la lingua autentica, ma anche quella ufficiale: l’inclusione di quest’ultima avviene, infatti, solo a seguito di modifica del Regolamento n. 1/1958. Rappresentando il risultato di due scelte giuridicamente e funzionalmente distinte, le lingue autentiche e quelle ufficiali non sono necessariamente sovrapponibili. Emblematico è il caso della Repubblica d’Irlanda, la cui lingua, il Gaelico, è divenuto lingua autentica dei Trattati al momento dell’adesione, vale a dire dal 1973, ma è entrata a far parte del novero delle lingue ufficiali solo nel 2005, dietro esplicita richiesta del Governo Irlandese.
Risulta in maniera inequivocabile, quindi, da un lato che soltanto le lingue dei Paesi Membri dell’Unione possono assurgere al rango di lingue ufficiali e dall’altro che la determinazione di tali lingue non avviene sulla base di un automatico richiamo delle norme costituzionali interne da parte del diritto dell’Unione, ma rappresenta il risultato di una scelta in tal senso effettuata dallo Stato Membro in questione ed operata attraverso la modificazione del Regolamento n° 1/1958, nel rispetto della procedura e del criterio dell’unanimità fissato dall’ art. 342 del TFUE.
Ne è derivato che il recesso del Regno Unito dall’Unione ha comportato, tra le altre conseguenze, anche la necessaria fuoriuscita della lingua inglese dal novero delle lingue ufficiali dell’Unione dal momento che nessun altro Paese membro, ad eccezione del Regno Unito, ha indicato l’inglese come lingua ufficiale al momento della propria adesione o successivamente ad essa.
Infatti, sebbene sia l’Irlanda che Malta annoverino anche l’inglese come lingua ufficiale nazionale, nel negoziato per l’adesione Malta ha indicato di volere introdurre il Maltese quale lingua ufficiale, mentre l’Irlanda all’atto dell’adesione non ha indicato né l’inglese né tantomeno il Gaelico, quest’ultimo essendo entrato a far parte delle lingue ufficiali solo nel 2005, dietro esplicita richiesta del Governo Irlandese.
Ne è derivato che la mancanza di dichiarazione dell’inglese come lingua ufficiale UE da parte di Malta e dell’Irlanda, nonché la necessaria corrispondenza tra lo status di Paese membro dell’Unione e l’utilizzo della rispettiva lingua come lingua ufficiale, hanno determinato l’automatica esclusione della lingua inglese senza la necessità di alcuna esplicita determinazione normativa, stante il valore democratico e culturale del multilinguismo europeo, che presuppone l’identità tra le lingue dei soli cittadini dell’Unione e le lingue ufficiali delle Istituzioni.
Sicché, mentre la soppressione della lingua inglese dal novero delle lingue ufficiali e di lavoro (vista l’equiparazione in tal senso effettuata dall’articolo 1 del Regolamento n. 1/1958) è conseguenza automatica ed immediata della fuoriuscita del Regno Unito dall’Unione, il suo permanere avrebbe dovuto essere – invece – il risultato di una decisione del Consiglio dell’Unione adottata, peraltro, previa determinazione – da parte di almeno un altro Stato Membro – della lingua inglese in sostituzione di quella già notificata.
Allo stato attuale, dunque, il permanere della lingua inglese tra le lingue ufficiali dell’Unione in mancanza di una solida base giuridica, oltre ad essere del tutto illegittima, rappresenta un vulnus alle stesse radici democratiche dell’Unione.
Dal quadro normativo sopra descritto risulta che una lingua può essere qualificata come lingua ufficiale e di lavoro dell’Unione europea solo se sia stata dichiarata come tale da uno stato membro al momento dell’adesione o successivamente introdotta tramite la procedura di cui all’ art. 342 del TFUE. Il comportamento compiacente e di stampo neocolonialistico tenuto finora dalla Commissione, come quello inerte dei singoli Stati membri, Italia ovviamente inclusa, apre una breccia pericolosa nell’ordinamento democratico, in quanto consente che ad una lingua non dichiarata da alcun Paese sia applicato il medesimo regime previsto per le lingue dichiarate dagli altri Stati dell’Unione europea.
Ne deriva altresì una gravissima violazione del principio di uguaglianza che esige che a situazioni diverse sia applicato un regime giuridico diverso (in tal senso sentenza del 17 settembre 2009, Commissione/Koninklijke Frieslaud Campina, C-519/07, paragrafi 84-86, 88, 91, 94, 100, 102), nonché l’applicazione di una vera e propria tassa linguistica che si traduce per i 446 milioni di cittadini europei, tutti non madre lingua inglese, nello stratosferico costo di 485 miliardi 292 milioni e 600 mila euro l’anno. Equivalenti a circa i due terzi dei 750 miliardi messi a disposizione dall’Unione europea per il rilancio dell’economia continentale dopo la pandemia: una tantum però.
Rimanendo, con sempre maggiore preoccupazione, in attesa di concreti riscontri a quanto sopra richiamato,

Deferenti  saluti,
(Il Segretario generale, Giorgio Kadmo Pagano)

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