NOTTURNO.
Nel sentire di Giorgio Pagano
Quattro i condottieri e quattro le stelle in cielo, viaggiano più chiare tra terre strane, già oscure, per orche losche, gabbiani, uomini più infidi non amano l’altezza innocente di un cuore, oggi memorabile, allorché una vita squillante, come bandiere giganti in alto, è chiara di nuovo, finalmente venuta a inorgoglire per destino le nostre, le parole, e quella vanagloria di una immortalità più vera, sicura, che oggi cerchiamo, splendenti vogliamo, come una sorpresa migliore, umida d’un sonno di primo pomeriggio, per una civiltà entusiasta e fatta di passioni, solo amori per l’incontro morale del nostro dire, già nuovo, oggi certo e innalzato dinanzi all’assenze epigoni, e il dolore lancinante di uomini impotenti, più tristi che non ci riguardano, per il loro parlare, sorridono pietosi e fanciulli, deboli e intoccabili per costituzione, e il loro viso, azzurro lontano di un malinconico pianto immenso, che pur vorrebbe gli occhi, nostri lucidi, pungere, ma con forza pagana è un dire, un dire, un pensare il nostro soprattutto, spiegato nei secoli, forse giammai sicuro, ma certo oggi, nel presente motivato e innocente per verità, e per una vita superiore, tremenda, non serve un discorso e abbellire metafore improvvise, ma solo uno sguardo, già fresco, coagula i motti e le storie, mille, di vita, di gente, nuova e in parte sconosciuta, come lucente lagrima perfetta, ché umida luce, senza più trasparenze, bagna nel movimento del suo dire, gli sforzi profondi e i continenti percorribili, già distanti, per un sogno finale, azzurro, di cui si abbisogna, in queste ore meno tristi, scrivere dei versi degni di vita, e la vita, quella nostra, come questi versi, vitale.
Quattro i cavalieri, italici del tutto, per elmo e corazze infuocate, nell’obliare un pensiero e un’arte ancor barbarica, tedesca e francese, che pone a questione l’timo, e lo stile letterario, tentativo supremo di definire l’uomo, perso del resto, e povero, perché in erranza mendace di una illusione solo a parole, riscritture citazioni inservibili, e stanche, da cercarsi avida, quella idea di uomo, ma un condottiero oggi, già principe di tutte le avventure e discussioni, primo fra i nomadi fosti, sicuro, irrefrenabile nel provare di un contatto, di vita caldissima perché poi, invero, è sempre quello che manca, esplode un condottiero, un nuovo caldo sole, nel vedersi indietro sempre più grande, già uomo, più uomo, non per dialettiche oscure che errando giustificano, ma rinascimento dunque, centrale sapersi italiano, già classico in origine, o nascimento, come pagano declama, oltre il moderno eunuco e crollante, per la nascita della nuova civiltà è da vivere una intuizione più calda, senza sguardi passanti o speranze future, ma di questo presente, nell’innocenza, per morale intelligenza di porre in questione una intera vita, e quasi con vergogna, geniale pel destino purissimo in queste ore arrecato, nell’assoluto fare queste cose, il pensiero motivando, e i colori, i luoghi austeri, per loro artistici, sempre più affollati da gente inutile, che non amiamo, entrando nelle spelonche delle rupi, come luna, una, ancora sopra eccellente, affermiamo l’esistere nostro un modello e l’unico stile, arte la perfezione di linguaggio senza tremore proiettato, per l’intelligenza umana purissima nel coraggio della passione, e del cuore, la parte più calda, oltre piccole citazioni è da illuminare una luce sottile, celeste, quattro le stelle azzurre, tra uomini diversi, più nuovi, che da qui guardano, umide le pupille, oggi il veloce cammino del cielo.
Arnaldo Colasanti Roma, 1980
Pubblicato nel catalogo della Mostra personale di Giorgio Pagano
4 VIRTÙ CARDINE
L’AQUILA – BASILICA DI S. MARIA DI COLLEMAGGIO
15 .08.1980