Marcos Terena, leader indigeno all’ONU: si all’Osservatorio Permanente!

Due bambini del popolo Terena

Intervista di Giorgio Kadmo Pagano al capo dei Terena al Forum permanente dei popoli indigeni delle Nazioni Unite

Durante la Sesta Sessione del Forum Permanente delle Nazioni Unite sulle Questioni Indigene (UNPFII), che si è svolto a New York dal 14 al 25 maggio 2007, l’ERA ha intervistato alcuni leader indigeni. Marcos Terena è il leader del popolo Terena [Il popolo Terena è un popolo indigeno del Brasile che vive negli stati di Mato Grosso, Mato Grosso do Sul e San Paolo NdA] e Presidente del Comitato Intertribale (CIT), comitato che raggruppa 21 popoli indigeni brasiliani anche se, informalmente, il numero dei popoli che rappresentava al Forum era molto più elevato. Marcos ci ha rilasciato una intervista molto interessante, incentrata sul problema della scomparsa delle lingue e sulla costituzione di un Osservatorio Permanente delle Lingue a Rischio di Estinzione. La creazione di un Osservatorio Permanente nasce dall’idea che la nostra associazione ha di sostenere in maniera collaborativa quei popoli che vedono la loro lingua tra quelle seriamente a rischio e tra questi quelli indigeni sono i più esposti.
Marcos Terena, insieme ad altri leader indigeni, ha dato in suo consenso per iniziare una collaborazione con la nostra associazione.
Segue l’intervista di Giorgio Kadmo Pagano.
D: Giorgio Kadmo Pagano

R: Marcos Terena

D: Stiamo partecipando alla Sesta Sessione del Forum Permanente delle Nazioni Unite sulle questioni indigene. Abbiamo qui con noi Marcos Terena, leader della Nazione Terena e Presidente del Comitato Intertribale, prima organizzazione indigena brasiliana ad essere riferimento internazionale e riconosciuta dalle Nazioni Unite. Marcos, in questo Forum stai rappresentando la tua organizzazione e, allo stesso tempo, il tuo popolo?
R
: Esattamente. In verità la rappresentanza indigena non funziona in maniera “legale”, statalmente riconosciuta e non viene considerata così come dovrebbe. Il mio popolo conta 22.000 persone, 15 comunità e ciò significa per lo meno 15 capi indigeni. Nel caso del Brasile esistono 220 popoli e quasi 180 lingue parlate. Un lavoro di rappresentanza che non può essere fatto da una persona. Questa è il nostro codice di sopravvivenza. Noi non siamo “autorità” o gruppi di professori ma rappresentiamo politicamente in maniera percentuale tutti i gruppi presenti. Siamo nazioni indigene sovrane, popoli indipendenti dove ognuno è rispettato per quello che fa. La nostra organizzazione rappresenta molto questo. Lo si capisce dall’uso del termine “intertribale” usato per dimostrare che anche quei leader indigeni che non ne fanno parte hanno un ruolo importante nello scenario della difesa dei diritti indigeni, principalmente in relazione al riconoscimento e alla demarcazione dei territori, delle terre indigene.

D
: Conosciamo il legame che esiste tra i popoli indigeni e le loro terre. Voi avete il diritto alla protezione del vostro ambiente e alla produttività delle vostre terre. Ma l’unione tra i popoli indigeni e la terra esprime anche una unione spirituale, identificativa. Avere identità significa avere la propria cultura, tradizione e storia. E la terra è il luogo nel quale si può esprimere quello che i popoli indigeni sono. La terra come luogo di identificazione. In questo contesto qual è per te il ruolo della lingua nella preservazione della cultura tradizionale, dell’ambiente e delle risorse naturali?
R
: La lingua indigena è il codice tradizionale degli abitanti originari, di ogni popolo. Generalmente viene trasmesso attraverso le donne indigene. Attraverso canzoni e così le nuove conoscenze vanno nella formazione e della crescita della persona. Significa anche che la lingua indigena, nell’espressione, è difficilmente trascrivibile. La trascrizione della lingua indigena è una iniziativa del mondo occidentale, dell’educazione moderna, della tradizione della traduzione di lingue. Ma in verità i popoli indigeni vedono la lingua come un codice per la sopravvivenza e la salvaguardia e legata principalmente al valore spirituale e al rapporto (relazionale) con la terra. Se un popolo non ha la terra, non vive, non sopravvive. La lingua è anche un codice strategico di sopravvivenza nelle relazioni esterne, nelle relazioni con il mondo occidentale. Se molte persone hanno appreso la lingua indigena è per un tentativo di traduzione del pensiero cristiano per il mondo indigeno; la Bibbia, per esempio, è stata tradotta in varie lingue indigene del mondo ma molte volte la vita spirituale dell’ indio non è scritta e ciò è qualcosa che vale per il mondo occidentale che è solito tradurre in espressioni scritte. La lingua indigena sopravvivrà fino a che esisterà l’indio parlante. Ma allo stesso tempo percepiamo l’importanza della creazione di nuove conoscenze come quelle informatiche che possano essere utili alla preservazione delle lingue indigene ma la differenza dell’insegnamento culturale e tradizionale e che la base di tutte le relazioni indigene c’è l’oralità. E’ un aspetto della ricchezza dello spirito collettivo, dell’unione e della sopravvivenza.

D
: Il Comitato Intertribale lavora per la difesa dei diritti dei popoli indigeni. In questo lavoro qual è il valore che ha il diritto alla propria lingua? I popoli indigeni hanno percezione del valore della lingua per il riconoscimento dei loro diritti?
R
: La base del codice linguistico, usiamo questa parola “codice linguistico”, è esattamente legata con tutta la realtà indigena. Questa parola si applica molto bene a contesto indigeno. Il problema è che nelle relazioni con il mondo occidentale, con il mondo colonizzatore, molti popoli nel caso del Brasile persero la loro lingua e in nome delle nuove conoscenze e in nome dell’educazione. In nome della sensibilizzazione moderna. Molti indigeni avevano vergogna nel parlare la loro lingua e delle loro tradizioni di fronte al nuovo e alla nuova lingua che nel caso brasiliano era il portoghese. Molti sostituirono la loro lingua materna. Oggi stiamo riorganizzando il sistema per avere bambini, persone che nel nuovo sistema educativo e con le nuove conoscenze riescano realmente a dominare la lingua originaria che non si apprende nelle università e nelle scuole ma con la mamma, i nonni e le donne. Ciò in relazione con l’educazione moderna in modo che, grazie alla grande capacità e intelligenza, si possano trasmettere questi valori, molti valori indigeni che non possono essere tradotti nella lingua occidentale e i valori che possono contribuire alla pace mondiale, una pace mondiale che può essere conseguita anche identificando la nostra condizione di diversità. Noi ci consideriamo differenti, sovrani dove la sovranità non è una questione territoriale, statale ma una sovranità che parta dal rispetto di quello che siamo.

D: Noi usiamo un metodo di lotta non violenta nella difesa dei diritti umani. La tua organizzazione come si esprime per ottenere il riconoscimento dei diritti umani?
R
: Noi ci basiamo su tre principi. Non possiamo parlare di diritti umani principalmente per i popoli indigeni. Generalmente quello che si può percepire e che i diritti umani sono legati a interessi politici, strategici ed economici. Per noi, per i popoli indigeni i diritti umani sono quelli basati sul riconoscimento di quello che noi siamo e parte di un codice naturale che fa la differenza tra popolo e popolo. Ti spiego meglio. Noi rispettiamo le persone di Roma, per esempio, e rispettiamo ciò che a loro piace, come la pasta, ma noi crediamo nel diritto di mangiare il nostro cibo e usare la medicina originale. Questo tipo di condizionamento non ci ha dato l’opportunità di poter introdurre la nostra base alimentare medicinale, base di sopravvivenza alla modernità. Noi per sopravvivere dobbiamo essere moderni. Il secondo punto è come trattare le nuove tecnologie che hanno un senso nel sostenere l’umanità ma hanno un senso essenzialmente economico, di consumo. Noi siamo consumatori nati ma della natura. Che significa? Significa che noi preserviamo la natura per la nostra sopravvivenza; ci conviviamo e (qui) nella città per voi non è possibile fare questo e il terzo punto è che per ottenere un progresso c’è bisogno del nostro ruolo attivo (protagonismo), un legame tra noi e il mondo moderno che ha avuto la figura di specialisti, esperti che facevano osservazioni consultive, culturali, spirituali, religiose, territoriali a partire da un determinato punto di vista. Questo non può essere applicato a noi perché loro hanno trasmesso queste conoscenze e le hanno adeguate alla realtà di altri, differente. Per questo noi siamo qui per la difesa dei diritti umani. I principi accettati dei diritti umani sono o il diritto individuale o il diritto della persona o il diritto di stato. Noi non dipendiamo da questo diritto. Dipendiamo dal diritto ora chiamato collettivo. Diritto di sopravvivenza di un popolo. Sono nuove sfide per ribadire che noi siamo differenti, per attivare nuovi ingranaggi.

D: La nostra associazione sta lavorando per la costituzione di un Osservatorio Permanente sulle Lingue a rischio di estinzione avendo come obiettivo la registrazione della condizione attuale delle lingue e la possibile condizione futura. La nostra idea per questo “lavoro culturale” è di avere la collaborazione diretta dei nativi e un appoggio da parte del Forum. Qual è la tua opinione riguardo questa iniziativa? Ricordiamo che entro la fine di questo secolo più del 50% delle lingue esistenti oggi sono destinati a scomparire e le lingue indigene sono in maggior pericolo.
R: Un Osservatorio deve considerare la specificità degli indigeni, stiamo parlando del campo indigeno. Perché noi pensiamo che la sopravvivenza linguistica e anche la sopravvivenza di tutte le strutture, sociale, culturale, politica di una nazione indigena è veicolata dal riconoscimento territoriale che possiamo anche chiamare ecosistemico. In questo territorio sono riprodotti vari codici di sopravvivenza. Generalmente il mondo moderno è solito attuare piattaforme di vita, della modernità. Si hanno garage, non andate a piedi per essere più rapidi, dormite male. Sto parlando di questo anche se apparentemente non c’entra con la lingua indigena. Ma è qui che sta la differenza. Ogni nazione vive attraverso la filosofia indigena. Noi, parlo dei Terena, noi abbiamo tre numeri, 1, 2, 3; non abbiamo il 4, il 5 ma attraverso questa ingegneria matematica abbiamo ottenuto quello che serve per l’architettura indigena e l’ingegneria indigena. Questa è una cosa interessante. Per analizzare il codice linguistico. Noi usiamo i parametri della tradizione orale per costituire la nostra società comunitaria. Un Osservatorio linguistico può fare un lavoro di garanzia per rispondere alla tua domanda, di preservazione e identificazione contro la scomparsa. Credo anche che un Osservatorio Permanente deve compiere un lavoro in relazione stretta con le lingue indigene. La prima cosa che credo si debba fare è ascoltare i popoli per prevenirne la scomparsa. Perché la scomparsa di una lingua indigena significa la scomparsa di un popolo. E questo non lo possiamo accettare anche per colpa della disinformazione. E la tecnologia può segnalare tutto con molta rapidità.

D: Marcos, la tua organizzazione e il tuo popolo potrebbero aiutare la nostra associazione [l’ERA – “Esperanto” Radikala Asocio NdA] per questo progetto culturale e linguistico?
R
: Credo che potremo contribuire. Noi, come ho detto all’inizio, non abbiamo molta conoscenza delle tecnologie moderne; abbiamo solo la lingua indigena e le nostre mani. Noi non le controlliamo. Si può dire che se si andasse a fare un lavoro di questo tipo nella Nazione Assurinì, per esempio, loro devono avere la volontà di farlo per dimostrare alla modernità la ricchezza che posseggono. Non lo si può imporre perché hanno un codice spirituale ed essendo anche io indigeno comprendo il loro codice e mi rendo conto della ricchpopoezza dei principi spirituali, culturali, linguistici e ho il sentimento della diversità. È una buona iniziativa per la costruzione di un reale sistema bilingue. Noi abbiamo molto interesse nel conoscere il lavoro dell’Osservatorio e nel collaborare iniziando da una lingua per sperimentare questo nuovo approccio alle comunità indigene.

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