Mal d’ufficio, un’epidemia in Europa

24/01/2005, Il Sole 24 Ore, pag. 1

Mal d’ufficio, un’epidemia in Europa


La sveglia suona presto come ogni mattina e loro vorrebbero essere da tutt'altra parte. Si alzano si preparano e escono di casa. Verso un lavoro che odiano. Pìù di tutti gli Irlandesi (83% di insoddísfattì), un po' meno gli olandesi (32%). Gli italiani stanno il mezzo: 44,5% per cento piazzati al terzo posto sul podio del mugugno, praticamente alla pari con i tedeschi (44%).
Probabilmente le loro aziende – o meglio, í loro capi – non se sono neanche accorte: ma ne avranno mai parlato? Meno male che c'è Internet che funge da confessionale post-mo derno. A registrare lo scontento che serpeggia tra i «colletti bianchi» di tutta Europa è stato infatti Monster, network mondiale leader sul mercato della rìcerca di lavoro online.
La domanda «Che cosa vi piace del vostro lavoro?» a cui fa eco nel 35% dei casi (media dei 13 Paesi interessa ti) la risposta «Niente» è al centro del più recente Monster Meter, indagine che viene condotta periodicamente dal portale nei suoi jobsite nazionali per fare il punto su tendenze e stili di vita in azienda .
Altro che influenza: 830 mila giorni di lavoro persi in 13 settimane tra ottobre
e gennaio in Italia, con un costo dì 50 milioni di € stimato dalla Camera di Commercio di Milano. L'epidemia da «mal d'ufficio» non è un male di stagione. C'è solo da sperare che sia particolarmente virulenta solo nell'universo considerato da Monster – 16.465 risposte di 25-35 enni, al 60% uomini, in gran parte laureati e professional con un' esperienza lavorativa dai due ai cinque anni – e lasci índcnni gli esclusi, ad esempio le donne.
Se quindi Corrado Tirassa, country manager di Monster.it si preoccupa perché «i
dati sembrano dimostrare che l'eccezione è l'esser soddisfatti del proprio lavoro e la normalità non esserlo», sul versante delle aziende c'è chi invita alla cautela, Per esempio Giovanni Fregonese, vicepresidente e responsabile in Italia delle risorse umane della multinazionale farmaceutìca Astra Zeneca – dove il sondaggio è una consuetudine annuale e coinvolge 52mila dipendenti nel mondo – che ammonisce: attenzione, non deve stupire che il popolo dei malcontenti sia particolarmente numeroso proprio tra coloro che frequentano un sito per la ricerca di lavoro. Non manca nemmeno chi i dati li vede in positivo, come i giovani guru della motivazione Luca e Laura Varvelli, che leggono tra le righe una propensione al cambiamento e, perché no, anche una ambizione a fare di più che, però, non trova íl terreno adatto per dare buon frutti.
Del resto, tra gli aspetti che gli europei dicono invece dì apprezzare nel loro lavoro ci sono soprattutto le sfide quotidiane, eccitanti in media per il 26,6% dei rispondenti e particolarmente per svizzeri, francesi e belgi. Non per gli italiani, ultimi in classifica con un modesto 20,6% di amanti dichiarati delle battaglie quotidiane, in ufficio e con la concorrenza.
Chi dichiara di adorare il suo lavoro soprattutto per lo stipendio sono i finlandesí. Oltre il 34% dei visitatori del sito finnico lo ammette, rispetto a un dato europeo del 20% e al 16,9% degli italiani. Mentre i meno venali rìsultano i tedeschi (14%), ma soprattutto gli irlandesi: qui le risposte pro-busta paga, non arrivano nemmeno al tre per cento.
L'ultima preferenza espressa dai visitatori europei di Monster tira in ballo il clima aziendale e i rapporti interpersonali. Gli ambienti di lavoro più armoniosi risultano essere quelli della Svezia, dove il 30% dei rispondenti mette al primo posto i colleghi tra le ragioni che rende piacevole il lavoro. Per gli italiani, un po' a sorpresa, l'ufficio non è il luogo della socialità- visto che solo il 18% indica «le persone».
L'aspetto relazionale importa davvero poco, ìnfine, agli irlandesi (10%), agli inglesi (12.%) e ai lussemburghesi (12 per cento).
La ricerca del «lavoro perfetto»: ecco la spiegazione che Corrado Tirassa, manager alla guida di Monster.it, individua nelle risposte dell'indagine. Una tendenza, ma anche un sogno pericoloso, perchè difficilmente realizzabile, soprattutto dí questi tempi.
«La permanenza nella stessa azienda dagli anní 60 ad oggi è sensibilmente calata – nota Tirassa – da una durata media di 22 anni si è arrivati a meno di cinque. Per un radicale cambiamento del mercato del lavoro, ma anche perchè i lavoratori inseguono questo sogno. È indispensabile che tutti gli attori (istituzioni, sindacati, imprenditori) riflettano su come rendere sempre più piacevole la vita d'ufficio, in linea con le esigenze dei dipendenti».
A Giovanni Fregonese di Astra Zeneca, invece, il prevalere di risposte così negative sul proprio lavoro, come quelle raccolte da Monster, dà «una impressione qualunquista» che si inserisce in una moda corrente: «Quella di parlare male del proprio lavoro, un esercizio a cui tutti si prestano facilmente, come pure lamentarsi dello stipendio – commenta – Però non è solo un problema dell'impresa, che pure ha il dovere di tenere il dipendente sempre informato e richiamarlo alle sue responsabilità, far capire che per avere bisogna dare: sul clima aziendale influiscono infatti anche la passività, la mancanza di iniziativa dei singoli. È un dato di fatto che nelle Pmi, per esempio, ci siano sia consapevolezza che trasparenza».
Se è compito dell'azienda far crescere la cultura delle persone, sostiene Fregonese «queste, a loro voltai, devono avere l'onestà intellettuale confrontarsi con la realtà, guardarsi intorno e cercare di valorizzare quel che l'azienda riconosce in termini di azioni di miglioramento, senza darle mai per scontate».
Anche per Laura V arvelli il «mal d'ufficio» è in parte legato all'atmosfera congiunturale negatíva, «in cui è importante che “nessun goda”, e questo è vero persino ,nelle imprese in cuí le cose non vanno male – commenta la consulente – Nelle aziende in cui la crisi si sente, invece, è indubbio che un malessere ci sia, perchè l'incertezza porta a essere più sospettosi, a cercare motivi di preoccupazione che poí alimentano il tam tam negativo. E anche a mostrarsi meno solidali con gli altri, a lavorare ognuno per il proprio compíto, per fare il proprio budget. E’ un clima di cui gli italìani, che sono più portati alla socialità e al lavoro di gruppo, soffrono molto. É vero, inoltre, che le aziende sono molto attente alla soddisfazione del mercato e poco a quella del “cliente interno”. Si evita di affrontare i conflittí organizzativi, di prendere di petto i problemi».
Cosa dire invece a chi è scontento perchè non si sente valorizzato, e non è solo una sensazione? «In momenti di difficoltà solo chi sa “vendere” bene il proprio valore può avere una chance in più, mentre è dura per chi è meno capace di promuovere se
stesso» continua Luca Varvelli, che mette anche l'accento sulla propensìone degli europei ad attivarsi per cambiare impiego. «Trattandosi dell'indagine di un jobsite, qui siamo di fronte a un campione rappresentativo di chi cerca lavoro – nota Varvelli – e scopriamo che – il 45 % degli italiani che hanno partecipato è disponibile a muoversi. La domanda da fare a queste persone allora è: che cosa stai facendo per cambiare, e a che condizioni lo faresti? Non dimentichiamoci nemmeno di quel 55% complessivo che è contento delle sfide quotidiane o dei colleghi o della retribuzione: questo è un sintomo di vitalità e disponibilità».

Di Rosanna Santonocito

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