MA L’EUROPA NON E’ UNA SCUSA
BRUXELLES
IL PRESIDENTE del Senato, Marcello Pera, seconda carica istituzionale dei Paese, abbandona il ruolo di garanzia che gli compete istituzionalmente ed esorta di fatto a violare i parametri fissati dal Trattato di Maastricht. I limiti del debito e dei deficit pubblico, dice, non devono essere «un alibi» per rinviare il taglio delle imposte. «Altri Paesi hanno potuto convivere con lo sfondamento di questi parametri», spiega con un evidente riferimento a Francia e Germania, che hanno superato il tetto del tre per cento dovendo però fare i conti con un debito pubblico che è poco più della metà del nostro.
SEGUE APAGINA 16
LE DICHIARAZIONI di Pera, rilasciate ad un convegno di Forza Italia, sono una risposta diretta e immediata a quelle del presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini, che aveva invitato a trovare una soluzione della questione fiscale nell'ambito dell'equilibrio di bilancio e nel rispetto delle norme europee.
Esse aprono quindi uno scontro istituzionale al vertice dello Stato. Ma mettono anche in luce tutta la debolezza concettuale dell'approccio di Forza Italia alla questione del risanamento dei conti pubblici. Una debolezza resa evidente dal recente maldestro tentativo del governo di accreditare un fantomatico «asse» italo-tedesco per la revisione del Patto di Stabilità: ipotesi seccamente smentita ieri dal ministro delle Finanze tedesco, Hans Eichel.
In realtà, come si è visto al recente consiglio Ecofin di Bruxelles, la discussione sulla riforma del Patto di stabilità è effettivamente aperta. Ma essa tende piuttosto a restringere i margini di manovra dei Paesi fortemente indebitati, qualil'Italia, concedendo semmai una certa flessibilità sul deficit a chi vanta un debito sotto controllo. Italia e Germania hanno, dunque, obiettivi contrastanti in merito alla riforma del Patto. E le pressioni di Roma per un allentamento generalizzato della disciplina di bilancio, in particolare per sottrarre gli investimenti dal calcolo del deficit, sono state finora respinte sia dalla Commissione di Bruxelles sia dalla maggioranza dei governi europei.
Ma l'anima più eversiva della maggioranza di governo insiste. Dopo aver lasciato degenerare i conti pubblici per tre anni grazie ad una serie dì artifici contabili, invece di individuare i tagli di spesa che renderebbero possibile una riduzione delle imposte si ostina a voler forzare le regole europee per poter spendere soldi che non ha, e che andrebbero comunque messi in conto ai contribuenti nelle prossime legislature.
Quello che Berlusconi continua a non vedere, è che il Presidente Pera finge di non capire, è che il Trattato di Maastricht sull'Unione monetaria, e il Patto di stabilità che ne costituisce il corollario, rappresentano di fatto una Costituzione economica dell'Europa messa a tutela non solo della moneta unica, ma anche degli interessi di medio e lungo termine dei contribuenti europei.
Questa Costituzione materiale impedisce ai governi di acquistare consensi politici spendendo soldi che non hanno e facendo debiti che ricadrebbero sulle spalle degli altri partner comunitari e delle generazioni future: esattamente ciò che Berlusconi sì propone di fare di fronte al fallimento della propria politica economica e in vista della scadenza elettorale ormai imminente.
E’ vero che le rigidità del Patto di stabilità possono, in momenti di stagnazione economica, risultare un ostacolo alla ripresa per questi Paesi che contano su bilanci sostanzialmente sani. Ma la riforma delle regole applicative di cui si sta discutendo non potrà comunque intaccare la sostanza della Costituzione economica europea, che è quella di vietare ogni forma di “deficit spending”, soprattutto quando è mirato a comprare consensi politici a breve termine.
Se c'è qualcuno che usa i parametri europei come un «alibi», non sono dunque quelli che ne invocano il rispetto, ma chi, come Pera e Berlusconi, ritiene che essi siano forzabili o modificabili per far prevalere criteri di bilancio sostanzialmente illusori. Il dibattito sul Patto di Stabilità non è una discussione formale sul rispetto o meno di regole teoriche, ma un confronto sostanziale sull'onestà e la credibilità della politica economica.
Se anche non ci fosse la Costituzione materiale di Maastricht a impedirlo, un'operazione che tende ad aumentare il deficit per varare riduzioni delle imposte prive di copertura di spesa dovrebbe essere vietata dal buon senso e dall'interesse generale del Paese. A condizione che qualcuno se ne curi.
Andrea Bonanni
La Repubblica, 22.11.2004, p. 1