L’EUROPA, UNA QUESTIONE ANCORA IRRISOLTA
di JOSCHKA FISCHER*
La crisi dell’eurozona finirà nel 2013 o si trascinerà per tutto l’anno e forse peggiorerà nuovamente?
Questa probabilmente rischia non solo di essere la questione cruciale per l’ulteriore sviluppo dell’Unione europea, ma anche una questione chiave che influenzerà le performance dell’economia mondiale.
L’Ue ha chiaramente bisogno di riforme interne ma fattori politici esterni sono fondamentali per le sue prospettive di quest’anno. Il primo è legato ai vincoli sul taglio del deficit che l’America si è autoimposto e che potrebbe gettare gli Stati Uniti in recessione, con ripercussioni enormi per l’economia mondiale, e quindi per l’Europa. In secondo luogo, una guerra calda nel Golfo Persico, in cui Israele e/o gli Stati Uniti si confrontassero con l’Iran sul suo programma nucleare, si tradurrebbe in un forte aumento dei prezzi energetici globali.
Entrambi gli scenari aggraverebbero notevolmente la crisi dell’Europa: l’impennata dei costi del petrolio o un’altra recessione degli Stati Uniti potrebbero danneggiare anche le forti economie del Nord Europa, per non parlare dei paesi già depressi nel Sud dell’Europa. Ma, anche in questo caso, le conseguenze umanitarie in particolare nel caso di un’altra guerra in Medio Oriente – molto probabilmente farebbero passare in secondo piano l’impatto di questi scenari sulla crisi europea.
In effetti la crisi in Europa che sembra essere solo economica o di natura finanziaria, in realtà è politica fino al midollo, perché ha rivelato che l’Europa manca di due cose: un quadro politico – ovvero più sovranità – per la sua unione monetaria, e la visione e la leadership per crearlo.
Dallo scoppio della crisi europea nel 2009, l’Ue e la zona euro hanno subito cambiamenti enormi, senza precedenti. Oggi, l’eurozona si sta avviando verso l’implementazione di un’unione bancaria, a cui probabilmente seguirà un’unione fiscale, che a sua volta porterà a una vera unione politica che centralizzerà la sovranità sulle decisioni di politica economica essenziali.
Ma questi sviluppi non sono parte di una strategia. Se non ci fosse stata la crisi, il cancelliere tedesco Angela Merkel e altri leader nazionali dell’Unione europea non sarebbero mai stati disposti a fare questi passi. E non è probabile che le cose cambino nel 2013.
Anche oggi, con i protagonisti chiave della zona euro in apparenza convinti che siamo fuori dal tunnel, la visione ristretta del nazionalismo sta vivendo una rinascita in Europa, e il desiderio di cambiamento sembra rallentare. In particolare, la Merkel vuole essere rieletta nel 2013, e sembra intenzionata a posporre ogni discorso sull’Europa.
Purtroppo, poiché il voto è in programma per settembre, questo significa che tre quarti dell’anno andranno sprecati. E, poiché l`esito più probabile appare un’altra coalizione guidata dalla Merkel (almeno a oggi) piuttosto che un vero e proprio cambiamento di governo, la Germania postelettorale, in mancanza della pressione esercitata dalla crisi, rimarrà ancorata alla politica dei piccoli o minuscoli passi, lasciando l’Europa a se stessa.
Di conseguenza, gli sviluppi nel Sud Europa resteranno un fattore determinante nel corso degli eventi del 2013. La depressione continuerà, oscurando le prospettive di crescita economica in tutta l’Ue e nella zona euro. Il divario tra il Nord ricco e il Sud in crisi si allargherà, mettendo in evidenza i loro interessi contraddittori e aggravando la tendenza dell’Europa verso la separazione, in primo luogo tra il Nord e il Sud, ma anche tra la zona euro e il resto dell’Ue.
La Banca centrale europea servirà come centro di potere della zona ancora più di quanto non lo sia oggi, perché è l’unica istituzione dell’Unione monetaria che può effettivamente agire. Anche se la Bce non ha assolutamente nulla in comune con la vecchia Deutsche Bundesbank, il pubblico tedesco non lo ha recepito. Ma il fatto che il potere della Bce sia solo un sostituto tecnocratico delle mancanti istituzioni democratiche politiche dell’eurozona diventerà un problema sempre più grave nel 2013.
Questo è vero anche, più in generale, per la posizione dominante tedesca nell’Ue. Se dovesse continuare senza nuove norme istituzionali che mutualizzino il suo ruolo all’interno della zona euro, il 2013 sarà un anno di ulteriore disgregazione.
Sarà anche un anno del destino per la Francia, il cui governo è pienamente consapevole del fatto che, senza riforme dolorose, il paese potrebbe essere condannato, l’unica domanda che rimane è se sarà in grado di svilupparle. La risposta determinerà non solo il futuro politico del presidente Frangois Hollande, ma anche il futuro della Ue, perché, senza un forte tandem franco-tedesco, la crisi dell’Europa non può essere superata.
Nel frattempo, le tendenze politiche negative dell’Europa sono rafforzate dall’incertezza della Gran Bretagna sulla permanenza nell’Ue, dalle prossime elezioni politiche in Italia e dall’aggressivo nazionalismo di molti Stati membri. Detto questo, la condizione dell’Europa è ovviamente ben lungi dall’essere stabilizzata, nonostante le recenti dichiarazioni di alcuni leader europei che suggeriscono il contrario.
L’Europa nel 2013 continuerà ad avere bisogno della pressione della crisi per trovare un modo per superarla una volta per tutte. A prescindere dei risultati elettorali in importanti Stati membri dell`Ue, gli europei continueranno a non potersi aspettare molto dai loro leader politici, perché le forze di opposizione in genere hanno poco di più da offrire rispetto ai punti di riferimento storici. Noi vorremmo augurare all’Europa un anno di successo, ma sarebbe sciocco scommetterci.
*Joschka Fischer, ministro degli Esteri tedesco e vicecancelliere dal 1998 al 2005, è stato un leader del Partito dei Verdi tedesco per quasi 20 anni.
(Da La Stampa, 18/1/2013).