12/08/2004, La Repubblica, pag. 11
Il ministro degli Esteri Frattini critica la sinistra: sa solo invocare solidarietà, ma la politica è governare i problemi
“L'Europa poteva fare di più
con Buttiglione cambio di rotta”
di Barbara Jerkov
ROMA-«Solidarietà, solidarietà… non sa dir altro questa opposizione», riflette ad alta voce Franco Frattini. « Di fronte all'emergenza immigrazione», premette il ministro degli Esteri, «la solidarietà è una precondizione, un dovere morale. La politica di governo del fenomeno però è altro. Lo dico con dispiacere, perché in una materia tanto delicata sarebbe bello avere un'opposizione che aiuta a trovare soluzioni e che magari ne propone. Allora, superiamo questo aspetto un po' fuorviante, e soffermiamoci piuttosto su quale debba essere la gestione del fenomeno. E qui certamente l'Italia può rivendicare di essere stata il paese che per primo ha posto la necessità di affrontarlo come tema europeo».
Ecco, ministro: l'Europa. Si dice sempre che ce ne vorrebbe di più.
«Se al consiglio europeo di Salonicco, nel giugno 2003, per la prima volta l'Ue ha approvato una politica comune per l'immigrazione, è stato essenzialmente merito dell'Italia».
Merito innegabile, ma l'Ue non è poi andata molto oltre le dichiarazione d'intenti. O no?
«In effetti quella decisione di Salonicco avrebbe richiesto da parte della Commissione più energia e una più entusiastica applicazione. A Salonicco si è deciso di dar vita a un sistema di controllo europeo delle frontiere marittime, di istituire a un'agenzia, ma soprattutto sono stati messi a disposizione delle prime necessità 250 milioni di euro. Sarebbe interessante capire quanti di quei 250 milioni la Commissione ha effettivamente speso».
Prodi ha tenuto a precisare che in materia di immigrazione i poteri della Commissione sono quasi nulli.
«E' giusto ricordare i limiti ai propri poteri, ma anche le cose che si sarebbero potute fare e invece non sono state fatte».
Sta denunciando un peccato di omissione da parte della Commissione uscente?
«I peccatori sono tanti. Quando l'Italia in una degliultimi consigli ha chiesto di armonizzare le regole sull'espulsionedeiclandestini, vièstata l'opposizione di alcuni paesi nordici, convinti a torto che sia un problema che non li riguarda. Non si rendono conto che il pericolo che fra tanti clandestini si nascondano dei terroristi, è reale e vale per tutti. L'Europa deve fare ancora molti passi avanti».
Spera che con la nuova Commissione Barroso cambi qualcosa?
«Ci spero molto, sì. Specialmente se, come io posso immaginare, e a questo punto augurarmi, il professor Buttiglione farà proprio il commissario alla Giustizia e agliAffari interni. Un italiano potrà più efficacemente di tanti altri far fare alla politica europea quei passi avanti che ad oggi sono mancati».
Fin qui l'Europa. E cos'è che invece sta facendo l'Italia?
«Visto che l'Ue ancora zoppica, già prima di quest'ultima emergenza ho chiesto ai miei due colleghi di Sp agna e Francia di partecipare a un incontro a tre promosso dall'Italia. Oggetto: definire una strategia comune di governo dell'immigrazione, intanto fra i paesi più direttamente interessati. Poi c' è tutto l'impegno delgoverno italiano per coinvo lgere i paesi di transito e i paesi di origine dell'emigrazione. E' la chiave di volta di una politica seria di gestione dei flussi migratori: usare la cooperazione allo sviluppo come strumento per creare ricchezza sul posto e disincentivare le partenze. Lo abbiamo fatto con successo con l'Albania e in Egitto. Oggi lo stesso stiamo facendo con i paesi del Maghreb. Con la Tunisia e la Libia, in particolar modo. Questa cooperazione d'altra parte deveessere anche di stimolo per i paesi beneficiari affinché anch'essi facciano la loro parte con maggiore determinazione in termini di controllo dei traffici illegali».
La Libia, diceva. Un paese cui tanti in Europa ancora guardano con diffidenza e che invece Roma tratta dainlerlocutoreprivilegiato.
«Abbiamo accompagnato la Libia in un percorso di trasparenza sulle attività nucleari e chimiche, condanna del terrorismo, indennizzo alle vittime occidentali degli attentati. Oggi il nostro rapporto con la Libia è non solo eccellente, ma rappresenta un autentico investimento».
Un investimento?
«Quando diciamo che va ridotto e progressivamente eliminato l'embargo sulle forniture disicurezza di cui la Libia ancora soffre, lo diciamo nell'interesse di tutta l'Europa. Speriamo che lo capiscano anche quei due o tre paesi che ancora resistono, perché aiutare i libici ad aiutarci è interesse comune. La Libia ha un ruolo chiave anche in quella “cooperazione allo sviluppo triangolare” su cui misto personalmente impegnando».
Cooperazione triangolare? Cosa significa?
«Sa cosa mi ha detto una volta il mio collega ed amico libico Shalgam? “I disperati che arrivano dal Sudan o dalla Costa d'Avorio, vengono da noi e ci considerano un paese ricco. Come puoi pensare che ai nostri fratelli africani più poveri noi risponderemo con le armi alservizio di voi ricchi europei?”. Una frase che dice tutto. Come possiamo noi, “ricchi europei”, chiedere ai fratelli africani di uccidersi tra loro perla nostra salvezza?».
Non se ne esce?
«La strada per uscirne è una cooperazione che l'Italia insieme alla Libia e insieme alla Tunisia, diventati luoghi di transito fra il sud e il nord del mondo, realizza, ad esempio, in Costa d'Avorio. Programmi triangolari, appunto, in cui noi impieghiamo le risorse, loro ci mettono la loro accettabilità nel continente africano, che senz'altro è maggiore della nostra. Naturalmente questa politica richiede una condizione essenziale».
Quale, ministro?
«Se i fondi per la cooperazione verranno tagliati, come si è già tentato di fare lo scorso luglio, tutto il nostro impegno sarebbe vanificato. Tra l'altro, per le finanze dello Stato è immensamente più costoso dispiegare un sistema di controllo in mare, centri di accoglienza che si moltiplicano, reiezioni e respingimenti, piuttosto che sperimentare un meccanismo che riduce efficacemente il fenomeno».
L’Europa poteva fare di più con Buttiglione cambio di rotta
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