Da “Il Riformista”
DI TARIQ RAMADAN
Quasi tutte le nazioni nel mondo hanno accolto con entusiasmo l`elezione del presidente Barack Obama negli Stati Uniti. Giunti finalmente al termine degli otto anni bui dell`Amministrazione Bush, Obama ci ha riavvicinato ai valori democratici, a una politica intelligente, ragionevole e aperta. Le prime decisioni hanno soddisfatto le aspettative: annuncio del ritiro volontario e programmato dall`Iraq, chiusura di Guantanamo entro l`anno, cessazione immediata delle “consegne straordinarie” (extraordinary renditions) e chiusura dei centri di detenzione e tortura in tutto il mondo. Si è compiuta la rottura con le menzogne e con la strumentalizzazione della paura che hanno caratterizzato l`era Bush. Bisogna festeggiare. Come abbiamo già avuto modo di scrivere, non dobbiamo però essere ingenui. Barack Obama non viene dal nulla e tutte le forze politiche, economiche e mediatiche che hanno contribuito alla sua elezione (milioni di dollari investiti nella campagna elettorale per plasmarne l`immagine pubblica) si sono rese conto che gli Stati Uniti avevano bisogno di una rottura, di un cambiamento di politica e d`immagine sulla scena internazionale. Nell`elezione di Obama ha avuto un ruolo anche quello che in inglese si chiama “PR exercise”, ossia una “operazione di pubbliche relazioni” di natura mondiale e internazionale. La questione cruciale consiste nel capire se si tratta solo di una questione di forma o se ci troveremo davvero di fronte a una nuova politica americana. A volte, Obama viene messo a confronto con Kennedy o Clinton: non dimentichiamo le conseguenze drammatiche, a volte disumane, di alcune decisioni prese da queste figure apparentemente “positive” della presidenza americana. Per esempio, l`embargo nei confronti dell`Iraq, deciso da Clinton e dalla sua Amministrazione, ha provocato la morte di centinaia di migliaia di civili innocenti, più del regime del terrore dello stesso Saddam Hussein e un numero probabilmente equivalente all`invasione militare decisa da George W. Bush. Lontano dalle telecamere, nei saloni ovattati di Washington, sono state prese e continueranno a essere prese decisioni dure. Quando non era ancora “presidente eletto”, Obama ha condannato pesantemente gli attentati terroristici in India ma è rimasto in silenzio durante la disastrosa offensiva di Gaza: è stata presentata come una “guerra”, oggi sappiamo che si è trattato di un massacro. Non solo esperti e medici ma anche le Nazioni Unite sostengono sempre più che si è trattato di “crimini di guerra”. Silenzio da Washington. Sappiamo che gli Stati Uniti si trovano in una situazione economica, politica nonché ideologica, particolarmente difficile. Per salvarsi, deve liberarsi dall`arroganza e dall`unilateralismo anche nel caso in cui la sopravvivenza economica dipenda dall`imposizione ad altri delle proprie regole e decisioni. Il cerchio si chiude. I Paesi europei, conoscendo e identificando tali difficoltà e necessità, potranno svolgere un ruolo più chiaro nel riposizionamento delle forze e degli equilibri politici ed economici internazionali. La crisi economica globale ci ha convinto che gli Stati Uniti erano più preoccupati dalla Cina che dall`Europa, la quale sembrava relegata a un ruolo di secondo piano nell`ambito economico e politico. La forza dell`attivismo europeo, con la figura di Nicolas Sarkozy, non li deve spaventare poiché esso si situa chiaramente in una posizione di dipendenza nei confronti degli Stati Uniti. Oppure, dovremmo sperare di vedere concretizzata la situazione contraria. Come ricordava l`ex primo ministro olandese, Ruud Lubbers, è necessario che l`Europa smetta di sperare nei cambiamenti degli Stati Uniti restando passiva. L`Unione europea deve stabilire una linea di condotta, impegnarsi completamente sulla scena internazionale e avere un atteggiamento diverso da quello del semplice spettatore. Se si considerano le difficoltà e le necessità degli Stati Uniti nel momento del cambio di Amministrazione, si comprende la necessità di una simile rottura nel Vecchio continente. L`Europa politica, intellettuale e ideologica deve operare la sua rivoluzione intellettuale: senza questo risveglio, con o senza Obama, niente cambierà. Trarre profitto dalla debolezza attuale degli Stati Uniti non per cercare di dominare ma per prendere coscienza della propria forza, delle proprie risorse e del proprio potenziale. Invece di ripetere sempre il ritornello della sicurezza, dell`immigrazione, di una politica mediterranea fondamentalmente falsata e di un atteggiamento tentennante e debole in Medio Oriente, è importante che si facciano strada nuove idee in Europa che siano in grado di sostenere una politica interna ed estera diversa. Piuttosto che attendere gli adattamenti strutturali degli Stati Uniti in materia economica, sarebbe auspicabile che l`Europa cominci una vera politica economica multipolare diversificando le alleanze e riesaminando i fondamenti stessi delle scelte etiche in quest`ambito. Le voci europee che accolgono favorevolmente l`elezione di Obama per dare un nuovo credito alla loro volontà di sostenere le sue scelte non fanno bene né all`Europa né agli Stati Uniti: dietro i bei discorsi convincenti, ci ingannano e ci propongono le stesse crisi, gli stessi scandali e gli stessi orrori celati dalle messe in scena ufficiali e mediatiche. La società civile deve restare vigile. Spetta a noi, cittadini europei, osservare le evoluzioni politiche e ideologiche e spingere gli organismi politici verso un impegno più coraggioso. Riconciliare i nostri politici con la politica e l`etica non è una cosa semplice: abbiamo il diritto di parlare, di essere critici e di denunciare le menzogne sull`economia dei ricchi, sul trattamento disumano degli immigrati, sulle ingiustizie sociali, sulla politica internazionale nella quale gli Stati Uniti hanno un ruolo catastrofico e sulla complicità inaccettabile dei nostri Stati europei. E un nostro dovere non solo morale ma anche di cittadini. Senza una nuova Europa, non ci sarà una nuova America, nonostante
Obama. Avremo quello che ci meritiamo.