31/07/2004, Il Sole 24 Ore, pag.8
L’EUROPA LONTANA DAGLI EUROPEI
Di Alain Touraine
A più di un mese di distanza dalle elezioni europee possiamo ancora riflettere su un fenomeno che ha fatto da padrone in queste consultazioni. Mi riferisco, ovviamente, alla crescita dell'astensionismo. Osservazione semplice, questa, che deve essere però completata da altre due. La prima è il livello estremamente basso di partecipazione politica nei nuovi Paesi dell'Unione europea, in particolare in Polonia e in Slovacchia. La seconda è che diversi Paesi hanno inandato al Parlamento di Bruxelles candidati anti-europeisti anche se gli oppositori “sovranisti” francesi di destra, estrema destra ed estrema sinistra hanno perso terreno, almeno in parte.
Alla luce di questo complesso di osservazioni non ci si può esimere dal dire che il Parlamento Ue appena rieletto non è rappresentativo. La gente non ha votato pro o contro uno o l'altro progetto europeo: ha votato per un partito nazionale, per le misure sociali o economiche adottate dal rispettivo Governo.
In Germania, in Francia e in altri Paesi, la questione principale è la trasformazione del sistema del Welfare state, eccessivamente appesantito e in taluni casi poco efficiente, per creare un nuovo modello sociale europeo. sempre lontano dal modello liberale che domina il mondo, eppur capace di inventare nuove modalità non statali di gestione della spesa pubblica ottenendo risultati migliori. Al prezzo, però, dell'abbandono della “mitologia”, soprattutto francese, del settore pubblico (i cui risultati negativi sono pure visibili nell'attuale crisi del sistema universitario e ospedaliero di un Paese come la Francia che vantava un'eccellente reputazione in questi campi).
Il problema di questo passaggio da un tipo di garanzie sociali a un altro è talmente difficile da far apparire comprensibili sia le esitazioni dei partiti e dei Governi sia la violenza con cui i sindacati si oppongono a qualsiasi trasformazione. Eppure queste trasformazioni sono imperative: è una questione di vita o di morte. Ci fosse un Governo che corra il rischio di vedersi respinto per avere imboccato questo periglioso cammino!
Il cancelliere Schróder in Germania ha recentemente pagato a
carissimo prezzo i tentati i di riforma e anche sc l'azione di Raffarin in Francia non si è ancora tradotta in grandi riforme, ha già attirato l'ostilità del principale sindacato, la Cgt. in un confronto che si sta estremizzando – proprio quando il Parlamento ha appena approvato la trasformazione dello statuto di Electricité de France e di Gaz de France che permetterà allo Stato di vendere una parte del capitale delle stesse.
Fino a quando e fino a che punto si spingerà questa dissociazione della costruzione europea e dell'opinione pubblica del continente? Inquietante.. attualmente, è il fatto che tutti gli indizi vanno nella stessa direzione: non partecipazione, talvolta estrema; condanna dei Governi che hanno imboccato la via delle riforme: l'Europa sembra preferire l'immobilità al cambiamento, in parte perché non esiste alcuna continuità tra le decisioni dei Governi e quelle dell'Unione europea.
È troppo facile dire che l'unificazione europea va avanti malgrado tutte le difficoltà. Già in occasione dell'incontro di Nizza aveva destato preoccupazione la vittoria netta degli interessi nazionali sulle esigenze della costruzione europea. Da allora, la situazione si è aggravata, soprattutto nella misura in cui si è formato, con brusche virate dell'opinione pubblica, un insieme di partiti antieuropeisti che poggiano sulla convinzione di una minoranza, ma soprattutto sull'indifferenza e l'assenza di informazione e di capacità di scelta della stragrande maggioranza degli europei.
Certo, è necessario che tale apparato economico-amministrativo europeo realizzi il difficile compito di dare qualche chance all'Europa nello scenario della concorrenza mondiale. In tal senso, la costruzione europea rientra nel generale processo di globalizzazione. Parallelamente, in Europa sale da tutti i fronti una crescente ostilità contro questa globalizzazione che viene confusa con l'egemonia americana.
Anche se molti Governi hanno appoggiato la guerra americana in Irak, le opinioni pubbliche si sono vivamente opposte alla guerra e non è difficile tracciare un collegamento tra questo rifiuto di una politica a tendenze liberiste e le crescenti minacce gravanti sul modello sociale europeo e le protezioni che ha recato con sé nel mondo intero. Al punto in cui è arrivata questa dissociazione, i dirigenti europei non possono più intervenire.
Sta ai Governi nazionali accelerare le riforme necessarie, dimostrare che è possibile prendere le distanze dal vecchio modello di Welfare state per creame uno nuovo. Hanno ragione i Governi che porteranno avanti il proprio compito malgrado lo scacco subito, perché il movimento per le riforme ha preso il via e dovrebbe continuare a qualsiasi costo.
E nell'interesse di tutti i Governi passare attraverso questo muro di fuoco nella speranza che l'opinione pubblica sarà loro riconoscente per i rischi che si sono assunti e per aver trovato soluzioni più o meno soddisfacenti, mentre molti dirigenti, come Lionel Jospin in Francia, non avevano osato affrontare la grande arena delle riforme. Quindi bisogna puntare il mirino più sulle capitali nazionali che su Bruxelles ed è solo ri-mobilitando l'opinione pubblica e ristabilendo una certa pace sociale che l'Unione europea potrà tentare di riguadagnarsi la fiducia dei suoi cittadini, che ha perso.