EUROPA
Un commissario per le piccole e medie imprese
Il nuovo contratto su base territoriale degli artigiani rappresenta un tentativo di innovazione dal basso? Aldo Bonomi ne parla con Guido Bolaffi, segretario generale di Confartigianato. Secondo il quale l'innovazione oggi passa anche da una rappresentanza del sistema delle imprese. Confindustria non può più governare come un sovrano assoluto. Occorre che tutte le imprese definiscano le priorità per rilanciare il sistema-Paese. E lancia un appello perchè l'Italia chieda un commissario europeo per le piccole-medie imprese e per gli artigiani. L'Europa a 25 lo esige.
ALDO BONOMI. Dai Dialoghi sull'economia e sulla società italiana, pubblicati su Europa, è emersa una grande attesa nei confronti della nuova Confindustria, dell'emergere di una nuova media impresa italiana capace di leadership e soprattutto della possibilità di un'innovazione dall'alto. Molti citano come esempio il nuovo contratto su base regionale degli artigiani che rappresenta certamente un esempio di innovazione, ma dal basso. Voglio dire che spesso si tende a guardare la punta della piramide, aspettando che dall'alto cali l'innovazione dentro i sistemi della rappresentanza. Aggiungo che questa tendenza si avvertiva anche prima dell'arrivo di Montezemolo alla guida di Confindustria. Penso al ridicolo tentativo di modernizzazione dall’alto, per smantellare rarticolo 18 in accordo con il governo, che in realtà non ha portato a nulla. Per questo mi sono detto che forse era meglio andare a parlare direttamente con Guido Bolaffi, che rappresenta Confartigianato, cioè gli artigiani, i piccoli. Vorrei chiederti se, anche secondo te, esistono elementi di innovazione, dal basso evidentemente, cioè da parte di coloro che vengono ritenuti i piccoli, i marginali.
GUIDO BOLAFFI. Tu parli di innovazione dall'alto e dal basso. lo ho una convinzione meno netta nel senso che l'innovazione dall'alto si può fare, anzi non c'è nessuna innovazione che non abbia una componente che arrivi dall'alto, così come penso non ci sia innovazione dall'alto che per esistere non debba penetrare profondamente nella base. Uno dei nodi del problema Italia è quello della leadership. Oggi siamo in presenza di una grave crisi di leadership, nel senso nobile, più profondo e più elegante del termine, cioè di qualcosa o qualcuno in grado di mettere in discussione con i propri principi anche le prospettive della propria impresa, della propria associazione, del proprio paese. Spesso questa crisi di leadership viene confusa con l'assenza della storica guida esercitata da Confindustria. Qui, a mio parere, si rischia di fare confusione come in un gioco di specchi: poiché si sente la mancanza di una leadership allora si pensa che questa possa essere riproposta da un modello di ruolo che storicamente ha ricoperto Confindustria nei confronti del sistema delle imprese e dell'economia del nostro paese, e che oggi è cambiato. Da questo punto di vista tu definisci “dal basso” il rinnovo contrattuale firmato dagli artigiani solo perché sono piccoli…
BON. No, perché stanno nell'orizzontalità e hanno meno visibilità.
B. Certo, sono meno visibili e meno importanti.
BON. E meno rappresentati…
B. Perfetto, ma andiamo oltre. Nel caso del contratto è stata fatta anche un'operazione dall'alto, che è consistita nell'aver capito che il trend politico della precedente stagione di Confindustria, cioè la rottura sindacale come conditio sine qua non per l'innovazione, era miope e che in realtà era possibile produrre innovazione su contenuti e idee forti che costringesse anche la parte più conservatrice del sindacato a fare i conti con se stessa. Oggi il punto è capire quanto si è disposti a non ricorrere a modelli ormai obsoleti di innovazione scambiandoli per innovazione. L'altro nodo riguarda le forme del conflitto sindacale. Io penso che l'idea di un conflitto a somma zero, per cui uno vince e l'altro perde, non vada da nessuna parte: è stata distrutttiva sia per il sindacato che per il sistema delle imprese. Un modello di relazione industriale che voglia funzionare è a somma positiva, e presuppone da entrambe le parti la disponibilità a mettere in discussione principi, idee e interessi che sembrano consolidati e intoccabili.
BON. Analizziamo da questo punto di vista il vostro contratto, anche perché – essendo innovazione “dal basso” – nessuno ne sa niente. Fosse stato siglato da Confindustria riempirebbe le prime pagine dei giornali: in Italia è duro a morire quel modello per cui bisogna guardare cosa fa Confindustria a Palazzo Chigi, e da lì discendono tutte le relazioni industriali. Ma oggi non è più così.
B. A questa osservazione io replico con la cultura del maratoneta che fatica molto più di Schevcenko e Totti, è molto più atleta di loro e molto meno conosciuto!
BON. Siamo tutti mediani da questo punto di vista.
B. Noi artigiani abbiamo deciso di puntare sul sindacato quando viveva la fase di massima debolezza, concedendo aumenti non indifferenti a un sindacato che non era in grado di organizzare gli scioperi dei lavoratori. Se la logica fosse stata quella distruttiva e a somma zero avremmo potuto dire ai nostri aderenti: schiacciate la rappresentanza sindacale là dove esiste (perché nelle piccole imprese praticamente non esiste). E invece abbiamo fatto il contrario. Ci siamo detti che dovevamo aiutare il sindacato chiedendogli però di mettere in discussione qualche suo antico tabù per arrivare a uno scambio.
BON. La cultura nella negoziazione…
B. Abbiamo chiesto che venissero prese in considerazione almeno due questioni: che non si può continuare a pagare allo stesso modo lavoratori di zone nelle quali il costo della vita è differente e di realtà produttive in cui la produttività è differente. O si fanno i conti con questi fatti oppure continuiamo nelle vecchie logiche del muro contro muro. Questi due punti sono stati accolti: ora cercheremo di capire in che cosa si tradurrà concretamente il contratto.
BON. Riassumo. Il tasso di innovazione di questo contratto si basa sulla territorializzazione a livello regionale (anche perché ormai le politiche economiche su piccola impresa e artigianato sono demandate alle regioni) e sulla negoziazione con il sindacato. Naturalmente sarà molto importante valutare i contenuti del primo contratto regionale che sarà firmato e dove sarà firmato perché costituirà un modello da molti punti di vista. Vorrei andare oltre nel nostro ragionamento. Il consistente tessuto produttivo degli artigiani è diviso in due grandi blocchi: il primo è quello che si colloca dentro le filiere delle medie imprese che fanno innovazione e internazionalizzano; il secondo è quello oggi in grande difficoltà sotto la pressione della globalizzarione. Il vero problema, io credo, sono gli artigiani e i piccoli imprenditori che hanno paura della Cina. Mi auguro che il nuovo meccanismo contrattuale parta presto in alcune aree, come il Nordest: dobbiamo cominciare a porci il problema di una cassa integrazione per chi è in diflicoltà e di un supporto all'innovazione per chi invece riesce a vedere il futuro. Cosa ne pensi? B. Il problema centrale è quello della riorganizzazione del sistema della rappresentanza delle Imprese. In Italia si discute tanto di sindacato, di rappresentatività, di rappresentanza del sindacato.
BON. E ci si divide tra chi pensa che l'innovazione debba arrivare dall'alto e chi pensa – come me – che la legittimazione della rappresentanza dipenda dalla rappresentanza vera degli interessi.
B. Non c'è dubbio. In Italia, caso unico in Europa, la rappresentanza degli interessi dell'impresa è molto frammentata.
BON. I tavoli a Palazzo Chigi a volte fanno un pò ridere: bisognerebbe fare tavolate, non tavoli..
B. E si finisce per non capire chi rappresenta chi ,finendo per indebolire l'interlocutore politico che deve accontentare una platea troppo ampia. Il sistema delle imprese avrebbe l'obbligo di mettersi attorno a un tavolo -da Confindustria a Confartigianato alle altre associazioni – e stabilire un principio “costituente” al proprio interno, cioè definire quali sono le quattro o cinque priorità fondamentali per la modernizzazione dell'Italia. Il diritto assoluto della grande impresa e la subordinazione della piccola è un discorso da monarchia assoluta che non esiste più, che è tramontata dopo l'89 francese!
BON. È quello che io chiamo il passaggio dal fordismo al postfordismo: il postfordismo non è gerarchico ma orizzontale.
B. Stabilire quali sono le quattro-cinque priorità consentirebbe non di unificare gli interessi (perché tanto gli interessi non si unificano, quello è un sogno tardo-sindacale che è fallito), ma quali siano i principi confederali che consentono al sistema delle imprese di presentarsi unito all'interlocutore politico: in Europa, in parlamento, in regione. Tutti per uno, uno per tutti. Questo è un tema non più eludibile. Tutti sanno che una parte della nostra produzione dev'essere riorganizzata e modernizzata. Il punto fondamentale è fissare una “magna charta” che indichi quattro o cinque priorità a partire dal sistema delle imprese che dal basso si riorganizza e non aspetta che il Leviatano politico fissi dall'alto, con il bastone, chi comanda. Il resto, poi, lo deciderà il mercato, ma questo nucleo fondamentale va assicurato perché non ci si perda in una guerra di logoramento che non porta da nessuna parte.
BON. Hai toccato un nodo fondamentale: il problema che tu chiami della leadership e io della classe dirigente o della neoborghesia. Mi pare che i due schieramenti politici italiani siano un pó prigionieri della loro storia e dei loro “successi”. Nel centrosinistra sembra prevalere il riflesso condizionato del rapporto tra capitale e lavoro che ha caratterizzato tutto il Novecento. Nel centrodestra si punta sulla personalizzazione della leadership, sul neopopulismo, sui rapporti diretti tra il premier o chi rappresenta il territorio (penso alla Lega) e la composizione sociale, con il risultato di saltare di fatto le rappresentanze. Mi pare, tuttavia, che qualcosa di nuovo stia emergendo e faccia ben sperare. Nel Dialogo su Europa, Pierluigi Bersani ammetteva che quando il centrosinistra tornerà a governare dovrà aprire un tavolo perché «fraternamente ci si possa dire alcune cose» (questa è l'espressione che ha usato). Come dire: va bene, abbiamo fatto la concertazione per l’euro per entrare in Europa ma ora dobbiamo dirci chi rappresenta cosa. Un discorso di verità che mi sembra andare nella direzione che tu auspichi. Il ceto politico sembra aver capito che si esce da questa crisi solo se si dialoga in modo nuovo con le rappresentanze. Ma la vera questione è che le resistenze sono spesso dentro le rappresentanze stesse: penso alla tendenza a difendere la propria nicchia o meccanismi di egemonia e supremazia.
B. Per confermare quello che dici ti racconto un episodio illuminante. L'anno scorso, in piena campagna referendaria sull'articolo 18 (che, come sai, non è stata una battaglia ingaggiata da Confartigianato), Confindustria firmò un accordo con Cgil, Cisl e Uil su innovazione e mezzogiorno. Un accordo che ci stupì molto visto che la Cgil in quel momento faceva parte del fronte avverso. Da parte di Confindustria è stata una mossa da assolutismo politico che, al confronto, Luigi XIV era un moderato. Molti si sentirono umiliati e calpestati da quella scelta, e da un leader di un'organizzazione del commercio come reazione arrivò la proposta di costruire – un fronte unito contro Confindustria. La Confartigianato rispose secondo un principio classico della la politica per cui a un errore non si risponde con un altro errore. Che cosa rivela questo episodio? Il rischio che spesso ci si possa trovare in u 'alternativa tra l'essere annessi a Confindustria o ribellarsi come Masaniello. Due posizioni che . non portano da nessuna parte. Per questo penso sia necessaria una fase costituente del mondo delle imprese, per darsi regole, un volto, una . politica e dei principi interni che consentano di, coesistere. Se la Germania può coesistere con il Lussemburgo in Europa, non vedo perché Confidustria non possa coesistere con gli artigiani.
BON. Vorrei ricordare che il tuo approdo al contratto regionale degli artigiani parte da un lavoro di lungo periodo. Tu hai organizzato una convention di Confartigianato nella quale hai invitato a salire sul palco non i rappresentanti del governo, ma i presidenti delle regioni. Anche se con meccanismi di federalismo ancora incompiuto, oggi i vostri interlocutori sono soprattutto le regioni. E poi vorrei segnalare un altro elemento. Per le elezioni europee tu hai gettato nel dibattito politico una provocazione intelligente: hai detto che anche alla luce dell’allargamento a Est, occorre che l'Italia rivendichi un commissario europeo ad hoc per le piccole-medie imprese e per l'artigianato.
B. Oggi i principali interlocutori delle piccole imprese sono le regioni e Bruxelles. Il polo delle regioni è ancora tutto da costruire, ma anche a Bruxelles c'è molto da cambiare: le politiche europee oggi sono ritagliate sul modello della grande impresa e non parlano alla figura di quello che tu chiami il capitalista personale, né sul welfare e sugli ammortizzatori sociali, né sulla formazione, e nemmeno sugli incentivi. Nel momento in cui il piccolo imprenditore va in crisi a causa della Cina nessuno gli insegna che cos'è la Cina, che cosa rappresenta e come affrontarla
BON. Quindi tu sogni delegazioni europee e regionali di cui non facciano parte solo i quattro industriali di riferimento e i politici?
B. Vorrei evitare che i piccoli debbano fare tutto da soli. Tu toccavi anche l'aspetto dell'allargamento a Est. Con l'ingresso dei nuovi paesi, ci troviamo di fronte a uno scenario nuovo: nell'Europa a venticinque il 70 per cento delle imprese private industriali e dei servizi ricade nel bacino delle piccole imprese o dell'artigianato. E allora mi dico: vogliamo scherzare con l'Europa o vogliamo che nella nuova legislatura svolga un ruolo di leadership per realtà che subiranno dei traumi da modernizzazione molto seri? Di qui l'idea di un commissario europeo, con un suo budget e la possibilità di costruire un'agenda politica europea, che possa rendere possibile la modernizzazione senza traumi.
BON. Tu sai bene che fino ad oggi l'Europa è stata vista dagli artigiani come una matrigna, quella che impone regole e normative molto rigide e quella della moneta unica, che ha fatto tramontare il meccanismo della svalutazione competitiva sul quale il sistema delle piccole imprese si era retto e rivitalizzato. Oggi il problema è far sentire l'Europa come una madre che accompagna. In questo senso l'Italia può svolgere una funzione storica rispetto agli altri paesi, perché rappresenta un laboratorio di questi modelli di sviluppo.
B. Tra tante difficoltà che oggi l'Italia vive in politica estera, io credo che se la nostra diplomazia e le nostre istituzioni avessero il coraggio di rivendicare un commissario per le piccole imprese e gli artigiani, sarebbe un atto di potenziale modernizzazione pari a quello che i padri fondatori dell'Europa decisero con l'adesione dell'Italia prima alla Comunità del carbone e dell'acciaio e poi al mercato comune, scelte che furono le chiavi di volta per un'accelerazione della modernizzazione italiana.