ACADÉMIE FRANÇAISE E CRUSCA COME DIFENDERE LA LINGUA
Qualche giorno fa lei ricordava che in Francia la difesa della lingua e della sua correttezza è affidata alla prestigiosa Académie française. Ma in Italia esiste un’Accademia, per quanto concerne la lingua, non meno antica e prestigiosa. Mi riferisco all’Accademia della Crusca la cui funzione nei secoli è stata di separare la farina dalla crusca, ossia di garantire l’esistenza di un idioma nazionale attraverso la pubblicazione del Vocabolario della lingua italiana. Oggi però la Crusca si dimostra timida nel far sentire la sua voce all’esterno ovvero oltre la cerchia degli accademici, quando, ne sono certo, sarebbe, considerata la sua autorevolezza, ascoltata ovunque. Alberto Abrami alberto.abrami@unifi.it
Caro Abrami,
Le due Accademie sono alquanto diverse. La Crusca è una istituzione dedicata allo studio della lingua e i suoi cinque dizionari (da quello del 1612 a quello del 1923) hanno avuto una grande influenza sulla evoluzione della lingua italiana. Le si può rimproverare di non essere ancora riuscita a realizzare il programma lanciato da Giacomo Devoto all’inizio degli anni Settanta per un’opera che avrebbe dovuto «documentare la formazione storica e lo sviluppo della lingua nazionale in tutti i suoi aspetti e applicazioni e livelli, dai letterari agli scientifici, dai pratici e tecnici ai familiari». Ma le sue riviste specializzate e le sue pubblicazioni sono un importante patrimonio nazionale. L’Académie, invece, è un grande «salotto culturale» composto da 40 «immortali» (oggi sono 39) che rappresentano la letteratura, la scienza, il mondo politico e, di tanto in tanto, anche quello religioso e militare. Si diventa «immortali» con un atto di candidatura seguito da una campagna auto promozionale durante la quale l’aspirante bussa alla porta dei membri per una visita di cortesia che dovrebbe assicurargli il loro voto. Esistono abiti liturgici (l’uniforme verde, gli alamari, la spada) e una «messa solenne», la cerimonia dell’accoglienza, quando il neo eletto pronuncia un discorso in onore del collega defunto di cui ha ereditato la poltrona. Il principale compito di questo grande salotto francese è, per l’appunto, la redazione del dizionario. Ma i membri del sodalizio non sono, se non occasionalmente, linguisti. Sono uomini di cultura che hanno scritto romanzi, poesie, saggi storici e politici, trattati scientifici, discorsi politici, diari. Sono persone che debbono il successo della loro vita all’uso della lingua francese. Nel loro modo di lavorare al dizionario vi è quindi un elemento che non esiste negli accademici della Crusca e che potremmo definire «gusto». Ecco un esempio fra molti. Nel 1984 il Primo ministro istituì, senza consultare l’Académie, una commissione per la scelta delle parole che avrebbero dovuto definire le professioni e le funzioni esercitate da una donna. Gli accademici obiettarono che il maschile, nella lingua francese, è un genere «non designato» («non marqué») e può essere utilizzato indifferentemente per uomini e donne. Inventare una parola al femminile per funzioni e titoli sinora utilizzati al maschile (per esempio ministro o ambasciatore) avrebbe avuto l’effetto paradossale di creare fra i due sessi una sorta di separazione. Fra il governo e l’Académie vi furono altri battibecchi sino a un rapporto del 1998 con cui la Commissione generale di terminologia e neologia ribadì, come aveva sostenuto l’Académie, che l’adozione di parole nuove per le funzioni al femminile non è «auspicabile». Sergio Romano
(Dal Corriere della Sera, 1/11/2009).
[addsig]