LA VERA SFIDA E' L'ALLARGAMENTO DELL'UNIONE
Il 29 ottobre prossimo a Roma verrà apposta dai Capi di Stato e di Governo dei 25 paesi membri dell' Unione Europea la firma al Trattato scaturito dalla Convenzione presieduta da Valery Giscard d’Estaing con le successive modifiche apportate al testo dalla Conferenza Intergovernativa conclusasi nel giugno scorso a Bruxelles. Il nome ambizioso – Trattato che istituisce una Costituzione per l'Europa – e la scelta di firmarlo a Roma, dove venne sottoscritto nel'57 il Trattato che istituì il Mercato Comune, tendono a dare solennità all'avvenimento.
In realtà i contenuti del Trattato non corrispondono né al titolo né al precedente storico del 1957. Esso rappresenta sostanzialmente una modificazione, non particolarmente incisiva, delle regole istituzionali che governano oggi l'Unione europea: si tratta sostanzialmente di una ulteriore elaborazione rispetto ai trattati europei di Maastricht, di Amsterdam e di Nizza e di ima sistematizzazione dei contenuti delle norme di diritto che regolano i rapporti interni all' Unione Europea. Per questo motivo appaiano eccessivi sia gli entusiasmi di chi ritiene che il Trattato segni la nascita della nuova Europa, sia l'ostilità di quanti si oppongono perché ritengono che esso farebbe nascere un super Stato europeo, o perché temono da sinistra, i contenere dosi di liberalismo incoinpatibili con il cosiddetto “modello sociale europeo”.
Da queste considerazioni che possono essere sostanziate da un'analisi del testo, segue la conseguenza che non si giustifica per l'Italia l'ipotesi di ricorrere ad un referendum per decidere se ratificare o meno il Trattato. E' vero che già 11 dei 25 paesi dell'Unione hanno deciso di procedere su questa strada, e che forse altri si orienteraimo in questo stesso senso. Ma, per l'Italia la scelta di affidarsi ad un referendum comporterebbe una modifica costituzionale. Infatti l'art. 80 della Costituzione affida al Parlamento l'autorizzazione alla ratifica e vieta espressamente l'utilizzo dei referendum abrogativi nella materia dei Trattati internazionali. Vale la pena di aggiungere alle già troppe modifiche della Costituzione nelle quali è impegnato il Parlamento anche una nonna che introduca la procedura referendaria specialmente tenendo conto del fatto che questo Trattato non ha in sé un contenuto talmente innovativo ed importante da giustificare un simile rivolgimento?
A questa considerazione se ne aggiunge un'altra. E' possibile che uno o più paesi decidano di non ratificare il Trattato. In particolare, in Francia, dove il presidente Chirac ha deciso di convocare un referendum, vi sono molte componenti politiche, in seno al partito socialista che si preparano a schierarsi per il no insieme con l'estrema destra e l'estrema sinistra; dunque l'esito di quella consultazione è incerto. Ancora più difficile è la situazione in Gran Bretagna, dove pure si svolgerà un referendum, e dove oggi appare molto probabile che prevalgano i no. Nel caso di una mancata ratifica, per evitare di tornare al Trattato di Nizza, che è quello oggi in vigore, sarà necessario negoziare alcune modifiche le quali a loro volta comporteranno un nuovo processo di ratifica. In questo caso l'Italia sarebbe costretta a prevedere una nuova eccezione costituzionale per svolgere un secondo referendum?
Resta quindi soltanto la via della ratifica parlamentare, come ha sostenuto su questo giornale il ministro Frattini. Questi ha ragione nel dichiarare che sarebbe un buon segnale per l'Italia, visto che il Trattato si firma a Roma, che il nostro paese sia il primo dei paesi dell'Unione a votare la legge di ratifica. Tuttavia a me non sembra che da questa eventuale nostra primazia ne seguirebbe un aumento del prestigio europeo del nostro paese: esso è quello che è e non sarebbe una ratifica velocissima a modificarlo,
Quanto all'auspicio del ministro che su questo tema si formi una maggioranza più ampia di quella che sorregge il governo, penso che in effetti questo avverrà. Non per i contenuti specifici del Trattato che – come ho detto – sono modesti. Più semplicemente, c'è una tradizione filo europea della maggior parte delle forze politiche del paese e c'è la considerazione realistica che, se il Trattato non è stato più coraggioso nel definire un assetto istituzionale dell'Europa, l'eventuale bocciatura del Trattato non sortirebbe leffetto di determinare un accordo più avanzato di quello che è risultato possibile. Il rischio semmai sarebbe di rendere la situazione ancora più difficile.
L'Europa procede nel suo cammino di integrazione nel modo in cui sempre ha proceduto, con dei piccoli passi avanti circondati da molti compromessi. Il passo più grosso e si i cativo non è il Trattato di Roma. E' l'allargamento alle nuove democrazie dell'Europa Centrale ed Orientale. Gestire bene l'allargamento sarà alla lunga per l'Europa il risultato più significativo e durevole.
Giorgio La Malfa
La stampa, 23.10. 2004, p.9
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Il 29 ottobre prossimo a Roma verrà apposta dai Capi di Stato e di Governo dei 25 paesi membri dell' Unione Europea la firma al Trattato scaturito dalla Convenzione presieduta da Valery Giscard d’Estaing con le successive modifiche apportate al testo dalla Conferenza Intergovernativa conclusasi nel giugno scorso a Bruxelles. Il nome ambizioso – Trattato che istituisce una Costituzione per l'Europa – e la scelta di firmarlo a Roma, dove venne sottoscritto nel'57 il Trattato che istituì il Mercato Comune, tendono a dare solennità all'avvenimento.
In realtà i contenuti del Trattato non corrispondono né al titolo né al precedente storico del 1957. Esso rappresenta sostanzialmente una modificazione, non particolarmente incisiva, delle regole istituzionali che governano oggi l'Unione europea: si tratta sostanzialmente di una ulteriore elaborazione rispetto ai trattati europei di Maastricht, di Amsterdam e di Nizza e di ima sistematizzazione dei contenuti delle norme di diritto che regolano i rapporti interni all' Unione Europea. Per questo motivo appaiano eccessivi sia gli entusiasmi di chi ritiene che il Trattato segni la nascita della nuova Europa, sia l'ostilità di quanti si oppongono perché ritengono che esso farebbe nascere un super Stato europeo, o perché temono da sinistra, i contenere dosi di liberalismo incoinpatibili con il cosiddetto “modello sociale europeo”.
Da queste considerazioni che possono essere sostanziate da un'analisi del testo, segue la conseguenza che non si giustifica per l'Italia l'ipotesi di ricorrere ad un referendum per decidere se ratificare o meno il Trattato. E' vero che già 11 dei 25 paesi dell'Unione hanno deciso di procedere su questa strada, e che forse altri si orienteraimo in questo stesso senso. Ma, per l'Italia la scelta di affidarsi ad un referendum comporterebbe una modifica costituzionale. Infatti l'art. 80 della Costituzione affida al Parlamento l'autorizzazione alla ratifica e vieta espressamente l'utilizzo dei referendum abrogativi nella materia dei Trattati internazionali. Vale la pena di aggiungere alle già troppe modifiche della Costituzione nelle quali è impegnato il Parlamento anche una nonna che introduca la procedura referendaria specialmente tenendo conto del fatto che questo Trattato non ha in sé un contenuto talmente innovativo ed importante da giustificare un simile rivolgimento?
A questa considerazione se ne aggiunge un'altra. E' possibile che uno o più paesi decidano di non ratificare il Trattato. In particolare, in Francia, dove il presidente Chirac ha deciso di convocare un referendum, vi sono molte componenti politiche, in seno al partito socialista che si preparano a schierarsi per il no insieme con l'estrema destra e l'estrema sinistra; dunque l'esito di quella consultazione è incerto. Ancora più difficile è la situazione in Gran Bretagna, dove pure si svolgerà un referendum, e dove oggi appare molto probabile che prevalgano i no. Nel caso di una mancata ratifica, per evitare di tornare al Trattato di Nizza, che è quello oggi in vigore, sarà necessario negoziare alcune modifiche le quali a loro volta comporteranno un nuovo processo di ratifica. In questo caso l'Italia sarebbe costretta a prevedere una nuova eccezione costituzionale per svolgere un secondo referendum?
Resta quindi soltanto la via della ratifica parlamentare, come ha sostenuto su questo giornale il ministro Frattini. Questi ha ragione nel dichiarare che sarebbe un buon segnale per l'Italia, visto che il Trattato si firma a Roma, che il nostro paese sia il primo dei paesi dell'Unione a votare la legge di ratifica. Tuttavia a me non sembra che da questa eventuale nostra primazia ne seguirebbe un aumento del prestigio europeo del nostro paese: esso è quello che è e non sarebbe una ratifica velocissima a modificarlo,
Quanto all'auspicio del ministro che su questo tema si formi una maggioranza più ampia di quella che sorregge il governo, penso che in effetti questo avverrà. Non per i contenuti specifici del Trattato che – come ho detto – sono modesti. Più semplicemente, c'è una tradizione filo europea della maggior parte delle forze politiche del paese e c'è la considerazione realistica che, se il Trattato non è stato più coraggioso nel definire un assetto istituzionale dell'Europa, l'eventuale bocciatura del Trattato non sortirebbe leffetto di determinare un accordo più avanzato di quello che è risultato possibile. Il rischio semmai sarebbe di rendere la situazione ancora più difficile.
L'Europa procede nel suo cammino di integrazione nel modo in cui sempre ha proceduto, con dei piccoli passi avanti circondati da molti compromessi. Il passo più grosso e si i cativo non è il Trattato di Roma. E' l'allargamento alle nuove democrazie dell'Europa Centrale ed Orientale. Gestire bene l'allargamento sarà alla lunga per l'Europa il risultato più significativo e durevole.
Giorgio La Malfa
La stampa, 23.10. 2004, p.9