VERSO L’ALLARGAMENTO/ Il presidente del Senato ceco Pithart: «L’Ue non è un rischio per noi»
PRAGA – «Il primo maggio organizzeremo una grande festa e serviremo ai cechi tutti quei prodotti che, a credere alle infinite indiscrezioni rimbalzate negli ultimi mesi, Bruxelles si riprometteva di mettere al bando. A un certo punto si era sparsa addirittura la voce che le dimensioni dei nostri alveari non fossero conformi agli standard europei e che perciò sarebbero dovuti essere distrutti. Povere api! Si è poi scoperto che tutto era nato da un errore di traduzione della tesi di uno studente».
Il presidente del Senato Petr Pithart distende il volto in un largo sorriso: «Lo stesso è accaduto per il nostro rhum, un liquore che viene ricavato dalle patate, come in altri Paesi dell’Europa centrale. Ne vieteranno la produzione, si diceva. E invece dovrà solo cambiar nome, ma continuerà a essere prodotto, come molti altri formaggi che sarebbero dovuti sparire dalle nostre tavole».
Fra dubbi e apprensioni i cechi attendono senza entusiasmo l’ingresso nell’Unione Europea. Lo slogan «si torna in Europa», inalberato all’indomani della rivoluzione di velluto che spezzò pacificamente le catene dell’ oppressione totalitaria, ha perso strada facendo il suo fascino. «I cechi non nutrono in genere molta fiducia, sono sanamente scettici ed è comprensibile dopo le esperienze passate – dice Pithart – la maggior parte sperava in una transizione più veloce e meno dolorosa. Io non ho mai condiviso queste illusioni, ma capisco il loro stato d’animo».
Compagno di strada dell’ex presidente Vaclav Havel, fra i primi firmatari di Charta 77, il movimento che si batteva per il rispetto dei diritti umani nel ’68, membro del partito comunista, credeva nel socialismo dal volto umano di Alexander Dubcek. Dopo il fallimento della Primavra, Pithart, che oggi insegna teoria della democrazia alla facoltà di legge dell’università di Praga, lasciò il partito e dovette adattarsi per sopravvivere a ogni genere di lavoro: guardiano notturno, giardiniere, impiegato in una ditta di imballaggi.
«Torniamo in una grande famiglia dove vige il rispetto delle regole e dove esistono strumenti e procedure efficaci per combattere la criminalità e le distorsioni provocate dal capitalismo selvaggio – afferma il presidente del Senato – durante la campagna di privatizzazione sono stati commessi molti errori, alcuni 1i stiamo ancora scontando. L’Unione ci aiuterà a eliminarli».
Qualche preoccupazione?
«Quando sento parlare di taglio al bilancio europeo mi preoccupo per gli equilibri fra regioni ricche e povere. Sono inoltre un pò deluso dal fatto che la maggior parte dei Paesi europei non garantisca ciò che è sempre stato considerato un pilastro dell’ Unione: la libera circolazione delle persone. Creare barriere e ostacoli per chi cerca lavoro è un atteggiamento egoista che incrina l’idea della solidarietà. I cechi non hanno intenzione di trasferirsi in massa all’estero. Il problema è stato gonfiato».
Il processo di integrazione comporta dei rischi per la Repubblica ceca?
«Non vedo rischi. So di sicuro che, una volta entrati, cominceremo a litigare in casa, probabilmente ce la prenderemo con noi stessi per non essere stati capaci di cogliere tutte le opportunità che ci verranno offerte e magari per non aver presentato progetti interessanti.
Da anni l’80 per cento delle nostre esportazioni è diretto verso Paesi Ue. Dovremo imparare e nel frattempo far fronte a un’infinità di controversie locali».
Quando presiedeva il Parlamento, Vaclav Klaus, oggi presidente della Repubblica, disse: una volta nell’Unione, la Repubblica ceca sparirà come una zolletta di zucchero in una tazzina di caffè. Condivide la profezia?
«Quella volta Havel gli rispose: possiamo perdere la nostra identità ma solo per colpa nostra. No, non vedo pericoli del genere. Le diversità sono la ricchezza dell’Europa, refrattaria a qualsiasi processo di omogeneizzazione e livellamento delle culture. No, non ci scioglieremo e sicuramente l’Unione Europea non ci costringerà a farlo».
L’approvazione della Costituzione europea è stata bloccata dall’intransigenza di Spagna e Polonia. Qual è la posizione di Praga?
«Non abbiamo appoggiato la posizione polacca, ma ne comprendiamo il significato. Come giurista devo dire che la Convenzione avrebbe potuto produrre un testo migliore e comprensibile ai più. Fra poco la gente sarà chiamata a votare in un referendum, ma su quali basi? Quei pochissimi che leggeranno il testo non lo capiranno. Ci volevano regole più trasparenti, specie per quanto riguarda i rapporti fra le varie istituzioni europee. In ogni caso la qualità della Carta dovrebbe avere la precedenza sulla velocità».
Praga teme la nascita di un direttorio Berlino-Londra-Parigi?
«Un’Europa a due velocità non ha senso, metterebbe in dubbio il concetto basilare di partnership. L’Europa ha abbandonato il suo passato imperiale, si fonda sull’equilibrio delle forze, sulla cooperazione regionale. Ci hanno raccomandato di continuare l’attività del gruppo di Visegrad assieme a Polonia, Slovacchia e Ungheria. Come insegna l’esperienze dei Paesi del Benelux c’è spazio per tutti. Solo gli antieuropeisti sostengono che i Paesi piccoli affogheranno nel superstato europeo».
La Repubblica ceca si sente parte della «nuova Europa»?
«Rifiuto la definizione coniata dal segretario americano alla difesa Rumsfeld. Abbiamo subito sulla nostra pelle due regimi totalitari: nazista e comunista. Un’ esperienza che ci ha reso consapevoli della fragilità della democrazia e di quanto è facile perderla, un sentimento che non esiste nell’Europa occidentale. Per questo insisteremo sulla solidarietà transatlantica, cercando di sensibilizzare i nostri partner su questo problema».
SANDRO SCABELLO
CORRIERE DELLA SERA, 26.04.2004, p. 12
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