- Caro Severgnini,
la lingua italiana nel mondo, al contrario di quella inglese, francese e spagnola, non è affatto diffusa né parlata. Ciò crea non solo un restringimento del mercato (editoriale, innanzitutto), ma anche un ritardo continuo sulla modernità italiana. Infatti, secondo me, «moderno» vuol dire essere aperti al futuro, qui rappresentato appunto da spazi sempre più ampi. Invece gli italiani, non potendo emigrare in nessun Paese senza doversi scontrare con altre lingue, sono costretti a ripetere all'infinito la questione posta da D'Azeglio: cioè, fatta l'Italia, bisogna ancora fare l'italiano (inteso come lingua), e perciò ripercorrere all'infinito lo Stivale e tutte le sue gamme dialettali di una lingua eternamente in progress.
Luigi Lamberti , gigilamberti@alice.it
Be', se lei chiude scrivendo «in progress», partiamo male. E poi non è vero che la lingua italiana «non è diffusa né parlata». Certo, come lingua madre ha una diffusione limitata (66 milioni di parlanti: 60 in Italia, 6 all'estero). Ma il bacino d'utenza – chi lo parla e lo capisce – è stimato intorno ai 120 milioni: e cresce. Perché cresce? Perché l'italiano non gareggia con l'inglese per il primato assoluto – come il cinese e lo spagnolo per questioni demografiche, e il francese per motivi storici. L'italiano s'impara perché piace. E' una lingua eufonica che evoca cose gradevoli (musica, arte, cucina, paesaggi). Gli Istituti italiani di cultura nel mondo hanno rimesso in sesto i bilanci, e compensato (in parte) i tagli ministeriali, grazie ai corsi d'italiano, quasi dovunque affollati.
Fin qui le belle notizie. Purtroppo c'è altro, che riunirei sotto una dicitura: occasioni sprecate. La recente, generosissima legge sulla cittadinanza – che ha riempito il mondo di passaporti italiani, e di incubi il sonno dei nostri consoli – avrebbe dovuto prevedere il «requisito della lingua». Vuoi diventare italiano? Benissimo: impara, almeno un po', la lingua del Paese di cui vuoi diventare cittadino (così fanno in tutto il mondo, dagli Usa alla Svezia al Brasile). Noi, niente. Un peccato, un'assurdità e, come dicevo, uno spreco.