CORRIERE DELLA SERA 07.06.2004 p. 1
di ALBERTO RONCHEY
Per la prima volta, fra il 10 e il 13 giugno gli elettori dell'Ue-15 saranno chiamati a votare sul rinnovo del Parlamento di Strasburgo insieme con quelli delle 10 nazioni associate da maggio. Pochi giorni dopo, il Consiglio interstatale di Bruxelles affronterà la questione del «trattato costituzionale», d'ispirazione federalista o quasi. Ma sulle norme istitutive dell'Ue-25, per ora, insorgono concezioni discordi. Britannici, olandesi e scandinavi chiedono che su disparate materie legislative le delibere siano decise all'unanimità. Secondo la tesi opposta, il diritto di veto concesso a ogni governo dell'Ue-25 su troppe materie sarebbe causa d'una paralisi permanente. Invece, si dovrebbe deliberare in molti casi a maggioranza qualificata dei governi e delle popolazioni rappresentate.
Negli ultimi trent'anni, l'Unione ha potuto moltiplicare i suoi cittadini da 185 a 455 milioni, un grande evento dall'Irlanda fino all'Estonia. Ma ora l'impresa dell'eurofederalismo e insieme dell'espansione comporterà travagli prolungati, fra interessi e idee contrastanti. «L'Europa federale non è iscritta nel libro del destino – ha osservato Sergio Romano in un recente saggio storico e potrebbe divenire ancor prima della sua nascita una specie di Sacro romano impero negli anni della paralisi istituzionale dopo i trattati di Vestfalia».
Basta considerare che i governi appena consociati rappresentano il 20 per cento dei cittadini Ue-15, ma solo il 5 per cento dei loro complessivi redditi. Si tratta d'una popolazione paragonabile a quella della Germania, con un reddito simile in termini monetari a quello dell'Olanda, sebbene con un potenziale di sviluppo maggiore partendo da livelli economici minori (Industria, Il Mulino, giugno 2004), come, confermano gli ultimi dati (tabelle dell'Economist, 5 giugno). Sarà dunque necessario affrontare, nei prossimi temi, disparità e contradpdizioni che spesso l'eurottimismo sottovaluta.
Fra i dati primari, le diversità dei disavanzi di bilancio e dei tassi d'inflazione, come in generale gli ostacoli che incontrerà la disciplina della moneta unica. Saranno da regolare le migrazioni di manodopera dall'Europa Orientale, alla ricerca di occupazioni remunerative in euro. Nello stesso tempo, saranno frequenti le delocalizzazioni dell'industria euroccidentale in cerca di minori costi salariali, seguite da cambiamenti finora imprevedibili nel mercato del lavoro. Un complesso problema sarà pure la distribuzione dei fondi erogati all'agricoltura e dei sussidi alle regioni depresse, che implica ulteriori conversioni delle strutture produttive. In un simile scenario, è dunque manifesta l'importanza decisiva che assumerà il sistema di voto nella gestione dell'Ue-25. Qualche ingannevole o illusorio compromesso non sarebbe un passo avanti, ma un passo falso.
La questione più complessa insorge tuttavia dalla necessità, prima o poi, di perseguire in politica estera una comune strategia sovrannazionale. Se davvero l'intento è federalista, quando e come l'Ue-25 potrà «parlare con una voce sola»? Oltre i molteplici dissensi probabili tra nazioni maggiori e minori nella grande Europa, il problema è connesso anche alla rappresentanza nel Consiglio di sicurezza dell'Onu, laddove i seggi europei fra quelli permanenti riservati alle grandi potenze che vinsero la Seconda guerra mondiale appartengono all'Inghilterra e alla Francia, spesso già discordi. quest'Europa è grande, ma d'una grandezza latente.
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Verso il voto la nuova Unione a 25
LA GRANDE EUROPA E I SUOI CONTRASTIdi ALBERTO RONCHEY
Per la prima volta, fra il 10 e il 13 giugno gli elettori dell'Ue-15 saranno chiamati a votare sul rinnovo del Parlamento di Strasburgo insieme con quelli delle 10 nazioni associate da maggio. Pochi giorni dopo, il Consiglio interstatale di Bruxelles affronterà la questione del «trattato costituzionale», d'ispirazione federalista o quasi. Ma sulle norme istitutive dell'Ue-25, per ora, insorgono concezioni discordi. Britannici, olandesi e scandinavi chiedono che su disparate materie legislative le delibere siano decise all'unanimità. Secondo la tesi opposta, il diritto di veto concesso a ogni governo dell'Ue-25 su troppe materie sarebbe causa d'una paralisi permanente. Invece, si dovrebbe deliberare in molti casi a maggioranza qualificata dei governi e delle popolazioni rappresentate.
Negli ultimi trent'anni, l'Unione ha potuto moltiplicare i suoi cittadini da 185 a 455 milioni, un grande evento dall'Irlanda fino all'Estonia. Ma ora l'impresa dell'eurofederalismo e insieme dell'espansione comporterà travagli prolungati, fra interessi e idee contrastanti. «L'Europa federale non è iscritta nel libro del destino – ha osservato Sergio Romano in un recente saggio storico e potrebbe divenire ancor prima della sua nascita una specie di Sacro romano impero negli anni della paralisi istituzionale dopo i trattati di Vestfalia».
Basta considerare che i governi appena consociati rappresentano il 20 per cento dei cittadini Ue-15, ma solo il 5 per cento dei loro complessivi redditi. Si tratta d'una popolazione paragonabile a quella della Germania, con un reddito simile in termini monetari a quello dell'Olanda, sebbene con un potenziale di sviluppo maggiore partendo da livelli economici minori (Industria, Il Mulino, giugno 2004), come, confermano gli ultimi dati (tabelle dell'Economist, 5 giugno). Sarà dunque necessario affrontare, nei prossimi temi, disparità e contradpdizioni che spesso l'eurottimismo sottovaluta.
Fra i dati primari, le diversità dei disavanzi di bilancio e dei tassi d'inflazione, come in generale gli ostacoli che incontrerà la disciplina della moneta unica. Saranno da regolare le migrazioni di manodopera dall'Europa Orientale, alla ricerca di occupazioni remunerative in euro. Nello stesso tempo, saranno frequenti le delocalizzazioni dell'industria euroccidentale in cerca di minori costi salariali, seguite da cambiamenti finora imprevedibili nel mercato del lavoro. Un complesso problema sarà pure la distribuzione dei fondi erogati all'agricoltura e dei sussidi alle regioni depresse, che implica ulteriori conversioni delle strutture produttive. In un simile scenario, è dunque manifesta l'importanza decisiva che assumerà il sistema di voto nella gestione dell'Ue-25. Qualche ingannevole o illusorio compromesso non sarebbe un passo avanti, ma un passo falso.
La questione più complessa insorge tuttavia dalla necessità, prima o poi, di perseguire in politica estera una comune strategia sovrannazionale. Se davvero l'intento è federalista, quando e come l'Ue-25 potrà «parlare con una voce sola»? Oltre i molteplici dissensi probabili tra nazioni maggiori e minori nella grande Europa, il problema è connesso anche alla rappresentanza nel Consiglio di sicurezza dell'Onu, laddove i seggi europei fra quelli permanenti riservati alle grandi potenze che vinsero la Seconda guerra mondiale appartengono all'Inghilterra e alla Francia, spesso già discordi. quest'Europa è grande, ma d'una grandezza latente.