La Grecia fuori dall`Europa? Impossibile. All`Europa non c`è alternativa. Per me e per la maggioranza dei miei connazionali. Ma qualche problema, lo ammetto c`è: la valuta unica ha dato la spinta decisiva per portare il benessere nel nostro paese. E oggi, con il benessere che svanisce, la cosa più semplice è dare la colpa a Bruxelles». Titos Patrikios, 8lanni è uno dei più grandi poeti greci, ha combattuto nella resistenza contro i tedeschi, fatto la guerra civile, conosciuto il campo di detenzione e l`esilio (a Parigi e Roma) durante il regime dei Colonnelli. E il suo impegno civile è rimasto lo stesso anche oggi che passa il tempo a scrivere nel suo studio di Atene, vista Partenone, sommerso dai libri. Come spiega questa diffidenza verso l`Europa? In fondo il suo paese, dal 2001 ad oggi, ha conosciuto un vero e proprio boom… «Il problema è la crisi di fiducia verso le istituzioni greche. Il gelo con Bruxelles è solo una conseguenza. La gente è stanca dei partiti, stufa della politica. Ma questi – come l`unione del continente – sono i capisaldi della democrazia per cui il popolo, un termine che oggi si usa troppo poco, ha combattuto per secoli. E ora si rischia di liquidarli con fastidio in pochi mesi». Con che rischio? «Il passo successivo a questa apatia, in linea teorica, è il rischio di tornare a un regime più autoritario. Proprio l`Europa, però, è l`antidoto più potente anche in Grecia a tentazioni di questo genere». Che fare allora? «Non servono nuove idee. Quelle sono da secoli già tutte sul tavolo. Io, ad esempio, sono d`accordo sull`intervento dello stato nell`economia per frenare gli eccessi di un capitalismo frenato. Potrebbe essere il primo passo per riportare un clima più sereno tra il paese e le sue istituzioni». La strada in Grecia non sembra facile. Tutto il mondo ha negli occhi le immagini degli scontri a fine dicembre tra anarchici e polizia… «Non vorrei passare per un nostalgico arci-reazionario. Molti miei amici interpretano queste proteste sociali come un`esplosione di creatività. Io invece considero gli assalti al centro di Atene, l`occupazione dell`Opera e l`interruzione di tanti spettacoli teatrali come unaforma strisciante difascismo. Solo Hitlere iregimi reazionari hanno provato a imporre a tutti i loro modelli culturali. Ma non bisogna sottovalutare questi fenomeni. Stiamo entrando in recessione con una disoccupazione già alta. Le proteste anche violente dei contadini al Pireo e al confine con la Bulgaria sono un altro campanello d`allarme. Finora il mio Paese ha seguito l`Italia e il resto d`Europa con 25 anni di ritardo. Non vorrei che oggi, per la prima volta, fossimo noi a sperimentare con queste fibrillazioni sociali un`epidemia che rischia di contagiare il resto del continente».
(e. L)
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(e. L)