La Costituzione europea tra realtà e falsi miti

La Costituzione europea tra realtà e falsi miti

costituzionale per l'Unione europea, Tony Blair l'aveva detto: «adesso comincia lo scontro tra la realtà e i miti». Di questo scontro asimmetrico lui sosterrà la parte più aspra. Nel Regno Unito da sempre colmo di pregiudizi e false credenze sulla costruzione europea (però anche capace di rispondere con un trionfale yes nel referendum del 1975 al trascinante slogan: “keepBritain in Europe”). Ma i miti sono apparsi pure da noi dove sembrava impossibile che trovassero una ragione. Nell'Italia che dal 1945 vedenellaunitàeuropeal'ancora di salvataggio-«aggrappata alle Alpi» si disse contro le proprie storiche fragilità politiche ed economiche. Di questi miti ne sono apparsi almeno quattro, equamente distribuiti tra destra e sinistra. Miti bipartisan, trasversali (che richiamano un'altra celebre e saggia constatazione della prima esperienza repubblicana: “si può sbagliare all'unanimità”…).Il primo mito è quello del super-Stato burocratico. Si immagina una potente tecnocrazia europea che risponde solo a se stessa. Si immaginano decisioni politiche extranazionali che calano dall'alto come le voci degli dei. Ora, i funzionari europei, compresi quelli temporanei sono, in tutto circa 25 mila.Ognuno può fare comparazioni con gli impiegati municipali di una media città.Il punto da tenere a mente è però che la costruzione dell'ordinamento istituzionale europeo n on vaavanti per sopraelevazioni di piani separati. Va avanti per integrazione: il livello europeo si intreccia a quello nazionale eglidàunaproiezione al di là dei propri con fini. Senzale materiali realtà giuridiche nazionali, l'Unione non potrebbe agire. DOPO il varo del trattato Questo avviene in ogni settore: perla legislatura, per l'amministrazione, per la difesa, per la giustizia, perla polizia, per le relazioni esterne e per quelle commerciali.Più che unaunione distativi è un intreccio, un'unione di ordinamenti, di costituzioni.D'altraparte, tuttihanno contato le garanzie per gli Stati nazionali che ci sono nel trattato costituzionale. Così numerose da far gridare alla paralisi i pessimisti di segno opposto (come se ogni Stato dovesse usare quelle armi sempre e tutte assieme; come se ogni Stato avesse come scopo quello di entrare – dopo fatiche di anni, aggiustamenti finanziari dolorosi, modifiche costituzionali – nel club Europa solo per non farlo funzionare). Ma se è così, ed è così, quale mai super-Stato sarebbe possibile con tanti contropoteri?Il secondo mito è quello del «taglio delle radici cristiane». Sarebbe avvenuto peruna mancata citazione, per una omessa menzione, per una etichetta rifiutata. Ora, se queste radici ci sono (come ci sono) nella civiltà e nel cuore degli europei, non basterebbe certo una sola parola non scritta a farle scomparire. Se invece, queste radici non ci fossero più, non basterebbero cento articoli di una Carta a farle rivivere.Il trattato costituzionale riconosce e rispetta – con una intensità nuova rispetto alle più recenti costituzioni statali-l' esperienza religiosa non già solo come fatto di libertà individuale ma anche come realtà della istituzione-Chiesa. Di più: prevede un «dialogo aperto, trasparente e regolare» tra le Chiese e le istituzioni europee. Ancora, e soprattutto, «pone la persona umana al centro dell'azione dell'Unione». Insomma, oggi più che mai, chi legge questa costituzione europea «non può non dirsi cristiano» per tutti i valori che in essa sono racchiusi, compresiquelliditolleranzaedipluralismo. In tal modo l'Europa è fedele alle sue radicipiù che con l'ostentazione di una storia-potenza. Il mito di un'Europa sradicata è un falso mito che può far danni solo a chi lo propala: perché spargere dubbi sull'essenza spirituale dell'Unione europea è, questo sl, tagliare il ramo su cui si è seduti.Il terzo mito è il mito della necessità del referendum come fonte unica di legittimazione.La nostraCostituzione che resta una delle grandi costituzioni europee, è nata da un'assemblea parlamentare costituente, senza referendum. Anche questa europea è stata partorita nella sua struttura di fondo, rimasta immutata, da una Convenzione composta in maggioranza da parlamentari nazionali ed europei: erano 62 su 105 membri. Questo progetto sarà riesaminato ancora e ratificato da tutti i Parlamenti degli Stati dell'Unione. L'appello alpopolo costituente romperebbe questa tradizione parlamentare. Romperebbe con il meccanismo di accoglimento fondato sull'articolo 11 della nostra Costituzione. Romperebbe con il divieto di referendum in materia di relazioni tra Stati, divieto che c'è all'articolo 75 della Costituzione. E andrebbe anche in senso contrario alla logica dell'unico precedente: quel referendum «europeista» del 1989 che, all'opposto, voleva attribuire potere costituente al Parlamento europeo (fu approvato con 29 milioni di voti a favore e 4 milioni contro).Tutte queste rotture per affidare la Costituzione europea che ha l'inevitabile complessità tecnica propria dell'impresa a una procedura che l'esperienza costituzionale nostra ci insegna assai inquinabile e da tempo bisognosa di manutenzione straordinaria, in connessione con le altre forme di rappresentanza popolare. Come un canale di scolo a cielo aperto, il referendum può ora convogliare infatti le più disparate e casuali pulsioni del momento, quasi sempre senza alcuna reale attinenza con il suo oggetto. Ovvero può sfociare nel nulla: nel gran mare dell'astensionismo. Considerazioni queste, forse, politicamente scorrette. Ma vere.Il quarto mito sventolato dagli avversari della Costituzione è la sua supposta natura antisociale. Anzi lasua sudditanza alle derive della globalizzazione. L'estrema sinistra ne è ciecamente convinta: e, come al solito, questa cecità rende infelici i suoi amici e felici i suoi nemici. Perché, certo, questa Costituzione non sarà il collante della frattura sociale che ogni giorno si allarga nel mondo (ma quale Costituzione lo è mai stata?). E tuttavia essa prospetta, con realismo, i problemi del nostro tempo.E non ne nasconde nessuno.«Vede» così, superando dure resistenze, che ivecchi diritti civili e p olitici devo no essere associati ai diritti economico-sociali, nella stessa qualità di valore e di protezione. «Vede» che il finanziamento dei servizi pubblici non può essere considerato come aiuto di Stato ad imprese parassitarie: ma misura necessaria per porli al centro del modello sociale europeo. «Vede» che i fallimenti del mercato hanno bisogno di essere corretti con un tipo nuovo di programmazione competitiva tra sistemi statali con obiettivi condivisi, quelli indicati a Lisbona nel Duemila: occupazione, formazione, ricerca. «Vede» soprattutto che solo un sistemacontinentale di coordinamento economico e finanziario-con un nucleo duro di moneta alternativa alle grandi monete mondiali, con una politica commerciale attenta alle debolezze della «non Europa» – può dare forza e senso alla Politica contro il puro determinismo di mercato.Sono questi i mitivaganti, e altri ancora. Contro di essi la lotta è appena cominciata e sarà dura. HaragioneBlair. Perché sono miti entrati nella credulità popolare. Perché è più facile perle nostre pigrizie ricevute pensare a Bruxelles come la città dei nostri mali.

LA REPUBBLICA. P, 16
1.07.2004
ANDREA MANZELLA

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