LA BATTAGLIA PER LA COCA

Bolivia:La battaglia per la coca

(di Zoraida Portillo. ARTEMISIA)

Argenpress, 4 aprile. Il chacchado, in lingua quechua l’uso di masticare foglie di coca mischiate con calce, permette di sopportare le difficoltà dovute all’altezza, alleviare i sintomi della stanchezza e diminuire la fame.

María Carhuavilca è una contadina di Cuzco di un’età indefinita. Parla pochissimo spagnolo e sorride appena. Quando lo fa, le si intravedono i denti cariati e le gengive verdastre. Sono gli effetti di anni e anni di chacchado, come è chiamato in quechua l’atto di masticare foglie di coca mischiate con la calce.

“Si, io chacchococa tutto il giorno, così non sento la stanchezza, se non lo facessi non potrei andare avanti”dice in uno spagnolo quasi incomprensibile. “Quanti anni? Non lo so signorina, sono cresciuta chacchando, mia madre lo faceva e anche mia nonna…”

“ Certo che ho chacchado, è l’unico modo affinchè l’altura non ti colpisca”, confessa Hilda Barrera che di mestiere fa l’ingegnere agronomo a Lima e che per raggioni di lavoro deve trascorrere giorni interi a quasi 4.000 metri di altezza nell’altopiano andino. “È stupendo, ti addormentaun po’ la bocca e il suo sapore è orribile, ma la stanchezza e i palpiti del cuore passano subito, aggiunge.

Questo è il segreto di un uso millenario: il Chacchado permette di sopportare le rigidità dell’altezza, alleviare la stanchezza e diminuire il senso di fame. La foglia di coca possiede anche micronutrienti come il calcio, il ferro e la vitamina A y circa un 20% di proteine, secondo quanto riportano alcuni studi scientifici.

Ma per la Giunta Internazionale di Fiscalizzazione degli Stupefacenti (JIFE) delle Nazioni Unite, masticare foglie di coca è un reato e di conseguenza i governi del Perù e della Bolivia – i due paesi dove il chacchado è una pratica comune delle popolazione indigene- dovrebbero proibire, non solo il suo uso, ma anche i prodotti derivati dalla coca.

La raccomandazione, fatta agli inizi di marzo, indica che questa pratica è nociva per la salute e suggerisce, per di più, “metodi per proibire la vendita, utilizzo e intenzione di esportare le foglie di coca con fini incompatibili con i trattati di fiscalizzazione internazionale degli stupefacenti”

Così senza dirlo la JIFE vincola la foglia di coca con il narcotraffico, cosa non nuova, visto che la pianta è uno degli elementi necessari per fabbricare il cloridrato di cocaina, cosa che ha fatto sì che si diffondesse dalle terre dei produttori tradizionali nelle Ande, a più di 200.000 ettari nella selva, durante gli anni ottanta del secolo passato. Per gli indigeni, la coca è una coltivazione ancestrale considerata “sacra” e usata non solo per masticarla ma anche per riti tradizionali come quello per la Madre Terra, che si realizza all’inizio della semina; o ancora per leggere il futuro, curare alcuni mali e addirittura come modo per la socializzazione.

Non è un caso che, allora, nonostante la raccomandazione sia stata portata alla luce in un dibattito pubblico della JIFE la notizia ha suscitato una scia di proteste in entrambi i paesi, dove il dibattito scientifico sulle sue proprietà si contrappone a supposte controindicazioni per la salute, considerazioni antropologiche e decisioni politiche che rivelano l’equilibrio precario che esiste nelle relazioni tra le coltivazioni indigene e il resto della società, per lo meno nel caso del Perù.

Così appena una settimana dopo dalla sentenza del JIFE, il governo regionale di Puno, nel sudest del paese, con una popolazione prevalentemente aymara, ha emesso un’ordinanza che legalizza la coltivazione della coca nella sua giurisdizione. La norma ha dato origine ad una forte reazione dei rappresentanti dell’esecutivo di Lima, che hanno messo in dubbio la validità di tale norma adducendo che essa contravviene alla stessa Costituzione.

Di fronte alla decisione dell’esecutivo di Lima, il presidente del Governo Regionale, Hernán Fuentes, ha minacciato una separazione della regione dal resto del paese. Il dibattito ora si sposta su un altro fronte, quello della geopolitica, molto lontano da dove era partito; cioè a dire, se la produzione delle foglie di coca deve essere proibita in Perù e si debba smettere di produrre derivati di quest’ultima.

Nell’ultima decade, nel paese si è sviluppata una fiorente industria di derivati della coca, che vannodai prodotti per chi realizza un’intensa attività fisica o deve viaggiare su grandi altitudini, fino al pane, alla dentifricio, alle gomme da masticare, bebite, sciroppi e farina di coca, un vero boom nelle diete dimagranti per le sue qualità energetiche e persino ormonali per la donne nel periodo del climaterio.

Così sono state ricercate alternative per l’uso dei derivati dalla coca, per impedire che vengano usati per il narcotraffico. Alcune settimane prima della controversa sentenza, lo stesso presidente Alan García aveva suggerito di incorporare la foglia di coca come un ingrediente autoctono della gustosa cucina peruviana.

“Nessuno ha dimostrato che il chacchadeosia nocivo per la salute”,ha detto categoricamente Fernando Eguren, direttore del Centro Peruviano di Studi Sociali, una delle ONG agrarie più prestigiose del paese. Secondo lui, prodotti molto più nocivi sono l’alcol e il tabacco, che hanno anche meritato l’attenzione sanitaria del JIFE anche se non si è proibito il loro consumo.

“È sintomo di ingnoranza identificare la foglia di coca con il cloridrato di cocaina”, dice lo specialista, secondo il quale dietro a tutto questo c’è una “discriminazione etnica” che fa abbassare il valore dei prodotti importanti per le popolazioni indigene.Secondo altri specialisti, la sentenza di eliminare la foglia di coca con il fine di evitare il narcotraffico, è così assurda come proibire la coltivazione di orzo per impedire che si continui a consumare alcol.“Se restiamo con le braccia incrociate, domani ci toglieranno il quechua e persino la gonna”, ha detto Elsa Malpartida, rappresentante peruviana al Parlamento Andino e legata ai produttori di coca nella selva peruviana. Il Parlamento Andino si riunirà l’ultima settimana di marzo a Bogotà, per prendere una decisione rispetto a quello che si prevede sarà il rifiuto della proposta del JIFE.

Ufficialmente il governo peruviano ha detto attraverso María Zavala, la sua rappresentante permanente nell’Organizzazione degli Stati Americani, che sta valutando i documenti del JIFE, ma che in nessun modo andrà contro gli usi andini e le sue pratiche ancestrali come quella di masticare coca.

“Nel 1998, il Perù disse che rispettava l’uso tradizionale della foglia dicoca, e continueremo a farlo. Presenteremo una relazione che sostenga questo uso difronte al Consiglio Economico e Sociale dell’ONU” ha chiarito il Ministro per le Relazioni Internazionali José Antonio García Belaúnde.

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