La babele sui muri

Il disagio delle periferie, l’ integrazione difficile, la babele delle lingue (compresa quella degli sms). E il cambiamento diventa un diario quotidiano

Amore, politica e rabbia multietnica L’altra Milano delle scritte sui muri

I Dico, la rivolta di Chinatown e il Diavolo: un grande blog con pennarello e spray

di Carlo Lovati

Un po’ di vernice. Un po’ di inchiostro. Con la bomboletta spray. Con il pennarello. O con tutto quello che può servire. Magari una biro, magari un temperino. Per lasciare un segno, per lanciare un messaggio, per gridare qualcosa, per dichiarare un amore. Sui muri di Milano. Oltre i murales, che quelli belli sono proprio pochi. Oltre i graffiti, che non se ne può davvero più. E nell’era degli sms e dei videofonini e di internet sembra impossibile. Che ci sia ancora qualcuno che abbia voglia di scrivere sui muri. Non una tag, non una firma, non uno sgorbio. Non un segno un po’ così, giusto per segnare il territorio, veloce veloce. Ma un concetto preciso. Un’idea, una fede, un amore. E basta girovagare tra strade e piazze. Per trovare di tutto un po’ . Sui palazzi del centro, sui casermoni delle periferie, sulle facciate delle scuole, sui monumenti più belli, sui vagoni del metro e in qualsivoglia luogo pubblico. Altro che i blog dei giorni nostri e quella strana narcisistica mania di scrivere su tutto e di tutto passando in rete da un sito all’ altro. Ben altra musica, a macchiare i muri ambrosiani. Frasi secche, slogan pungenti. Emozioni immediate. Rabbie feroci. E cuori che battono. È come un grande dazebao, la Milano di oggi. Come un giornale quotidiano dove tutti possono scrivere la loro. Come un diario sincopato dove i tempi e i ritmi della metropoli che cambia sono più che evidenti. Dove però c’ è ancora quell’eterna lotta tra rossi e neri, tra compagni e camerati. Proprio come il secolo scorso. Proprio come in quegli anni così forti. Per conquistare quel muro, quella strada, quel quartiere. Dove ancora l’odio può essere puntualmente messo al muro. Perché uno come Dax può ancora morire, perché qualcuno può ancora aver voglia di scrivere Dux. E chissà se quelli di oggi sono i figli di quelli di ieri. E chissà se quelli di ieri avrebbero magari voglia di una nuova sortita notturna. Sul muro del posto di lavoro, invece che su quello del liceo. Per una rivoluzione eterna. Che si allaccia all’ideologia o che si aggancia all’attualità. Falce e martello. Croce celtica. Con la Milano multietnica che pure si manifesta sui muri e perché non dovrebbe essere. La guerra di Chinatown che ha diviso la città. Quelli contro i cinesi, quelli invece a favore. In attesa di un’integrazione non troppo facile. Poi, pure le scritte in altre lingue. Che ancora non sono così sfacciate, ma già si cominciano a vedere. Di solito lasciate nelle zone abitualmente frequentate da questa o quella etnia. Bar e discoteche. Circoli e consolati. Quelle che sanno di arabo e soprattutto quelle più accessibili di scuola latinoamericana («Via Padova mi casa»). Le prime che ci vorrebbe l’interprete e le seconde che spaziano dalla rivalità tra le varie bande alla religiosità più tenace….

(Dal Corriere della Sera, 22/4/2007).

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