Il « New York Times » ha dedicato ieri un articolo al « massacro della lingua italiana » negli Stati Uniti da parte degli americani, incapaci – scrive il quotidiano statunitense – di pronunciare correttamente le parole che terminano con vocali. Ma anche qui in Italia la nostra lingua non sembra godere di ottima salute: invadenza delle parole straniere, errori di pronuncia ma anche – nell’apparente, generale disinteresse – veri e propri strafalcioni amplificati dai mezzi di comunicazione di massa, in primo luogo televisione e radio. Con questo articolo di Maria Luisa Altieri Biagi, accademica della Crusca, cominciamo un viaggio nello stato di salute dell’italiano, scritto e parlato.
Una lingua da salvare
Povero italiano, in bilico tra libertà e cialtroneria
di Maria Luisa Altieri Biagi
Sono sempre più numerosi gli italiani preoccupati per le sorti della nostra lingua e insofferenti della scarsa tutela di essa da parte di chi “dovrebbe” interessarsene: la scuola, le istituzioni, i mezzi di comunicazione, gli specialisti di lingua.
Per secoli sono stati i “letterati” a discutere di questo argomento (la “Questione della lingua” è sempre stata presente, nella storia della nostra cultura); è giusto che ora comincino a farlo i “cittadini”. Ed è altrettanto giusto che linguisti e storici della lingua partecipino al dialogo e lo allarghino: sono ancora troppi gli italiani che sottovalutano il problema della lingua, che nemmeno aspirano – direbbe il Manzoni – a essere “uomini interi” perché, quando parlano o scrivono, sono già rassegnati a dire “non quello che ‘potrebbero’ ”, ma “quello che ‘possono’ ”.
Scriverò la mia opinione sullo stato di salute dell’italiano contemporaneo, senza preoccuparmi di pareri discordi (pur autorevoli), né di ormai scontate interpretazioni ideologiche: il “lassismo” linguistico viene spesso considerato atteggiamento libertario (“progressista” o “populista”, a seconda dei pulpiti); il “rigorismo” viene interpretato come conformismo ( “conservatore” o, addirittura, “reazionario”). Ma la “libertà”, in lingua, non si raggiunge né con la trasgressione vogliosa né con la cieca osservanza delle regole; si conquista con la “competenza”, cioè con la capacità di sfruttare originalmente l’inesauribile ricchezza del lessico e l’elasticità delle strutture sintattiche. Se Gadda riesce a essere originale, nel descrivere un cavallo che sgrava il suo intestino, è perché “conosce” e “sfrutta” tutte le potenzialità della lingua italiana:
“…lui, lui! Il cavallo! […]Ed ecco ecco adergeva la sua coda-frusta piena di maestà e di vigore, terror dei tafani. Ecco, ecco: il rosone d’una cattedrale gotica estrudeva dovizie fumiganti.” (“Dalle specchiere dei laghi”, in “Le meraviglie d’Italia”, Torino, Einaudi 1964, p. 18).
Gadda sa come ribellarsi all’ “uso-Cesira” della lingua, cioè all’uso di una lingua “puntuale […], stenta, scolorata, tetra, uguale, come piccoletto grembiule casalingo da rigovernare le stoviglie”; le parole le conosce tutte, assieme ai loro “doppioni”: “i doppioni li voglio tutti, per mania di possesso e per cupidigia di ricchezze: e voglio anche i triploni e i quadruploni […] e tutti i sinonimi, usati nelle loro variegate accezioni e sfumature, d’uso corrente e d’uso raro rarissimo…”.
Arrivare a tanta padronanza della lingua non è facile; però, fra il lusso di Gadda e l’estrema povertà dei parlanti e scriventi di oggi (pensiamo ai desolanti modelli offerti dai “reality-show”), ci dovrà pur essere una via di mezzo…
(Da La Nazione, 21/9/2004).
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Il « New York Times » ha dedicato ieri un articolo al « massacro della lingua italiana » negli Stati Uniti da parte degli americani, incapaci – scrive il quotidiano statunitense – di pronunciare correttamente le parole che terminano con vocali. Ma anche qui in Italia la nostra lingua non sembra godere di ottima salute: invadenza delle parole straniere, errori di pronuncia ma anche – nell’apparente, generale disinteresse – veri e propri strafalcioni amplificati dai mezzi di comunicazione di massa, in primo luogo televisione e radio. Con questo articolo di Maria Luisa Altieri Biagi, accademica della Crusca, cominciamo un viaggio nello stato di salute dell’italiano, scritto e parlato.
Una lingua da salvare
Povero italiano, in bilico tra libertà e cialtroneria
di Maria Luisa Altieri Biagi
Sono sempre più numerosi gli italiani preoccupati per le sorti della nostra lingua e insofferenti della scarsa tutela di essa da parte di chi “dovrebbe” interessarsene: la scuola, le istituzioni, i mezzi di comunicazione, gli specialisti di lingua.
Per secoli sono stati i “letterati” a discutere di questo argomento (la “Questione della lingua” è sempre stata presente, nella storia della nostra cultura); è giusto che ora comincino a farlo i “cittadini”. Ed è altrettanto giusto che linguisti e storici della lingua partecipino al dialogo e lo allarghino: sono ancora troppi gli italiani che sottovalutano il problema della lingua, che nemmeno aspirano – direbbe il Manzoni – a essere “uomini interi” perché, quando parlano o scrivono, sono già rassegnati a dire “non quello che ‘potrebbero’ ”, ma “quello che ‘possono’ ”.
Scriverò la mia opinione sullo stato di salute dell’italiano contemporaneo, senza preoccuparmi di pareri discordi (pur autorevoli), né di ormai scontate interpretazioni ideologiche: il “lassismo” linguistico viene spesso considerato atteggiamento libertario (“progressista” o “populista”, a seconda dei pulpiti); il “rigorismo” viene interpretato come conformismo ( “conservatore” o, addirittura, “reazionario”). Ma la “libertà”, in lingua, non si raggiunge né con la trasgressione vogliosa né con la cieca osservanza delle regole; si conquista con la “competenza”, cioè con la capacità di sfruttare originalmente l’inesauribile ricchezza del lessico e l’elasticità delle strutture sintattiche. Se Gadda riesce a essere originale, nel descrivere un cavallo che sgrava il suo intestino, è perché “conosce” e “sfrutta” tutte le potenzialità della lingua italiana:
“…lui, lui! Il cavallo! […]Ed ecco ecco adergeva la sua coda-frusta piena di maestà e di vigore, terror dei tafani. Ecco, ecco: il rosone d’una cattedrale gotica estrudeva dovizie fumiganti.” (“Dalle specchiere dei laghi”, in “Le meraviglie d’Italia”, Torino, Einaudi 1964, p. 18).
Gadda sa come ribellarsi all’ “uso-Cesira” della lingua, cioè all’uso di una lingua “puntuale […], stenta, scolorata, tetra, uguale, come piccoletto grembiule casalingo da rigovernare le stoviglie”; le parole le conosce tutte, assieme ai loro “doppioni”: “i doppioni li voglio tutti, per mania di possesso e per cupidigia di ricchezze: e voglio anche i triploni e i quadruploni […] e tutti i sinonimi, usati nelle loro variegate accezioni e sfumature, d’uso corrente e d’uso raro rarissimo…”.
Arrivare a tanta padronanza della lingua non è facile; però, fra il lusso di Gadda e l’estrema povertà dei parlanti e scriventi di oggi (pensiamo ai desolanti modelli offerti dai “reality-show”), ci dovrà pur essere una via di mezzo…
(Da La Nazione, 21/9/2004).
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Il « New York Times » ha dedicato ieri un articolo al « massacro della lingua italiana » negli Stati Uniti da parte degli americani, incapaci – scrive il quotidiano statunitense – di pronunciare correttamente le parole che terminano con vocali. Ma anche qui in Italia la nostra lingua non sembra godere di ottima salute: invadenza delle parole straniere, errori di pronuncia ma anche – nell’apparente, generale disinteresse – veri e propri strafalcioni amplificati dai mezzi di comunicazione di massa, in primo luogo televisione e radio. Con questo articolo di Maria Luisa Altieri Biagi, accademica della Crusca, cominciamo un viaggio nello stato di salute dell’italiano, scritto e parlato.
Una lingua da salvare
Povero italiano, in bilico tra libertà e cialtroneria
di Maria Luisa Altieri Biagi
Sono sempre più numerosi gli italiani preoccupati per le sorti della nostra lingua e insofferenti della scarsa tutela di essa da parte di chi “dovrebbe” interessarsene: la scuola, le istituzioni, i mezzi di comunicazione, gli specialisti di lingua.
Per secoli sono stati i “letterati” a discutere di questo argomento (la “Questione della lingua” è sempre stata presente, nella storia della nostra cultura); è giusto che ora comincino a farlo i “cittadini”. Ed è altrettanto giusto che linguisti e storici della lingua partecipino al dialogo e lo allarghino: sono ancora troppi gli italiani che sottovalutano il problema della lingua, che nemmeno aspirano – direbbe il Manzoni – a essere “uomini interi” perché, quando parlano o scrivono, sono già rassegnati a dire “non quello che ‘potrebbero’ ”, ma “quello che ‘possono’ ”.
Scriverò la mia opinione sullo stato di salute dell’italiano contemporaneo, senza preoccuparmi di pareri discordi (pur autorevoli), né di ormai scontate interpretazioni ideologiche: il “lassismo” linguistico viene spesso considerato atteggiamento libertario (“progressista” o “populista”, a seconda dei pulpiti); il “rigorismo” viene interpretato come conformismo ( “conservatore” o, addirittura, “reazionario”). Ma la “libertà”, in lingua, non si raggiunge né con la trasgressione vogliosa né con la cieca osservanza delle regole; si conquista con la “competenza”, cioè con la capacità di sfruttare originalmente l’inesauribile ricchezza del lessico e l’elasticità delle strutture sintattiche. Se Gadda riesce a essere originale, nel descrivere un cavallo che sgrava il suo intestino, è perché “conosce” e “sfrutta” tutte le potenzialità della lingua italiana:
“…lui, lui! Il cavallo! […]Ed ecco ecco adergeva la sua coda-frusta piena di maestà e di vigore, terror dei tafani. Ecco, ecco: il rosone d’una cattedrale gotica estrudeva dovizie fumiganti.” (“Dalle specchiere dei laghi”, in “Le meraviglie d’Italia”, Torino, Einaudi 1964, p. 18).
Gadda sa come ribellarsi all’ “uso-Cesira” della lingua, cioè all’uso di una lingua “puntuale […], stenta, scolorata, tetra, uguale, come piccoletto grembiule casalingo da rigovernare le stoviglie”; le parole le conosce tutte, assieme ai loro “doppioni”: “i doppioni li voglio tutti, per mania di possesso e per cupidigia di ricchezze: e voglio anche i triploni e i quadruploni […] e tutti i sinonimi, usati nelle loro variegate accezioni e sfumature, d’uso corrente e d’uso raro rarissimo…”.
Arrivare a tanta padronanza della lingua non è facile; però, fra il lusso di Gadda e l’estrema povertà dei parlanti e scriventi di oggi (pensiamo ai desolanti modelli offerti dai “reality-show”), ci dovrà pur essere una via di mezzo…
(Da La Nazione, 21/9/2004).
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Il « New York Times » ha dedicato ieri un articolo al « massacro della lingua italiana » negli Stati Uniti da parte degli americani, incapaci – scrive il quotidiano statunitense – di pronunciare correttamente le parole che terminano con vocali. Ma anche qui in Italia la nostra lingua non sembra godere di ottima salute: invadenza delle parole straniere, errori di pronuncia ma anche – nell’apparente, generale disinteresse – veri e propri strafalcioni amplificati dai mezzi di comunicazione di massa, in primo luogo televisione e radio. Con questo articolo di Maria Luisa Altieri Biagi, accademica della Crusca, cominciamo un viaggio nello stato di salute dell’italiano, scritto e parlato.
Una lingua da salvare
Povero italiano, in bilico tra libertà e cialtroneria
di Maria Luisa Altieri Biagi
Sono sempre più numerosi gli italiani preoccupati per le sorti della nostra lingua e insofferenti della scarsa tutela di essa da parte di chi “dovrebbe” interessarsene: la scuola, le istituzioni, i mezzi di comunicazione, gli specialisti di lingua.
Per secoli sono stati i “letterati” a discutere di questo argomento (la “Questione della lingua” è sempre stata presente, nella storia della nostra cultura); è giusto che ora comincino a farlo i “cittadini”. Ed è altrettanto giusto che linguisti e storici della lingua partecipino al dialogo e lo allarghino: sono ancora troppi gli italiani che sottovalutano il problema della lingua, che nemmeno aspirano – direbbe il Manzoni – a essere “uomini interi” perché, quando parlano o scrivono, sono già rassegnati a dire “non quello che ‘potrebbero’ ”, ma “quello che ‘possono’ ”.
Scriverò la mia opinione sullo stato di salute dell’italiano contemporaneo, senza preoccuparmi di pareri discordi (pur autorevoli), né di ormai scontate interpretazioni ideologiche: il “lassismo” linguistico viene spesso considerato atteggiamento libertario (“progressista” o “populista”, a seconda dei pulpiti); il “rigorismo” viene interpretato come conformismo ( “conservatore” o, addirittura, “reazionario”). Ma la “libertà”, in lingua, non si raggiunge né con la trasgressione vogliosa né con la cieca osservanza delle regole; si conquista con la “competenza”, cioè con la capacità di sfruttare originalmente l’inesauribile ricchezza del lessico e l’elasticità delle strutture sintattiche. Se Gadda riesce a essere originale, nel descrivere un cavallo che sgrava il suo intestino, è perché “conosce” e “sfrutta” tutte le potenzialità della lingua italiana:
“…lui, lui! Il cavallo! […]Ed ecco ecco adergeva la sua coda-frusta piena di maestà e di vigore, terror dei tafani. Ecco, ecco: il rosone d’una cattedrale gotica estrudeva dovizie fumiganti.” (“Dalle specchiere dei laghi”, in “Le meraviglie d’Italia”, Torino, Einaudi 1964, p. 18).
Gadda sa come ribellarsi all’ “uso-Cesira” della lingua, cioè all’uso di una lingua “puntuale […], stenta, scolorata, tetra, uguale, come piccoletto grembiule casalingo da rigovernare le stoviglie”; le parole le conosce tutte, assieme ai loro “doppioni”: “i doppioni li voglio tutti, per mania di possesso e per cupidigia di ricchezze: e voglio anche i triploni e i quadruploni […] e tutti i sinonimi, usati nelle loro variegate accezioni e sfumature, d’uso corrente e d’uso raro rarissimo…”.
Arrivare a tanta padronanza della lingua non è facile; però, fra il lusso di Gadda e l’estrema povertà dei parlanti e scriventi di oggi (pensiamo ai desolanti modelli offerti dai “reality-show”), ci dovrà pur essere una via di mezzo…
(Da La Nazione, 21/9/2004).
[addsig]
Il « New York Times » ha dedicato ieri un articolo al « massacro della lingua italiana » negli Stati Uniti da parte degli americani, incapaci – scrive il quotidiano statunitense – di pronunciare correttamente le parole che terminano con vocali. Ma anche qui in Italia la nostra lingua non sembra godere di ottima salute: invadenza delle parole straniere, errori di pronuncia ma anche – nell’apparente, generale disinteresse – veri e propri strafalcioni amplificati dai mezzi di comunicazione di massa, in primo luogo televisione e radio. Con questo articolo di Maria Luisa Altieri Biagi, accademica della Crusca, cominciamo un viaggio nello stato di salute dell’italiano, scritto e parlato.
Una lingua da salvare
Povero italiano, in bilico tra libertà e cialtroneria
di Maria Luisa Altieri Biagi
Sono sempre più numerosi gli italiani preoccupati per le sorti della nostra lingua e insofferenti della scarsa tutela di essa da parte di chi “dovrebbe” interessarsene: la scuola, le istituzioni, i mezzi di comunicazione, gli specialisti di lingua.
Per secoli sono stati i “letterati” a discutere di questo argomento (la “Questione della lingua” è sempre stata presente, nella storia della nostra cultura); è giusto che ora comincino a farlo i “cittadini”. Ed è altrettanto giusto che linguisti e storici della lingua partecipino al dialogo e lo allarghino: sono ancora troppi gli italiani che sottovalutano il problema della lingua, che nemmeno aspirano – direbbe il Manzoni – a essere “uomini interi” perché, quando parlano o scrivono, sono già rassegnati a dire “non quello che ‘potrebbero’ ”, ma “quello che ‘possono’ ”.
Scriverò la mia opinione sullo stato di salute dell’italiano contemporaneo, senza preoccuparmi di pareri discordi (pur autorevoli), né di ormai scontate interpretazioni ideologiche: il “lassismo” linguistico viene spesso considerato atteggiamento libertario (“progressista” o “populista”, a seconda dei pulpiti); il “rigorismo” viene interpretato come conformismo ( “conservatore” o, addirittura, “reazionario”). Ma la “libertà”, in lingua, non si raggiunge né con la trasgressione vogliosa né con la cieca osservanza delle regole; si conquista con la “competenza”, cioè con la capacità di sfruttare originalmente l’inesauribile ricchezza del lessico e l’elasticità delle strutture sintattiche. Se Gadda riesce a essere originale, nel descrivere un cavallo che sgrava il suo intestino, è perché “conosce” e “sfrutta” tutte le potenzialità della lingua italiana:
“…lui, lui! Il cavallo! […]Ed ecco ecco adergeva la sua coda-frusta piena di maestà e di vigore, terror dei tafani. Ecco, ecco: il rosone d’una cattedrale gotica estrudeva dovizie fumiganti.” (“Dalle specchiere dei laghi”, in “Le meraviglie d’Italia”, Torino, Einaudi 1964, p. 18).
Gadda sa come ribellarsi all’ “uso-Cesira” della lingua, cioè all’uso di una lingua “puntuale […], stenta, scolorata, tetra, uguale, come piccoletto grembiule casalingo da rigovernare le stoviglie”; le parole le conosce tutte, assieme ai loro “doppioni”: “i doppioni li voglio tutti, per mania di possesso e per cupidigia di ricchezze: e voglio anche i triploni e i quadruploni […] e tutti i sinonimi, usati nelle loro variegate accezioni e sfumature, d’uso corrente e d’uso raro rarissimo…”.
Arrivare a tanta padronanza della lingua non è facile; però, fra il lusso di Gadda e l’estrema povertà dei parlanti e scriventi di oggi (pensiamo ai desolanti modelli offerti dai “reality-show”), ci dovrà pur essere una via di mezzo…
(Da La Nazione, 21/9/2004).
[addsig]
Il « New York Times » ha dedicato ieri un articolo al « massacro della lingua italiana » negli Stati Uniti da parte degli americani, incapaci – scrive il quotidiano statunitense – di pronunciare correttamente le parole che terminano con vocali. Ma anche qui in Italia la nostra lingua non sembra godere di ottima salute: invadenza delle parole straniere, errori di pronuncia ma anche – nell’apparente, generale disinteresse – veri e propri strafalcioni amplificati dai mezzi di comunicazione di massa, in primo luogo televisione e radio. Con questo articolo di Maria Luisa Altieri Biagi, accademica della Crusca, cominciamo un viaggio nello stato di salute dell’italiano, scritto e parlato.
Una lingua da salvare
Povero italiano, in bilico tra libertà e cialtroneria
di Maria Luisa Altieri Biagi
Sono sempre più numerosi gli italiani preoccupati per le sorti della nostra lingua e insofferenti della scarsa tutela di essa da parte di chi “dovrebbe” interessarsene: la scuola, le istituzioni, i mezzi di comunicazione, gli specialisti di lingua.
Per secoli sono stati i “letterati” a discutere di questo argomento (la “Questione della lingua” è sempre stata presente, nella storia della nostra cultura); è giusto che ora comincino a farlo i “cittadini”. Ed è altrettanto giusto che linguisti e storici della lingua partecipino al dialogo e lo allarghino: sono ancora troppi gli italiani che sottovalutano il problema della lingua, che nemmeno aspirano – direbbe il Manzoni – a essere “uomini interi” perché, quando parlano o scrivono, sono già rassegnati a dire “non quello che ‘potrebbero’ ”, ma “quello che ‘possono’ ”.
Scriverò la mia opinione sullo stato di salute dell’italiano contemporaneo, senza preoccuparmi di pareri discordi (pur autorevoli), né di ormai scontate interpretazioni ideologiche: il “lassismo” linguistico viene spesso considerato atteggiamento libertario (“progressista” o “populista”, a seconda dei pulpiti); il “rigorismo” viene interpretato come conformismo ( “conservatore” o, addirittura, “reazionario”). Ma la “libertà”, in lingua, non si raggiunge né con la trasgressione vogliosa né con la cieca osservanza delle regole; si conquista con la “competenza”, cioè con la capacità di sfruttare originalmente l’inesauribile ricchezza del lessico e l’elasticità delle strutture sintattiche. Se Gadda riesce a essere originale, nel descrivere un cavallo che sgrava il suo intestino, è perché “conosce” e “sfrutta” tutte le potenzialità della lingua italiana:
“…lui, lui! Il cavallo! […]Ed ecco ecco adergeva la sua coda-frusta piena di maestà e di vigore, terror dei tafani. Ecco, ecco: il rosone d’una cattedrale gotica estrudeva dovizie fumiganti.” (“Dalle specchiere dei laghi”, in “Le meraviglie d’Italia”, Torino, Einaudi 1964, p. 18).
Gadda sa come ribellarsi all’ “uso-Cesira” della lingua, cioè all’uso di una lingua “puntuale […], stenta, scolorata, tetra, uguale, come piccoletto grembiule casalingo da rigovernare le stoviglie”; le parole le conosce tutte, assieme ai loro “doppioni”: “i doppioni li voglio tutti, per mania di possesso e per cupidigia di ricchezze: e voglio anche i triploni e i quadruploni […] e tutti i sinonimi, usati nelle loro variegate accezioni e sfumature, d’uso corrente e d’uso raro rarissimo…”.
Arrivare a tanta padronanza della lingua non è facile; però, fra il lusso di Gadda e l’estrema povertà dei parlanti e scriventi di oggi (pensiamo ai desolanti modelli offerti dai “reality-show”), ci dovrà pur essere una via di mezzo…
(Da La Nazione, 21/9/2004).
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Il « New York Times » ha dedicato ieri un articolo al « massacro della lingua italiana » negli Stati Uniti da parte degli americani, incapaci – scrive il quotidiano statunitense – di pronunciare correttamente le parole che terminano con vocali. Ma anche qui in Italia la nostra lingua non sembra godere di ottima salute: invadenza delle parole straniere, errori di pronuncia ma anche – nell’apparente, generale disinteresse – veri e propri strafalcioni amplificati dai mezzi di comunicazione di massa, in primo luogo televisione e radio. Con questo articolo di Maria Luisa Altieri Biagi, accademica della Crusca, cominciamo un viaggio nello stato di salute dell’italiano, scritto e parlato.
Una lingua da salvare
Povero italiano, in bilico tra libertà e cialtroneria
di Maria Luisa Altieri Biagi
Sono sempre più numerosi gli italiani preoccupati per le sorti della nostra lingua e insofferenti della scarsa tutela di essa da parte di chi “dovrebbe” interessarsene: la scuola, le istituzioni, i mezzi di comunicazione, gli specialisti di lingua.
Per secoli sono stati i “letterati” a discutere di questo argomento (la “Questione della lingua” è sempre stata presente, nella storia della nostra cultura); è giusto che ora comincino a farlo i “cittadini”. Ed è altrettanto giusto che linguisti e storici della lingua partecipino al dialogo e lo allarghino: sono ancora troppi gli italiani che sottovalutano il problema della lingua, che nemmeno aspirano – direbbe il Manzoni – a essere “uomini interi” perché, quando parlano o scrivono, sono già rassegnati a dire “non quello che ‘potrebbero’ ”, ma “quello che ‘possono’ ”.
Scriverò la mia opinione sullo stato di salute dell’italiano contemporaneo, senza preoccuparmi di pareri discordi (pur autorevoli), né di ormai scontate interpretazioni ideologiche: il “lassismo” linguistico viene spesso considerato atteggiamento libertario (“progressista” o “populista”, a seconda dei pulpiti); il “rigorismo” viene interpretato come conformismo ( “conservatore” o, addirittura, “reazionario”). Ma la “libertà”, in lingua, non si raggiunge né con la trasgressione vogliosa né con la cieca osservanza delle regole; si conquista con la “competenza”, cioè con la capacità di sfruttare originalmente l’inesauribile ricchezza del lessico e l’elasticità delle strutture sintattiche. Se Gadda riesce a essere originale, nel descrivere un cavallo che sgrava il suo intestino, è perché “conosce” e “sfrutta” tutte le potenzialità della lingua italiana:
“…lui, lui! Il cavallo! […]Ed ecco ecco adergeva la sua coda-frusta piena di maestà e di vigore, terror dei tafani. Ecco, ecco: il rosone d’una cattedrale gotica estrudeva dovizie fumiganti.” (“Dalle specchiere dei laghi”, in “Le meraviglie d’Italia”, Torino, Einaudi 1964, p. 18).
Gadda sa come ribellarsi all’ “uso-Cesira” della lingua, cioè all’uso di una lingua “puntuale […], stenta, scolorata, tetra, uguale, come piccoletto grembiule casalingo da rigovernare le stoviglie”; le parole le conosce tutte, assieme ai loro “doppioni”: “i doppioni li voglio tutti, per mania di possesso e per cupidigia di ricchezze: e voglio anche i triploni e i quadruploni […] e tutti i sinonimi, usati nelle loro variegate accezioni e sfumature, d’uso corrente e d’uso raro rarissimo…”.
Arrivare a tanta padronanza della lingua non è facile; però, fra il lusso di Gadda e l’estrema povertà dei parlanti e scriventi di oggi (pensiamo ai desolanti modelli offerti dai “reality-show”), ci dovrà pur essere una via di mezzo…
(Da La Nazione, 21/9/2004).
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Il « New York Times » ha dedicato ieri un articolo al « massacro della lingua italiana » negli Stati Uniti da parte degli americani, incapaci – scrive il quotidiano statunitense – di pronunciare correttamente le parole che terminano con vocali. Ma anche qui in Italia la nostra lingua non sembra godere di ottima salute: invadenza delle parole straniere, errori di pronuncia ma anche – nell’apparente, generale disinteresse – veri e propri strafalcioni amplificati dai mezzi di comunicazione di massa, in primo luogo televisione e radio. Con questo articolo di Maria Luisa Altieri Biagi, accademica della Crusca, cominciamo un viaggio nello stato di salute dell’italiano, scritto e parlato.
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Sono sempre più numerosi gli italiani preoccupati per le sorti della nostra lingua e insofferenti della scarsa tutela di essa da parte di chi “dovrebbe” interessarsene: la scuola, le istituzioni, i mezzi di comunicazione, gli specialisti di lingua.
Per secoli sono stati i “letterati” a discutere di questo argomento (la “Questione della lingua” è sempre stata presente, nella storia della nostra cultura); è giusto che ora comincino a farlo i “cittadini”. Ed è altrettanto giusto che linguisti e storici della lingua partecipino al dialogo e lo allarghino: sono ancora troppi gli italiani che sottovalutano il problema della lingua, che nemmeno aspirano – direbbe il Manzoni – a essere “uomini interi” perché, quando parlano o scrivono, sono già rassegnati a dire “non quello che ‘potrebbero’ ”, ma “quello che ‘possono’ ”.
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“…lui, lui! Il cavallo! […]Ed ecco ecco adergeva la sua coda-frusta piena di maestà e di vigore, terror dei tafani. Ecco, ecco: il rosone d’una cattedrale gotica estrudeva dovizie fumiganti.” (“Dalle specchiere dei laghi”, in “Le meraviglie d’Italia”, Torino, Einaudi 1964, p. 18).
Gadda sa come ribellarsi all’ “uso-Cesira” della lingua, cioè all’uso di una lingua “puntuale […], stenta, scolorata, tetra, uguale, come piccoletto grembiule casalingo da rigovernare le stoviglie”; le parole le conosce tutte, assieme ai loro “doppioni”: “i doppioni li voglio tutti, per mania di possesso e per cupidigia di ricchezze: e voglio anche i triploni e i quadruploni […] e tutti i sinonimi, usati nelle loro variegate accezioni e sfumature, d’uso corrente e d’uso raro rarissimo…”.
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Una lingua da salvare
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Per secoli sono stati i “letterati” a discutere di questo argomento (la “Questione della lingua” è sempre stata presente, nella storia della nostra cultura); è giusto che ora comincino a farlo i “cittadini”. Ed è altrettanto giusto che linguisti e storici della lingua partecipino al dialogo e lo allarghino: sono ancora troppi gli italiani che sottovalutano il problema della lingua, che nemmeno aspirano – direbbe il Manzoni – a essere “uomini interi” perché, quando parlano o scrivono, sono già rassegnati a dire “non quello che ‘potrebbero’ ”, ma “quello che ‘possono’ ”.
Scriverò la mia opinione sullo stato di salute dell’italiano contemporaneo, senza preoccuparmi di pareri discordi (pur autorevoli), né di ormai scontate interpretazioni ideologiche: il “lassismo” linguistico viene spesso considerato atteggiamento libertario (“progressista” o “populista”, a seconda dei pulpiti); il “rigorismo” viene interpretato come conformismo ( “conservatore” o, addirittura, “reazionario”). Ma la “libertà”, in lingua, non si raggiunge né con la trasgressione vogliosa né con la cieca osservanza delle regole; si conquista con la “competenza”, cioè con la capacità di sfruttare originalmente l’inesauribile ricchezza del lessico e l’elasticità delle strutture sintattiche. Se Gadda riesce a essere originale, nel descrivere un cavallo che sgrava il suo intestino, è perché “conosce” e “sfrutta” tutte le potenzialità della lingua italiana:
“…lui, lui! Il cavallo! […]Ed ecco ecco adergeva la sua coda-frusta piena di maestà e di vigore, terror dei tafani. Ecco, ecco: il rosone d’una cattedrale gotica estrudeva dovizie fumiganti.” (“Dalle specchiere dei laghi”, in “Le meraviglie d’Italia”, Torino, Einaudi 1964, p. 18).
Gadda sa come ribellarsi all’ “uso-Cesira” della lingua, cioè all’uso di una lingua “puntuale […], stenta, scolorata, tetra, uguale, come piccoletto grembiule casalingo da rigovernare le stoviglie”; le parole le conosce tutte, assieme ai loro “doppioni”: “i doppioni li voglio tutti, per mania di possesso e per cupidigia di ricchezze: e voglio anche i triploni e i quadruploni […] e tutti i sinonimi, usati nelle loro variegate accezioni e sfumature, d’uso corrente e d’uso raro rarissimo…”.
Arrivare a tanta padronanza della lingua non è facile; però, fra il lusso di Gadda e l’estrema povertà dei parlanti e scriventi di oggi (pensiamo ai desolanti modelli offerti dai “reality-show”), ci dovrà pur essere una via di mezzo…
(Da La Nazione, 21/9/2004).
[addsig]
Il « New York Times » ha dedicato ieri un articolo al « massacro della lingua italiana » negli Stati Uniti da parte degli americani, incapaci – scrive il quotidiano statunitense – di pronunciare correttamente le parole che terminano con vocali. Ma anche qui in Italia la nostra lingua non sembra godere di ottima salute: invadenza delle parole straniere, errori di pronuncia ma anche – nell’apparente, generale disinteresse – veri e propri strafalcioni amplificati dai mezzi di comunicazione di massa, in primo luogo televisione e radio. Con questo articolo di Maria Luisa Altieri Biagi, accademica della Crusca, cominciamo un viaggio nello stato di salute dell’italiano, scritto e parlato.
Una lingua da salvare
Povero italiano, in bilico tra libertà e cialtroneria
di Maria Luisa Altieri Biagi
Sono sempre più numerosi gli italiani preoccupati per le sorti della nostra lingua e insofferenti della scarsa tutela di essa da parte di chi “dovrebbe” interessarsene: la scuola, le istituzioni, i mezzi di comunicazione, gli specialisti di lingua.
Per secoli sono stati i “letterati” a discutere di questo argomento (la “Questione della lingua” è sempre stata presente, nella storia della nostra cultura); è giusto che ora comincino a farlo i “cittadini”. Ed è altrettanto giusto che linguisti e storici della lingua partecipino al dialogo e lo allarghino: sono ancora troppi gli italiani che sottovalutano il problema della lingua, che nemmeno aspirano – direbbe il Manzoni – a essere “uomini interi” perché, quando parlano o scrivono, sono già rassegnati a dire “non quello che ‘potrebbero’ ”, ma “quello che ‘possono’ ”.
Scriverò la mia opinione sullo stato di salute dell’italiano contemporaneo, senza preoccuparmi di pareri discordi (pur autorevoli), né di ormai scontate interpretazioni ideologiche: il “lassismo” linguistico viene spesso considerato atteggiamento libertario (“progressista” o “populista”, a seconda dei pulpiti); il “rigorismo” viene interpretato come conformismo ( “conservatore” o, addirittura, “reazionario”). Ma la “libertà”, in lingua, non si raggiunge né con la trasgressione vogliosa né con la cieca osservanza delle regole; si conquista con la “competenza”, cioè con la capacità di sfruttare originalmente l’inesauribile ricchezza del lessico e l’elasticità delle strutture sintattiche. Se Gadda riesce a essere originale, nel descrivere un cavallo che sgrava il suo intestino, è perché “conosce” e “sfrutta” tutte le potenzialità della lingua italiana:
“…lui, lui! Il cavallo! […]Ed ecco ecco adergeva la sua coda-frusta piena di maestà e di vigore, terror dei tafani. Ecco, ecco: il rosone d’una cattedrale gotica estrudeva dovizie fumiganti.” (“Dalle specchiere dei laghi”, in “Le meraviglie d’Italia”, Torino, Einaudi 1964, p. 18).
Gadda sa come ribellarsi all’ “uso-Cesira” della lingua, cioè all’uso di una lingua “puntuale […], stenta, scolorata, tetra, uguale, come piccoletto grembiule casalingo da rigovernare le stoviglie”; le parole le conosce tutte, assieme ai loro “doppioni”: “i doppioni li voglio tutti, per mania di possesso e per cupidigia di ricchezze: e voglio anche i triploni e i quadruploni […] e tutti i sinonimi, usati nelle loro variegate accezioni e sfumature, d’uso corrente e d’uso raro rarissimo…”.
Arrivare a tanta padronanza della lingua non è facile; però, fra il lusso di Gadda e l’estrema povertà dei parlanti e scriventi di oggi (pensiamo ai desolanti modelli offerti dai “reality-show”), ci dovrà pur essere una via di mezzo…
(Da La Nazione, 21/9/2004).
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Il « New York Times » ha dedicato ieri un articolo al « massacro della lingua italiana » negli Stati Uniti da parte degli americani, incapaci – scrive il quotidiano statunitense – di pronunciare correttamente le parole che terminano con vocali. Ma anche qui in Italia la nostra lingua non sembra godere di ottima salute: invadenza delle parole straniere, errori di pronuncia ma anche – nell’apparente, generale disinteresse – veri e propri strafalcioni amplificati dai mezzi di comunicazione di massa, in primo luogo televisione e radio. Con questo articolo di Maria Luisa Altieri Biagi, accademica della Crusca, cominciamo un viaggio nello stato di salute dell’italiano, scritto e parlato.
Una lingua da salvare
Povero italiano, in bilico tra libertà e cialtroneria
di Maria Luisa Altieri Biagi
Sono sempre più numerosi gli italiani preoccupati per le sorti della nostra lingua e insofferenti della scarsa tutela di essa da parte di chi “dovrebbe” interessarsene: la scuola, le istituzioni, i mezzi di comunicazione, gli specialisti di lingua.
Per secoli sono stati i “letterati” a discutere di questo argomento (la “Questione della lingua” è sempre stata presente, nella storia della nostra cultura); è giusto che ora comincino a farlo i “cittadini”. Ed è altrettanto giusto che linguisti e storici della lingua partecipino al dialogo e lo allarghino: sono ancora troppi gli italiani che sottovalutano il problema della lingua, che nemmeno aspirano – direbbe il Manzoni – a essere “uomini interi” perché, quando parlano o scrivono, sono già rassegnati a dire “non quello che ‘potrebbero’ ”, ma “quello che ‘possono’ ”.
Scriverò la mia opinione sullo stato di salute dell’italiano contemporaneo, senza preoccuparmi di pareri discordi (pur autorevoli), né di ormai scontate interpretazioni ideologiche: il “lassismo” linguistico viene spesso considerato atteggiamento libertario (“progressista” o “populista”, a seconda dei pulpiti); il “rigorismo” viene interpretato come conformismo ( “conservatore” o, addirittura, “reazionario”). Ma la “libertà”, in lingua, non si raggiunge né con la trasgressione vogliosa né con la cieca osservanza delle regole; si conquista con la “competenza”, cioè con la capacità di sfruttare originalmente l’inesauribile ricchezza del lessico e l’elasticità delle strutture sintattiche. Se Gadda riesce a essere originale, nel descrivere un cavallo che sgrava il suo intestino, è perché “conosce” e “sfrutta” tutte le potenzialità della lingua italiana:
“…lui, lui! Il cavallo! […]Ed ecco ecco adergeva la sua coda-frusta piena di maestà e di vigore, terror dei tafani. Ecco, ecco: il rosone d’una cattedrale gotica estrudeva dovizie fumiganti.” (“Dalle specchiere dei laghi”, in “Le meraviglie d’Italia”, Torino, Einaudi 1964, p. 18).
Gadda sa come ribellarsi all’ “uso-Cesira” della lingua, cioè all’uso di una lingua “puntuale […], stenta, scolorata, tetra, uguale, come piccoletto grembiule casalingo da rigovernare le stoviglie”; le parole le conosce tutte, assieme ai loro “doppioni”: “i doppioni li voglio tutti, per mania di possesso e per cupidigia di ricchezze: e voglio anche i triploni e i quadruploni […] e tutti i sinonimi, usati nelle loro variegate accezioni e sfumature, d’uso corrente e d’uso raro rarissimo…”.
Arrivare a tanta padronanza della lingua non è facile; però, fra il lusso di Gadda e l’estrema povertà dei parlanti e scriventi di oggi (pensiamo ai desolanti modelli offerti dai “reality-show”), ci dovrà pur essere una via di mezzo…
(Da La Nazione, 21/9/2004).
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Il « New York Times » ha dedicato ieri un articolo al « massacro della lingua italiana » negli Stati Uniti da parte degli americani, incapaci – scrive il quotidiano statunitense – di pronunciare correttamente le parole che terminano con vocali. Ma anche qui in Italia la nostra lingua non sembra godere di ottima salute: invadenza delle parole straniere, errori di pronuncia ma anche – nell’apparente, generale disinteresse – veri e propri strafalcioni amplificati dai mezzi di comunicazione di massa, in primo luogo televisione e radio. Con questo articolo di Maria Luisa Altieri Biagi, accademica della Crusca, cominciamo un viaggio nello stato di salute dell’italiano, scritto e parlato.
Una lingua da salvare
Povero italiano, in bilico tra libertà e cialtroneria
di Maria Luisa Altieri Biagi
Sono sempre più numerosi gli italiani preoccupati per le sorti della nostra lingua e insofferenti della scarsa tutela di essa da parte di chi “dovrebbe” interessarsene: la scuola, le istituzioni, i mezzi di comunicazione, gli specialisti di lingua.
Per secoli sono stati i “letterati” a discutere di questo argomento (la “Questione della lingua” è sempre stata presente, nella storia della nostra cultura); è giusto che ora comincino a farlo i “cittadini”. Ed è altrettanto giusto che linguisti e storici della lingua partecipino al dialogo e lo allarghino: sono ancora troppi gli italiani che sottovalutano il problema della lingua, che nemmeno aspirano – direbbe il Manzoni – a essere “uomini interi” perché, quando parlano o scrivono, sono già rassegnati a dire “non quello che ‘potrebbero’ ”, ma “quello che ‘possono’ ”.
Scriverò la mia opinione sullo stato di salute dell’italiano contemporaneo, senza preoccuparmi di pareri discordi (pur autorevoli), né di ormai scontate interpretazioni ideologiche: il “lassismo” linguistico viene spesso considerato atteggiamento libertario (“progressista” o “populista”, a seconda dei pulpiti); il “rigorismo” viene interpretato come conformismo ( “conservatore” o, addirittura, “reazionario”). Ma la “libertà”, in lingua, non si raggiunge né con la trasgressione vogliosa né con la cieca osservanza delle regole; si conquista con la “competenza”, cioè con la capacità di sfruttare originalmente l’inesauribile ricchezza del lessico e l’elasticità delle strutture sintattiche. Se Gadda riesce a essere originale, nel descrivere un cavallo che sgrava il suo intestino, è perché “conosce” e “sfrutta” tutte le potenzialità della lingua italiana:
“…lui, lui! Il cavallo! […]Ed ecco ecco adergeva la sua coda-frusta piena di maestà e di vigore, terror dei tafani. Ecco, ecco: il rosone d’una cattedrale gotica estrudeva dovizie fumiganti.” (“Dalle specchiere dei laghi”, in “Le meraviglie d’Italia”, Torino, Einaudi 1964, p. 18).
Gadda sa come ribellarsi all’ “uso-Cesira” della lingua, cioè all’uso di una lingua “puntuale […], stenta, scolorata, tetra, uguale, come piccoletto grembiule casalingo da rigovernare le stoviglie”; le parole le conosce tutte, assieme ai loro “doppioni”: “i doppioni li voglio tutti, per mania di possesso e per cupidigia di ricchezze: e voglio anche i triploni e i quadruploni […] e tutti i sinonimi, usati nelle loro variegate accezioni e sfumature, d’uso corrente e d’uso raro rarissimo…”.
Arrivare a tanta padronanza della lingua non è facile; però, fra il lusso di Gadda e l’estrema povertà dei parlanti e scriventi di oggi (pensiamo ai desolanti modelli offerti dai “reality-show”), ci dovrà pur essere una via di mezzo…
(Da La Nazione, 21/9/2004).
[addsig]
Il « New York Times » ha dedicato ieri un articolo al « massacro della lingua italiana » negli Stati Uniti da parte degli americani, incapaci – scrive il quotidiano statunitense – di pronunciare correttamente le parole che terminano con vocali. Ma anche qui in Italia la nostra lingua non sembra godere di ottima salute: invadenza delle parole straniere, errori di pronuncia ma anche – nell’apparente, generale disinteresse – veri e propri strafalcioni amplificati dai mezzi di comunicazione di massa, in primo luogo televisione e radio. Con questo articolo di Maria Luisa Altieri Biagi, accademica della Crusca, cominciamo un viaggio nello stato di salute dell’italiano, scritto e parlato.
Una lingua da salvare
Povero italiano, in bilico tra libertà e cialtroneria
di Maria Luisa Altieri Biagi
Sono sempre più numerosi gli italiani preoccupati per le sorti della nostra lingua e insofferenti della scarsa tutela di essa da parte di chi “dovrebbe” interessarsene: la scuola, le istituzioni, i mezzi di comunicazione, gli specialisti di lingua.
Per secoli sono stati i “letterati” a discutere di questo argomento (la “Questione della lingua” è sempre stata presente, nella storia della nostra cultura); è giusto che ora comincino a farlo i “cittadini”. Ed è altrettanto giusto che linguisti e storici della lingua partecipino al dialogo e lo allarghino: sono ancora troppi gli italiani che sottovalutano il problema della lingua, che nemmeno aspirano – direbbe il Manzoni – a essere “uomini interi” perché, quando parlano o scrivono, sono già rassegnati a dire “non quello che ‘potrebbero’ ”, ma “quello che ‘possono’ ”.
Scriverò la mia opinione sullo stato di salute dell’italiano contemporaneo, senza preoccuparmi di pareri discordi (pur autorevoli), né di ormai scontate interpretazioni ideologiche: il “lassismo” linguistico viene spesso considerato atteggiamento libertario (“progressista” o “populista”, a seconda dei pulpiti); il “rigorismo” viene interpretato come conformismo ( “conservatore” o, addirittura, “reazionario”). Ma la “libertà”, in lingua, non si raggiunge né con la trasgressione vogliosa né con la cieca osservanza delle regole; si conquista con la “competenza”, cioè con la capacità di sfruttare originalmente l’inesauribile ricchezza del lessico e l’elasticità delle strutture sintattiche. Se Gadda riesce a essere originale, nel descrivere un cavallo che sgrava il suo intestino, è perché “conosce” e “sfrutta” tutte le potenzialità della lingua italiana:
“…lui, lui! Il cavallo! […]Ed ecco ecco adergeva la sua coda-frusta piena di maestà e di vigore, terror dei tafani. Ecco, ecco: il rosone d’una cattedrale gotica estrudeva dovizie fumiganti.” (“Dalle specchiere dei laghi”, in “Le meraviglie d’Italia”, Torino, Einaudi 1964, p. 18).
Gadda sa come ribellarsi all’ “uso-Cesira” della lingua, cioè all’uso di una lingua “puntuale […], stenta, scolorata, tetra, uguale, come piccoletto grembiule casalingo da rigovernare le stoviglie”; le parole le conosce tutte, assieme ai loro “doppioni”: “i doppioni li voglio tutti, per mania di possesso e per cupidigia di ricchezze: e voglio anche i triploni e i quadruploni […] e tutti i sinonimi, usati nelle loro variegate accezioni e sfumature, d’uso corrente e d’uso raro rarissimo…”.
Arrivare a tanta padronanza della lingua non è facile; però, fra il lusso di Gadda e l’estrema povertà dei parlanti e scriventi di oggi (pensiamo ai desolanti modelli offerti dai “reality-show”), ci dovrà pur essere una via di mezzo…
(Da La Nazione, 21/9/2004).
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