Lezioni di armeno per la Turchia di Gul
Per la prima volta all’università la lingua del Caucaso
di MARTA OTTAVIANI
Caute aperture dopo il dibattito sul genocidio
Per la Turchia è un passo storico. Lo Yi ksek Oretim Kurulu, l’Istituto per l’Alta Istruzione turca, ha autorizzato la creazione di due facoltà di lingua e letteratura armena, una a Nevsehir l’altra a Erciyes, entrambe in Anatolia centrale. Le lezioni dovevano iniziare già da questo semestre, ma subiranno probabilmente uno slittamento all’anno accademico 2009-2010, perché, nonostante il via libera da parte delle istituzioni, l’ateneo non riesce a trovare professori di madrelingua armena.
«Per aprire il dipartimento – spiega Filiz Kilic, rettore dell’Univesità di Nevsehir – ci vogliono tre professori. Siamo riusciti a trovare testi di lingua e letteratura armena, ma la ricerca di insegnanti sul territorio nazionale non ha dato risultati. E’ un progetto a cui teniamo molto e stiamo cercando di attuarlo nel minor tempo possibile. Adesso li stiamo cercando in Azerbaijan. Poi ci concentreremo sui programmi. Il problema è che è difficile trovare accademici con una buona conoscenza sia del turco che dell’armeno».
Per il Paese della Mezzaluna è comunque una prova di grande apertura. Fra Turchia e Armenia è ancora aperta la ferita del 1915. Secondo la versione armena, supportata dalla comunità internazionale, le truppe ottomane sterminarono sistematicamente circa un milione di armeni che risiedeva nei terrori dell’impero. Una carneficina che Erevan, e soprattutto la Diaspora, composta dai discendenti di chi riuscì a fuggire, vorrebbe vedere dichiarata «genocidio». La Turchia ha sempre rifiutato di riconoscerlo, contrapponendo una versione dei fatti secondo cui non ci fu un milione di morti e furono uccisi anche migliaia di musulmani. Oggi gli armeni sul suolo nazionale sono circa 80mila e hanno le loro scuole, ma solo fino al liceo.
Sulle relazioni fra i due Paesi è calato il gelo per decenni, anche a causa dell’uccisione di oltre 30 diplomatici turchi negli anni ’70 per mano dell’Asala, l’Esercito segreto per la liberazione dell’Armenia. A complicare la situazione, la guerra fra Erevan e Baku per il controllo della regione del Nagorno-Karabakh dopo la caduta dell’Unione Sovietica, dove Ankara si è schierata a fianco dell’Azerbaijan. Nel 1993 furono chiuse le frontiere e interrotti i rapporti diplomatici.
Adesso il tempo della contrapposizione sembra essere volto al termine. L’omicidio del giornalista Hrant Dink, nel gennaio 2007, che lavorava per la riconciliazione fra le due parti ha in qualche modo rappresentato una linea spartiacque. Nei mesi scorsi 300 intellettuali turchi hanno firmato una petizione chiamata «Özü dilìyorum», in italiano «chiedo scusa», con la quale si domandava perdono ai «fratelli armeni» per «la tragedia del 1915». In breve tempo il documento è stato sottoscritto da oltre 29mila persone.
Il 6 settembre dell’anno scorso il capo dello Stato turco Gul è volato ad Erevan su invito della sua controparte Serzh Sarkisian per assistere a una partita fra le nazionali armena e turca. L’incontro è stato giustamente caricato di una grande significato simbolico, avendo di fatto riaperto le relazioni diplomatiche fra i due Paesi. Rapporti che continuano e che stanno portando la Turchia ad avere un ruolo di primo piano proprio nella mediazione fra Armenia e Azerbaijan per raggiungere una soluzione condivisa sul Nagorno-Karabakh, stabilizzando così una parte di Caucaso. Dietro a questa nuova stagione di dialogo non ci sono solo prospettive di pace, ma anche le opportunità derivanti dalle future rotte dell’energia, nelle quali l’Armenia vorrebbe entrare e per farlo ha bisogno dell’appoggio di un Paese chiave come la Turchia.
Sogni di riconciliazione e nuovi accordi economici sui quali tira un vento gelido proveniente da ovest. La diaspora armena che risiede negli Stati Uniti infatti sta premendo sulla Casa Bianca perché l’amministrazione Obama porti a termine quello che durante la presidenza di Bush è rimasto interrotto ossia il riconoscimento ufficiale del genocidio armeno da parte degli Usa. Le associazioni turche negli Stati Uniti hanno scritto al presidente per dissuaderlo, sottolineando che «accettare una versione storica di questo genere sarebbe disonesto e potenzialmente incendiario per il Sud Est dell’Europa, il Caucaso e il Medio Oriente».
(Da La Stampa, 17/2/2009).
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Lezioni di armeno per la Turchia di Gul
Per la prima volta all’università la lingua del Caucaso
di MARTA OTTAVIANI
Caute aperture dopo il dibattito sul genocidio
Per la Turchia è un passo storico. Lo Yi ksek Oretim Kurulu, l’Istituto per l’Alta Istruzione turca, ha autorizzato la creazione di due facoltà di lingua e letteratura armena, una a Nevsehir l’altra a Erciyes, entrambe in Anatolia centrale. Le lezioni dovevano iniziare già da questo semestre, ma subiranno probabilmente uno slittamento all’anno accademico 2009-2010, perché, nonostante il via libera da parte delle istituzioni, l’ateneo non riesce a trovare professori di madrelingua armena.
«Per aprire il dipartimento – spiega Filiz Kilic, rettore dell’Univesità di Nevsehir – ci vogliono tre professori. Siamo riusciti a trovare testi di lingua e letteratura armena, ma la ricerca di insegnanti sul territorio nazionale non ha dato risultati. E’ un progetto a cui teniamo molto e stiamo cercando di attuarlo nel minor tempo possibile. Adesso li stiamo cercando in Azerbaijan. Poi ci concentreremo sui programmi. Il problema è che è difficile trovare accademici con una buona conoscenza sia del turco che dell’armeno».
Per il Paese della Mezzaluna è comunque una prova di grande apertura. Fra Turchia e Armenia è ancora aperta la ferita del 1915. Secondo la versione armena, supportata dalla comunità internazionale, le truppe ottomane sterminarono sistematicamente circa un milione di armeni che risiedeva nei terrori dell’impero. Una carneficina che Erevan, e soprattutto la Diaspora, composta dai discendenti di chi riuscì a fuggire, vorrebbe vedere dichiarata «genocidio». La Turchia ha sempre rifiutato di riconoscerlo, contrapponendo una versione dei fatti secondo cui non ci fu un milione di morti e furono uccisi anche migliaia di musulmani. Oggi gli armeni sul suolo nazionale sono circa 80mila e hanno le loro scuole, ma solo fino al liceo.
Sulle relazioni fra i due Paesi è calato il gelo per decenni, anche a causa dell’uccisione di oltre 30 diplomatici turchi negli anni ’70 per mano dell’Asala, l’Esercito segreto per la liberazione dell’Armenia. A complicare la situazione, la guerra fra Erevan e Baku per il controllo della regione del Nagorno-Karabakh dopo la caduta dell’Unione Sovietica, dove Ankara si è schierata a fianco dell’Azerbaijan. Nel 1993 furono chiuse le frontiere e interrotti i rapporti diplomatici.
Adesso il tempo della contrapposizione sembra essere volto al termine. L’omicidio del giornalista Hrant Dink, nel gennaio 2007, che lavorava per la riconciliazione fra le due parti ha in qualche modo rappresentato una linea spartiacque. Nei mesi scorsi 300 intellettuali turchi hanno firmato una petizione chiamata «Özü dilìyorum», in italiano «chiedo scusa», con la quale si domandava perdono ai «fratelli armeni» per «la tragedia del 1915». In breve tempo il documento è stato sottoscritto da oltre 29mila persone.
Il 6 settembre dell’anno scorso il capo dello Stato turco Gul è volato ad Erevan su invito della sua controparte Serzh Sarkisian per assistere a una partita fra le nazionali armena e turca. L’incontro è stato giustamente caricato di una grande significato simbolico, avendo di fatto riaperto le relazioni diplomatiche fra i due Paesi. Rapporti che continuano e che stanno portando la Turchia ad avere un ruolo di primo piano proprio nella mediazione fra Armenia e Azerbaijan per raggiungere una soluzione condivisa sul Nagorno-Karabakh, stabilizzando così una parte di Caucaso. Dietro a questa nuova stagione di dialogo non ci sono solo prospettive di pace, ma anche le opportunità derivanti dalle future rotte dell’energia, nelle quali l’Armenia vorrebbe entrare e per farlo ha bisogno dell’appoggio di un Paese chiave come la Turchia.
Sogni di riconciliazione e nuovi accordi economici sui quali tira un vento gelido proveniente da ovest. La diaspora armena che risiede negli Stati Uniti infatti sta premendo sulla Casa Bianca perché l’amministrazione Obama porti a termine quello che durante la presidenza di Bush è rimasto interrotto ossia il riconoscimento ufficiale del genocidio armeno da parte degli Usa. Le associazioni turche negli Stati Uniti hanno scritto al presidente per dissuaderlo, sottolineando che «accettare una versione storica di questo genere sarebbe disonesto e potenzialmente incendiario per il Sud Est dell’Europa, il Caucaso e il Medio Oriente».
(Da La Stampa, 17/2/2009).
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