Avventure Planet Word aprirà nella primavera del 2020 a Washington per custodire gli idiomi come un patrimonio e valorizzarli: «Ci concentreremo sul divertimento, sulla forza e sulla bellezza delle parole», dicono i curatori a «la Lettura». Coinvolti studiosi, scienziati e personalità come il cantautore Paul Simon. Perché ogni lingua si trova all’incrocio di saperi diversi.
C’era l’«Albero delle parole», c’erano la «Piazza della lingua» e la «Grande galleria» con uno schermo lungo più di cento metri; c’era un auditorium e anche un intero piano dedicato alle esposizioni temporanee. C’era — a San Paolo del Brasile, nei quattro piani dello storico palazzo dell’Estação da Luz — il Museo della lingua portoghese, creato nel 2006 per celebrare «la forma di espressione di una cultura ricca e diversificata». Migliaia e migliaia di parole, scritte e dette, che sono state divorate dalle fiamme in un incendio divampato il 21 dicembre 2015.
Dopo aver accolto quasi quattro milioni di visitatori in meno dieci anni, il museo è ora in fase di ricostruzione: la riapertura è prevista per la primavera del 2020.
In quello stesso periodo, negli Stati Uniti aprirà un nuovo museo dedicato alla lingua: il Planet Word di Washington, che sorgerà nel palazzo della Franklin School per iniziativa di Ann Friedman, già redattrice, traduttrice e insegnante di lettura e scrittura nelle scuole pubbliche, poi molto attiva nel consiglio della National Symphony Orchestra e ultimamente in quello dell’Aspen institute. Un museo dedicato non a una lingua in particolare, in questo caso, ma alla «ricchezza delle lingue del mondo» (come recita la pagina iniziale del sito planetwordmuseum.org).
Musei della lingua e delle lingue
Tra i 65 musei della lingua visitabili nei 5 continenti (in ben 31 nazioni diverse), ce ne sono molti di entrambi i tipi: monografici, per dir così, o universali. A censirli uno per uno è stato Ottar Grepstad, il direttore del centro per la lingua norvegese che ha sede a Ørsta, dove si trova il più antico di tutti: l’Ivar Aasen Centre, fondato nel 1898 e dedicato — due anni dopo la sua morte — a quello che può essere definito il padre del norvegese moderno.
Come emerge dal catalogo Language museums of the world. Institutions, websites, memorials, pubblicato nel 2018 e disponibile gratuitamente in rete, la maggioranza è rappresentata dai musei focalizzati — soprattutto negli ultimi vent’anni — su una lingua o un gruppo di lingue. Tra gli altri, quelli della lingua tedesca, francese, ungherese, lituana o del guaranì in Paraguay e dell’afrikaans in Sudafrica (inaugurato nel 1975, è uno dei più vecchi) o ancora della lingua grecocalabra a Bova (Reggio Calabria) e della lingua basca a Bilbao e (quasi vent’anni prima) nell’Idaho. La lingua che può vantare il maggior numero di musei — ben 5 tra Europa e Cina, fondati tra il 1927 e il 2013 — è però una lingua artificiale: l’esperanto.
Tra i musei che si concentrano in modo più generale sulle lingue e sul linguaggio, ci sono il Museo delle lingue del mondo di Berlino (Museum der Sprachen der Welt, 2013), il National Museum of Language aperto nel 2008 nel Maryland e Mundolingua (Parigi, 2013), che per una coincidenza forse non così casuale ha sede proprio in quella via Servandoni a cui — partendo da una svista di Dumas nei Tre moschettieri — Umberto Eco dedicò una delle Sei passeggiate nei boschi narrativi.
Patrimonio culturale materiale e immateriale
Da maggio dell’anno prossimo ci sarà anche Planet Word. «Il museo — dice a “la Lettura” la fondatrice Ann Friedman — si concentra sul divertimento, sulla forza e la bellezza delle parole; sulla diversità delle lingue e anche delle lingue dei segni nel mondo». Il nome somiglia a quello di un fortunato documentario sulla lingua condotto dall’attore Stephen Fry: il Fry’s Planet Word, appunto, andato in onda in cinque puntate sulla Bbc nel 2011 e diventato anche un libro. «Ho pensato al nome in modo autonomo — rivendica Friedman — prima di sapere che c’era stato un documentario o un libro con quel nome. Il nome che abbiamo scelto è legato al nostro obiettivo principale: rinnovare e ispirare l’amore per le parole, la lingua e la lettura, nella convinzione che una democrazia forte si fonda su una popolazione adeguatamente alfabetizzata».
Le anteprime offerte finora in rete mostrano installazioni come quella intitolata The Spoken World: un globo Led alto più di 3 metri e mezzo che riempirà la sala con i suoni di una conversazione multilingue. E poi spazi come il Word Surround — previsto al secondo piano, a circa metà del percorso museale — in cui i visitatori potranno sedersi e rilassarsi, immergendosi nei versi poetici che saranno letti ad alta voce e proiettati sui muri. O gallerie immersive come quella che chiude il museo, chiamata Words Matter: una serie di video in cui persone comuni raccontano il loro rapporto con parole del tipo di aiuto o paura. Un’esperienza pensata perché ogni visitatore, andando via, porti con sé l’idea che nella nostra vita le parole contano molto.
Saperi diversi
La lingua e le lingue si trovano all’incrocio di saperi diversi. Tra gli oltre 50 consulenti riuniti nell’Advisory Board di Planet Word ci sono nomi come quelli di Naomi Baron, che per prima ha studiato l’evoluzione digitale della lingua scritta; di David Crystal, autore tra l’altro di The Cambridge Encyclopedia of the English Language; di Steven Pinker, psicologo che si è occupato a lungo di linguaggio. Ma c’è posto anche per docenti di informatica e comunicazione, saggisti di successo, editorialisti di grandi giornali, specialisti di enigmistica e persino per un cantautore come Paul Simon. «I nostri favolosi consulenti — racconta Friedman — ci hanno aiutato a verificare la bontà delle nostre idee e a metterci in contatto con altri che hanno collaborato con noi alla creazione di contenuti. Sono sempre impazienti di rispondere alle domande e aiutarci a capire i problemi in vari campi legati alle parole».
D’altra parte, «il Planet Word ha tre piani d’esposizione che riguardano temi come l’acquisizione della lingua nella prima infanzia, la provenienza delle parole inglesi, la diversità delle lingue del mondo e anche le tantissime cose che possiamo fare con le parole: storytelling, poesia, oratoria, scrittura di canzoni e battute umoristiche, copywriting pubblicitario …».
Qualche esempio? «In una sala c’è una cabina di registrazione in cui i visitatori possono raccontare le loro storie linguistiche e ci sono schermi interattivi grazie ai quali i visitatori possono approfondire vari argomenti come la comunicazione degli animali, le lingue in pericolo, i dialetti o la linguistica forense, per citarne solo alcuni». Lingua scritta, ma soprattutto lingua parlata. Anche l’Unesco, d’altronde, nell’articolo 2.2 della Convenzione internazionale per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale fa esplicito riferimento a «tradizioni ed espressioni orali, ivi compreso il linguaggio, in quanto veicolo del patrimonio culturale immateriale».
Musealizzare senza museificare
Nello scorso settembre, l’Assemblea generale straordinaria dell’Icom (International Council of Museums) riunita a Kyoto, in Giappone, non è riuscita a trovare l’unanimità su una definizione di museo che cominciava: «I musei sono spazi democratizzati, inclusivi e polifonici per il dialogo critico sui passati e sui futuri». Ma anche la definizione che rimane ancora in vigore — messa a punto nel 2007 e recepita dall’Italia nel 2014 — specifica che il museo «effettua ricerche sulle testimonianze materiali ed immateriali dell’uomo e del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, e le comunica e specificatamente le espone per scopi di studio, educazione e diletto».
A quelli che considerano «museo» una parola vecchia, che evoca atmosfere polverose, Friedman risponde che «I musei oggi sono il luogo di una didattica giocosa e sorprendente, in grado di attirare l’attenzione e l’interesse delle persone». In particolare, questo museo della lingua «si rivolge a persone di tutte le età, a partire dai bambini che stanno ancora acquisendo il loro vocabolario; anche se il target specifico è quello di età compresa tra 10 e 12 anni». «I nostri modelli — spiega — sono stati soprattutto i musei della scienza e della tecnologia, per il modo in cui usano strumenti multimediali e interattivi con l’intento di dar vita a concetti astratti: proprio quello che stiamo cercando di fare al Planet Word!».
Giuseppe Antonelli | Corriere della Sera | 15.12.2019
L’istituzione
In Italia
Martedì 17 dicembre si terrà a Roma la prima riunione del gruppo di lavoro per «un Museo Nazionale della Lingua Italiana» creato dal ministero per i Beni e le attività culturali e per il turismo presso la Direzione generale biblioteche e istituti culturali. Del gruppo, coordinato dal linguista Luca Serianni, fanno parte, tra gli altri, rappresentanti dell’Accademia della Crusca, dei Lincei, della Società Dante Alighieri, dell’Associazione per la Storia della Lingua Italiana e dell’Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani. Oltre a curare gli aspetti scientifici del progetto, il gruppo ha «il compito di delineare un percorso tecnico, amministrativo, giuridico e finanziario che possa portare alla realizzazione di un Museo Nazionale della Lingua italiana», tramite una relazione da presentarsi entro il 31 maggio 2020.
Le mostre
La lingua italiana un museo non ce l’ha né l’ha mai avuto ma sull’italiano e la sua storia ci sono state alcune importanti mostre. Una fu allestita nel 1960 dalla Crusca nella Biblioteca Nazionale di Firenze, per celebrare il millenario della lingua italiana: il primo dei 96 documenti esposti era proprio il placito di Capua del 960, considerato l’atto di nascita della nostra lingua.
Del 2003, promossa dalla Società Dante Alighieri, la mostra Dove il sì suona: l’eco di un verso di Dante come titolo dell’esposizione ospitata per 10 mesi agli Uffizi e nel 2005 riallestita in una nuova versione al Museo Nazionale Svizzero di Zurigo col titolo La dolce lingua.
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