Illegalità della permanenza dell’inglese nell’Unione Europea. Lettera Legale dell’ERA alla Commissione

Mentre la soppressione della lingua Inglese dal novero delle lingue ufficiali e di lavoro è conseguenza automatica ed immediata della fuoriuscita del Regno Unito dall’Unione, il suo permanere avrebbe dovuto essere –invece- il risultato di una decisione del Consiglio dell’Unione Europea adottata, peraltro, previa determinazione –da parte di almeno un altro Stato Membro- della lingua Inglese come (seconda) lingua ufficiale ai sensi della propria legislazione interna

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Alla Signora Presidente della Commissione  europea Ursula von der Leyen
Tramite la Signora Segretaria Generale Ilze Juhansone
Rue de la Loi, 200 Bruxelles

Bruxelles, 2 marzo 2021

Signora Presidente, Signora Segretario Generale, inviamo questa lettera in nome e per conto di ERA-Onlus, un’ organizzazione non governativa, accreditata presso l’Agenzia dell’Unione Europea per i Diritti Fondamentali e presso l’Economic and Social Committee delle Nazioni Unite, attiva da molti anni nel settore dei diritti umani e segnatamente nella protezione e nella salvaguardia del patrimonio culturale rappresentato dalle lingue nazionali.

Riteniamo che il multilinguismo rappresenti uno dei valori fondanti dell’Unione Europea. Come si legge nella Risoluzione del Consiglio del 21 Novembre 2008, « la diversità linguistica e culturale  [è] parte intrinseca dell’identità europea e (…) allo stesso tempo un retaggio condiviso, una ricchezza, una sfida e una risorsa per l’Europa (…) il multilinguismo rappresent[a] una questione trasversale di grande portata poiché abbraccia i settori sociale, culturale, economico e dunque educativo». Questo concetto è profondamente ancorato alle radici democratiche di un’Europa dei cittadini in cui ciascuno deve essere in grado di comprendere ed interpretare le disposizioni normative emanate dall’Unione in quanto esse costituiscono diritto nazionale di ciascun Paese membro.

Tale assetto trova la sua consacrazione normativa nell’articolo 55 del TUE, che –nello stabilire le lingue autentiche e quelle ufficiali dell’Unione Europea- richiama la necessità di una determinazione dello Stato interessato al fine della loro individuazione.

L’articolo 1 del Regolamento n. 1 del 1958, inoltre,  così come risultante a seguito delle modifiche apportate da ultimo il 1.7.2013, stabilisce che:

«Le lingue ufficiali e le lingue di lavoro delle istituzioni dell’Unione sono la lingua bulgara, la lingua ceca, la lingua croata, la lingua danese, la lingua estone, la lingua finlandese, la lingua francese, la lingua greca, la lingua inglese, la lingua irlandese, la lingua italiana, la lingua lettone, la lingua lituana, la lingua maltese, la lingua neerlandese, la lingua polacca, la lingua portoghese, la lingua rumena, la lingua slovacca, la lingua slovena, la lingua spagnola, la lingua svedese, la lingua tedesca e la lingua ungherese». Tale disposizione, oltre ad identificare le lingue di lavoro con quelle ufficiali, così sconfessando l’inveterata prassi trilingue delle riunioni informali, stabilisce la perfetta equiparazione di tutte le lingue dei Paesi appartenenti all’Unione senza attribuire ad alcuna di esse uno status privilegiato.

Sono i singoli Stati Membri, al momento della rispettiva adesione all’Unione, a stabilire non soltanto la lingua autentica, ma anche quella ufficiale: l’inclusione di quest’ultima avviene, infatti, solo a seguito di modifica del menzionato Regolamento n. 1/1958. Rappresentando il risultato di due scelte giuridicamente e funzionalmente distinte, le lingue autentiche e quelle ufficiali non sono necessariamente sovrapponibili. Emblematico è il caso della Repubblica d’Irlanda, la cui lingua, il Gaelico, è divenuta lingua autentica dei Trattati al momento dell’adesione, vale a dire dal 1973, ma è entrata a far parte del novero delle lingue ufficiali solo nel 2005, dietro esplicita richiesta del Governo Irlandese.

Da quanto premesso risulta in maniera inequivocabile da un lato che soltanto le lingue dei Paesi Membri dell’Unione possono assurgere al rango di lingue ufficiali e dall’altro che la determinazione di tali lingue non avviene sulla base di un automatico richiamo delle norme costituzionali interne da parte del diritto dell’Unione, ma rappresenta il risultato di una scelta in tal senso effettuata dallo Stato Membro in questione ed operata attraverso la modificazione del Regolamento n. 1/1958.

È per questa ragione che assistiamo, non senza preoccupazione, alle determinazioni di politica linguistica adottate dalle Istituzioni dell’Unione all’esito del recesso del Regno Unito e fondamentalmente cristallizzate nella superficiale affermazione contenuta nel sito web ufficiale della Commissione Europea (https://europa.eu/european-union/about-eu/eu-languages_it), secondo la quale « Anche dopo il recesso del Regno Unito dall’UE, l’inglese rimane una lingua ufficiale dell’Irlanda e di Malta.» e nel sito web ufficiale del Parlamento Europeo (https://www.europarl.europa.eu/news/it/faq/21/quali-lingue-sono-utilizzate-al-parlamento), dove si legge che “l’uscita del Regno Unito dall’UE non comporta l’eliminazione dell’inglese dalle lingue ufficiali dell’Unione”.

Ed invero, il recesso del Regno Unito dall’Unione ha comportato, tra le altre conseguenze, anche la necessaria fuoriuscita della lingua inglese dal novero delle lingue ufficiali dell’Unione dal momento che nessun altro Paese Membro, ad eccezione del Regno Unito, ha indicato l’inglese come lingua ufficiale al momento della propria adesione o successivamente ad essa.

Ciò non ha fatto la Repubblica d’Irlanda, come sopra detto e neppure la Repubblica di Malta dal momento che la lingua Maltese è stata riconosciuta –all’esito del negoziato di adesione all’Unione- non solo come lingua autentica ma anche come lingua ufficiale, attraverso la necessaria modifica del Regolamento n. 1/1958.

D’altra parte, la necessaria corrispondenza tra lo status di Paese membro dell’Unione e l’utilizzo della rispettiva lingua come lingua ufficiale, ha determinato l’automatica esclusione della lingua Inglese senza la necessità di alcuna esplicita determinazione normativa, stante –come sopra detto- il valore democratico e culturale del multilinguismo europeo, che presuppone l’identità tra le lingue dei soli cittadini dell’Unione e le lingue ufficiali delle Istituzioni.

Non rileva, a questi fini, il fatto che l’Inglese sia considerata lingua ufficiale nell’ordinamento nazionale della Repubblica d’Irlanda (articolo 8 della Costituzione) e della Repubblica di Malta (articoli 5 e 74 della Costituzione).

Tali previsioni, infatti, sanciscono un multilinguismo a livello nazionale, peraltro stabilendo, in entrambi i casi, una chiara primazia, rispettivamente, del Gaelico e del Maltese sulla lingua Inglese. Ma tale multilinguismo sul piano costituzionale interno, non produce, di per sé, alcun effetto sul piano del diritto dell’Unione in mancanza di una esplicita ed univoca manifestazione di volontà da parte dello Stato Membro da effettuare –come più volte detto- al momento dell’adesione.

Del resto, la lettura dell’articolo 8 del Regolamento n. 1/1958 non fornisce argomenti univoci per escludere che un Paese Membro possa « determinare » l’uso di più di una lingua se ciò è conforme alla legislazione dello Stato interessato. Ma rappresenta un dato di fatto indiscutibile che –almeno al momento attuale- nessun Paese Membro dell’Unione si sia avvalso di tale possibilità pur riconoscendo nel proprio ordinamento interno l’esistenza di minoranze linguistiche.

Ma soprattutto, circostanza che maggiormente interessa ai fini delle presenti considerazioni, né la Repubblica d’Irlanda, né la Repubblica di Malta -contrariamente a quanto indicato in maniera surrettizia dalla Commissione nelle pagine ufficiali del proprio sito-  si sono avvalse della possibilità offerta dal Regolamento n. 1/1958, di determinare l’Inglese quale lingua ufficiale accanto a quella –rispettivamente il Gaelico e il Maltese- indicata come principale ai sensi della Costituzione nazionale.

La posizione adottata dalla Commissione Europea, pertanto, oltre che sfornita di qualunque base giuridica risulta in aperto e patente contrasto con le prerogative che il Trattato attribuisce al Consiglio dell’Unione. Stabilisce, infatti, l’articolo 342 TFUE che «Il regime linguistico delle istituzioni dell’Unione è fissato, senza pregiudizio delle disposizioni previste dallo statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, dal Consiglio, che delibera all’unanimità mediante regolamenti. »

Sicché, mentre la soppressione della lingua Inglese dal novero delle lingue ufficiali e di lavoro (vista l’equiparazione in tal senso effettuata dall’articolo 1 del Regolamento n. 1/1958) è conseguenza automatica ed immediata della fuoriuscita del Regno Unito dall’Unione, il suo permanere avrebbe dovuto essere –invece- il risultato di una decisione (rectius : un regolamento) del Consiglio dell’Unione adottata, peraltro, previa determinazione –da parte di almeno un altro Stato Membro- della lingua Inglese come (seconda) lingua ufficiale ai sensi della propria legislazione interna.

Allo stato attuale, dunque, il permanere della lingua Inglese tra le lingue ufficiali dell’Unione in mancanza di una solida base giudica, rappresenta un vulnus alle stesse radici democratiche dell’Unione : come potrebbe, infatti, essere giustificato che –ad esempio- un cittadino europeo venga selezionato all’esito di una procedura di concorso nella quale –come avviene frequentemente nei bandi pubblicati dalle Istituzioni e dalle Agenzie dell’Unione- è previsto obbligatoriamente lo svolgimento di prove in lingua Inglese ? Quale fondamento potrebbe avere, infatti, l’uso di una lingua che, a tuti gli effetti di legge, deve essere considerata extra-europea ?

E non va taciuto che tale preponderanza nell’uso della lingua Inglese, comporterebbe –a carico dei paesi non anglofoni- delle conseguenze economiche di non poco momento, a seguito della necessità di investire risorse finanziarie ed umane nell’apprendimento di tale lingua. Né, d’altra parte, il mantenimento della lingua Inglese nel novero delle lingue ufficiali potrebbe essere giustificata, senza una preventiva decisione giuridicamente valida adottata dalle istituzioni competenti, da considerazioni di fatto legate alla consistenza numerica dei cittadini europei per i quali l’Inglese è lingua ufficiale se pur secondaria. Anche a voler seguire la posizione della Commissione Europea, infatti, la popolazione della Repubblica d’Irlanda e quella della Repubblica di Malta, sommate assieme, raggiungono appena i 5 milioni di abitanti, a fronte di circa 450 milioni di cittadini europei.

E’ evidente che ciò determinerebbe la trasformazione del regime del multilinguismo –valore attraverso il quale si sostanzia la natura profondamente democratica dell’Unione-  in un mero plurilinguismo funzionale, al pari di altre organizzazioni internazionali, quali, ad esempio, le Nazioni Unite, così rinnegando la stessa natura più profonda dell’Unione Europea stessa.

La lingua rappresenta, infatti, un fattore assolutamente essenziale nel processo identitario e di autodeterminazione, ancor più nel contesto di organizzazioni sovranazionali come l’Unione Europea, in cui funge da prezioso indicatore delle sue radici egualitarie e non discriminatorie. Il permanere dell’utilizzo della lingua Inglese nel momento in cui la stessa non è la lingua ufficiale (e neppure la prima lingua ai sensi degli ordinamenti costituzionali nazionali) di alcun Paese Membro, sarebbe, dunque, sintomatica di una profonda crisi identitaria dell’Unione, oltre che potenzialmente portatrice di divisioni e diseguaglianze tra i cittadini.

Confidando che queste considerazioni abbiano raccolto il Suo interesse, saremmo interessati a conoscere le Sue considerazioni sulla base giuridica relativa  all’utilizzo della lingua Inglese quale lingua ufficiale dell’Unione anche successivamente alla fuoriuscita del Regno Unito, precisando che la presente non vale quale diffida prodromica ad un’eventuale azione in carenza.

Nel restare a  disposizione per un eventuale incontro al fine di rappresentare in maniera più precisa e dettagliata la nostra posizione nonché le attività dell’Organizzazione, l’occasione ci è gradita per porgere,

deferenti ossequi.
Avvocato Michela Velardo

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