Il volto nuovo della Tunisia

Il volto nuovo della Tunisia

Il Paese arabo ha varato un nuovo piano di riforme che coinvolge soprattutto i diritti delle donne. Che stanno occupando posizioni chiave nella gerarchia politica. Una «primavera» tutta al femminile che piace all’Europa.

Donne sindaco, pari diritti nella legislazione di famiglia, un provvedimento per depenalizzare l’omosessualità e uno per proibire il velo integrale. La Tunisia è diventata il laboratorio delle liberalizzazioni nel mondo arabo, un apripista nell’avvicinamento all`Europa e nelle riforme democratiche. Ma questa nuova primavera tunisina, dopo la rivoluzione dei gelsomini che nel 2011 ha portato alla fine dei rais in Medio Oriente, è ancora molto fragile e un colpo di mano degli islamisti è sempre possibile.

È’ vero che da quando ha ottenuto l`indipendenza dalla Francia nel 1956, la Tunisia è stata vista come un faro progressista rispetto ad altri Paesi del mondo musulmano. Habib Bourguiba, il primo presidente tunisino, firmò una serie di leggi che abolirono la poligamia e il matrimonio forzato e sancirono la protezione legale per le donne in caso di divorzio. E già prima del 2011 il suo successore Ben Ali aveva limitato l`utilizzo dell’hijab, in un processo di laicizzazione che sembrava inarrestabile.

La rivoluzione del 2011 ha portato al governo un partito islamico, Ennhada, che però ha dovuto accettare la condivisione del potere con movimenti laici e progressisti. Così nel settembre 2017 il capo di Stato Béji Caid Essebsi (deceduto il 25 luglio scorso) ha reso legale per le musulmane sposare uomini di fede diversa. E a luglio dello stesso anno ha approvato una legge fondamentale nel mondo arabo contro la violenza e i maltrattamenti sulle donne. È stata anche eliminata la norma del codice penale che permetteva a uno stupratore di eludere la pena in caso di matrimonio con la vittima. E non solo. Il 12 giugno 2018 è stato presentato il rapporto della Commissione delle libertà individuali e dell`uguaglianza di genere, in sigla Colibe. La relazione di 300 pagine propone di porre fine alla pena di morte, legalizzare l’omosessualità, che l’attuale codice penale punisce con tre anni di carcere, e realizzare l’eguaglianza tra uomini e donne nel diritto ereditario. Secondo la sharia, la legge ispirata al Corano, «dove ci sono dei figli, il maschio eredita il doppio della femmina», e le donne ricevono tuttora la metà dell’eredità destinata a un uomo.

Essebsi, primo eletto con elezioni libere e garante della laicità, era stato chiaro al suo insediamento: «Voglio che ci sia uguaglianza nell’eredità, i cittadini maschi e femmine sono uguali davanti alla legge senza discriminazione. È mio dovere come presidente di tutti i tunisini unire e non dividere». La sua decisione poggiava sull’articolo 2 della costituzione del Paese che «stabilisce che la Tunisia è uno Stato basato sulla cittadinanza, la volontà popolare e la supremazia della legge» piuttosto che sulla religione. Ora si vedrà se con la sua morte cambierà qualcosa per la modernizzazione del Paese. Il rapporto Colibe prevede anche il divieto dei test anali, una procedura priva di «giustificazione medica» che viene utilizzata per testare una eventuale «condotta omosessuale». La proposta di riforma suggerisce di sostituire il carcere con una multa di 200 dollari.

Un’altra iniziativa riguarda i requisiti necessari per un nuovo matrimonio, in caso di divorzio o vedovanza. Alla «donna divorziata non incinta» si richiede «un periodo di attesa di tre mesi», mentre «l`attesa per una donna incinta termina con il parto». Molte le reazioni a questa serie di proposte, ma i relatori sono convinti che le riforme non siano contrarie alla cultura islamica. «Gli scopi dell`Islam sono connessi ai valori umani e ai diritti umani» ha precisato Bochra Belhaj Hmida, il presidente della Commissione. «Se c`è qualcuno che presume che l’identità araba e islamica comporti una mancanza di rispetto per i diritti umani, allora abbiamo un disaccordo fondamentale».

Molti religiosi hanno però criticato il progetto, fino a definirlo «terrorismo intellettuale». Sabri Abdelghani, un imam molto influente, ha avvertito che le riforme «sradicheranno l`identità tunisina lasciando il popolo senza religione». Nel 2018, del resto, migliaia di manifestanti hanno protestato contro le riforme sociali nel quartiere di Sardo, a Tihnisi. Hanno cantato «Allah akbar», recitando versi del Corano per esprimere la loro opposizione. llitto questo non ferma però il vento del rinnovamento. A luglio di quest`anno è arrivata un`altra decisione progressista del primo ministro Youssef Chahed: il divieto dell`uso del niqab, il velo che lascia scoperti solo gli occhi, nelle istituzioni pubbliche. Il decreto, giustificato «per motivi di sicurezza», è stato promulgato in un momento particolare: il 27 giugno un doppio attentato suicida, da parte di un terrorista mascherato con niqab, ha causato la morte dí due persone e sette feriti a Tunisi.

Sul fronte dei costumi sessuali, il movimento per i diritti dei gay si è radicato ancor prima dell`approvazione delle riforme. Tanto che un politico emergente, Mounir Baatour, 48 anni, avvocato e omosessuale dichiarato, aspira addirittura alla presidenza. A capo del principale gruppo di difesa dei diritti Lgbt in Tunisia, Shams («Sole»), e leader del Partito liberale, è stato in prigione per tre mesi nel 2013, con l`accusa di sodomia, e ha portato avanti diverse lotte come l`uguaglianza tra donne e uomini, la difesa delle minoranze e il riconoscimento dei diritti dei berberi Amazigh e delle persone Lgbt. Se diventerà presidente, ha promesso che cancellerà anche l’articolo che «proibisce ai non musulmani di candidarsi alla presidenza».

Anche se le battaglie sono ancora molte, le aperture della Tunisia sono però reali, come conferma Karim Mezran, analista dell`Atlantic council di Washington: «C`è una classe media che vive a Tunisi che le sostiene» spiega a Panorama. «Sono un processo di civilizzazione, anche se le classi più conservatrici vogliono ostacolare questo movimento». È una Tunisia a due velocità: «La popolazione lungo la costa guarda l`Europa e cerca la modernità, le classi all’interno la rigettano. Sono in contraddizione tra di loro, ma vedremo con le elezioni a ottobre quale sarà il risultato».

La Tunisia era un Paese aperto anche sotto la dittatura di Ben Ali. «Arrivavano molti turisti, c`era un continuo scambio» precisa Mezran. «La gente studiava all`estero e poi poteva tornare in Tunisia: non lo potevano fare i libici, lo fanno con difficoltà gli algerini. Quando è caduta la dittatura esisteva una classe media che voleva portare avanti le riforme». Rimane il rischio che si faccia un passo in avanti e due indietro. «I partiti islamisti combattono le riforme, anche se per ora non con violenza. Si può tornare a una dittatura in 24 ore».

La Tunisia è una nazione molto divisa. Il Sud, più povero ed emarginato, resta la roccaforte dei conservatori, mentre la capitale Ihnisi marcia spedita verso l’Europa, e questo nonostante la vittoria del partito islamico Ennahda alle municipali. Che però ha puntato su una donna: il 3 luglio 2018 Souad Abderrahim è stata eletta sindaco dopo aver sconfitto Kamel Idir di Nidaa Tounes, il partito laico fondato da Essebsi. Abderrahim, 54 anni, farmacista, è ora considerata una pioniera dei diritti delle donne nella nazione del Nord Africa. «È stata una vittoria per la democrazia e l’uguaglianza delle donne» ha dichiarato dopo la vittoria.

La strategia degli islamici di Ennahda è sottile. Il partito aveva deciso di presentare nelle sue liste alle amministrative del maggio 2018 Simon Slama, un ebreo, nel tentativo di darsi un’immagine più moderna. Il caso di Abderrahim è però diverso, secondo Mezran: «Noi sottovalutiamo la militanza delle donne all’interno della Fratellanza musulmana. Nella loro storia le donne sono sempre state molto presenti. In più Ennahda è un movimento islamista particolare: la sua élite, quando era in esilio, stava a Londra, non a Riad». In Thnisia le donne erano il 47 per cento delle candidate nelle ultime elezioni locali. Il test decisivo per il piccolo Paese del Nord Africa sarà dopo l`estate, quando si terranno le elezioni parlamentari e presidenziali.

Chiara Clausi | Panorama | 31.7.2019

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