Il sogno che accompagna la nuova Europa
” EUROPE sans rivages”, è il bel titolo di un bel libro di Frangois Perroux. Sembra un buon logo per il grande evento dell'unificazione europea. Sei, nove, dodici, quindici, venticinque; presto 27 paesi. Dove si fermera questa Europa? Forse alla Turchia? E poi, chi sa, Israele e la Palestina, insieme? Il nostro premier, che, si parva licet, e anche lui un po' sans rivages, vorrebbe metterci dentro addirittura tutta la Russia, fino a Vladivostok!L'evento, inevitabilmente, invita alla iperbole. E invece, questo eproprio ilmomento di una riflessione razionale che eviti ogni retorica, positiva e negativa. Di retorica negativa e, invece, intrisa la nuova rivista, Global FP, che all'”Europa, terra senza sogni”, dedica l'editoriale, di Ernesto Galli della Loggia. Ne ha parlato gia criticamente Mario Pirani su queste pagine. Vorrei aggiungere solo due o tre cose.L'autorevole editorialista carica a testa bassa Romano Prodi per la sua affermazione: «L'Europa è un sogno e un progetto». L'Europa, dice sostanzialmente, è un progetto senza sogno, quindi non è un progetto. E solo attraverso i sogni che i progetti della politica possono spera-re di divenire realtà. Ora, non c'e traccia di entusiasmo, di passione, di cultura, nel “gelido schema istituzionale europeo”. Né di emozione nel Parlamento europeo, luogo “algido e privo di storia”, “dove gli interventi dei singoli deputati non possono durare in media che 45 se-condi, due minuti e mezzo, cinque al massimo”: quale alta politica può essere pronunciata in un tempo così breve?Be', Giuseppe Garibaldi ci riuscì. Affacciandosi al balcone del Campidoglio, di fronte a una folla festosamente vociante, disse solo: romani, siate seri. Ecco un discorso stringato ma significativo; e un consiglio da tenere a mente anche oggi. Per essere seri bisogna non rappresentare un'istituzione in modo caricaturale. A parte l'aritmetica (due minuti e mezzo fanno 150 secondi, non 45…), i tempi del Parlamento europeo, certo molto ristretti, e rispettati, non hanno mai impedito che vi si svolgessero dibattiti seri e intensi. Né Spinelli né Giscard d'Estaing né moltiplicarsi come ha fatto? Mitterrand né Willy Brandt, E forse un tumore maligno? e neppure Berlusconi sono O non invece, l'espressione stati impediti dal regola- di bisogni e di tendenze aumento di dare il meglio, o il tentiche di quella storia? peggio, di sé. Del resto può essere tacitianamente mente.persuasivi o torrenzialmente insipienti. Ma veniamo, seriamente al merito. L'Europa è un progetto freddo? Certo che si., Non perché il “sogno” o l'utopia di una Europa unita non circoli in tuttala sua storia. Della Loggia non dice affatto questo. Dice che c'e uno scarto tra quell'utopia e questo progetto. Ora, lo scarto c'e, sicuramente.Ma quale utopia ha potuto tradursi concretamente in storia senza subire uno scarto?Lo scarto è il costo che la politica paga alla filosofia per acquistare concretezza.
. Per evitare fallimenti e, soprattutto, deragliamenti fatali. Come Ernesto della Loggia sa benissimo, idee forti, calde, supremamente mobilitanti sono precipitate, al momento dell’impatto con il potere, nelle realtà negative e tragiche del loro rovescio. Il cristianesimo nell’inquisizione e nelle guerre di religione. L’illuminismo nel giacobismo. Il nazionalismo romantico nel nazionalismo. Tutto sta nella direzione di quello scarto.
Ora, a me sembra che il progetto europeo abbia accettato fin dall’inizio di subire uno scarto, ma che la progressiva realizzazione tenda nella direzione del sogno e non in quella del suo tradimento. E il fatto che il progetto dell’Unione europea sia un progretto freddo è un garanzia del suo fallimento. Se l’Unione fosse quella caricatura che Ernesto della loggia ci rappresenta, avrebbe potuto crescere e moltiplicarsi come ha fatto? E’ forse un tumore maligno? O non invece, l’impressione dei bisogno e di tendenze autentiche di quella storia? Della sua economia, certamente. Galli della loggia manco ne parla. Ed è strano, a meno che per questo tratto soltando non sia rimasto legato a una certa retorica di sinistra, cui anch’io in tempi remoti ho sacrificato: quella secondo cui l’Europa che si stava costruendo era l’Europa dei banchieri, non quella dei cittadini.
La verità è che l’unico sentiero che l’integrazione europea poteva imboccare, senza essere immediatamente paralizzata( come fu la comunità europea di difesa), era quello freddo, economicistico, di Jean Monnet: il giro lungo che attraverso l’unione doganale le politiche settoriali e l’atto unico, è giunto al federalismo dell’unione monetaria, che è come sa chiunque non sia accettato ideologicamente, una cosa che trascende i banchieri e introduce vincoli e obbiettivi di natura sopranazionale.
Ma non si tratta solo di moneta e di economia come si può non vedere che l’europa è oggi una grande politica indivenire, e in un indivenire difficilmente irreversibile? Il solo fatto che lo stato di guerra sia diventato, per i paesi aderenti all’unione, un fatto del tutto improbabile, e ciò sulla base di un grande processo pacifico di integrazione commerciale ed economica, avrebbe compiaciuto come una luminosa conferma delle sue teorie sul doux tesquieu.
Il fatto che il problema tedesco, incubo dell’Europa moderna, sia stato risolto pacificamente, non si deve forse alla capacità politica ed economica dell’Unione di assorbirlo senza grandi traumi? Il fatto che tre paesi mediterranei, Grecia, Spagna e Portogallo si siano potuti liberare di regimi fascisti, transitando dalla drepressione economica e dall’oppressione politica alla democrazia e alla prosperità, non si deve in gran parte all’attrazione politica e all’efficacia pratica dell’Unione? Il fatto che otto paesi dell’Europa orientali, liberati dalla cappa di piombo sovietica, possono guardare oggi con fiducia ad una condizione di economia libera ma non sregolata e caotica, avrebbe potuto realizzarsi senza l’incubatrice dell’Unione? Ma come fa uno studioso serio, come Ernesto Galli della Loggia ad affermare che l’integrazione europea è un processo senza contenuti? Forse la ragione vera di questa requisitoria, è lo stesso Galli della Loggia a rivelarla, quando afferma l’assenza di un’identità europea distinta da quella americana. Certo, democrazia e diritti umani sono retaggio comune degli europei e degli americani cosi come è comune a tutto l’Occidente la congiunzione delle due grandi forze della democrazia e del mercato, che ha costituito la formula chiave della sua superiorità, materiale e civile. Ma è altrettanto certo che il rapporto tra queste due grandi forze, negli ultimi 50 anni, ha assunto in Europa e in America forme diverse: molto più mercatistiche e molto più marcatamente ideologgizzate in America, molto più socialmente e laicamente caratterizzate in Europa. Insomma, di Occidente, ce ne sono due. Ed è bene che sia così. Un Occidente tutto americano, guidato da una leadership fanatica e responsabile come quella dei cosiddetti neocons, configura una condizione mondiale di tragica instabilità. Gli Stati Uniti d’Europa constituirebbero un formidabile fattore d’equilibrio e di stabilità mondiale: anche a vantaggio degli Stati Uniti d?America. Non è sufficente questa funzione mediatrice ed equilibratrice per dare una risposta a Galli della Loggia quando domanda: a che cosa vuole servire l’Europa? Proprio a questo: a evitare la deriva di un mondo che una Superpotenza solitaria si rivela imponente a governare. A porre il primo tassello di una nuova grande rete di Superpotenze che siano in grado di affrontare insieme,attraverso la cooperazione,i problemi suscitati da una globalizzazione sregolata. Ma che c’entrano le radici giudaico-cristiane- e perchè non quelle illuministiche,in tutto questo? E’ del tutto inutile prendersela con Prodi e con le istituzioni europee. Bisognerebbe piuttosto criticare e contestare coloro-leader e forze politiche e ĉierici della pubblica opinione – che mettono i bastoni tra le ruote di un processo di integrazione che,nonostante tutto,avanza faticosamente. Diceva Andrè Maurois che “l’umanità progredisce attraverso la realizzazione di cose ritenute impossibili”. L’Unione europea è una di queste.
La Repubblica p, 17
05-05-2004
di Giorgio ruffolo
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” EUROPE sans rivages”, è il bel titolo di un bel libro di Frangois Perroux. Sembra un buon logo per il grande evento dell'unificazione europea. Sei, nove, dodici, quindici, venticinque; presto 27 paesi. Dove si fermera questa Europa? Forse alla Turchia? E poi, chi sa, Israele e la Palestina, insieme? Il nostro premier, che, si parva licet, e anche lui un po' sans rivages, vorrebbe metterci dentro addirittura tutta la Russia, fino a Vladivostok!L'evento, inevitabilmente, invita alla iperbole. E invece, questo eproprio ilmomento di una riflessione razionale che eviti ogni retorica, positiva e negativa. Di retorica negativa e, invece, intrisa la nuova rivista, Global FP, che all'”Europa, terra senza sogni”, dedica l'editoriale, di Ernesto Galli della Loggia. Ne ha parlato gia criticamente Mario Pirani su queste pagine. Vorrei aggiungere solo due o tre cose.L'autorevole editorialista carica a testa bassa Romano Prodi per la sua affermazione: «L'Europa è un sogno e un progetto». L'Europa, dice sostanzialmente, è un progetto senza sogno, quindi non è un progetto. E solo attraverso i sogni che i progetti della politica possono spera-re di divenire realtà. Ora, non c'e traccia di entusiasmo, di passione, di cultura, nel “gelido schema istituzionale europeo”. Né di emozione nel Parlamento europeo, luogo “algido e privo di storia”, “dove gli interventi dei singoli deputati non possono durare in media che 45 se-condi, due minuti e mezzo, cinque al massimo”: quale alta politica può essere pronunciata in un tempo così breve?Be', Giuseppe Garibaldi ci riuscì. Affacciandosi al balcone del Campidoglio, di fronte a una folla festosamente vociante, disse solo: romani, siate seri. Ecco un discorso stringato ma significativo; e un consiglio da tenere a mente anche oggi. Per essere seri bisogna non rappresentare un'istituzione in modo caricaturale. A parte l'aritmetica (due minuti e mezzo fanno 150 secondi, non 45…), i tempi del Parlamento europeo, certo molto ristretti, e rispettati, non hanno mai impedito che vi si svolgessero dibattiti seri e intensi. Né Spinelli né Giscard d'Estaing né moltiplicarsi come ha fatto? Mitterrand né Willy Brandt, E forse un tumore maligno? e neppure Berlusconi sono O non invece, l'espressione stati impediti dal regola- di bisogni e di tendenze aumento di dare il meglio, o il tentiche di quella storia? peggio, di sé. Del resto può essere tacitianamente mente.persuasivi o torrenzialmente insipienti. Ma veniamo, seriamente al merito. L'Europa è un progetto freddo? Certo che si., Non perché il “sogno” o l'utopia di una Europa unita non circoli in tuttala sua storia. Della Loggia non dice affatto questo. Dice che c'e uno scarto tra quell'utopia e questo progetto. Ora, lo scarto c'e, sicuramente.Ma quale utopia ha potuto tradursi concretamente in storia senza subire uno scarto?Lo scarto è il costo che la politica paga alla filosofia per acquistare concretezza.
. Per evitare fallimenti e, soprattutto, deragliamenti fatali. Come Ernesto della Loggia sa benissimo, idee forti, calde, supremamente mobilitanti sono precipitate, al momento dell’impatto con il potere, nelle realtà negative e tragiche del loro rovescio. Il cristianesimo nell’inquisizione e nelle guerre di religione. L’illuminismo nel giacobismo. Il nazionalismo romantico nel nazionalismo. Tutto sta nella direzione di quello scarto.
Ora, a me sembra che il progetto europeo abbia accettato fin dall’inizio di subire uno scarto, ma che la progressiva realizzazione tenda nella direzione del sogno e non in quella del suo tradimento. E il fatto che il progetto dell’Unione europea sia un progretto freddo è un garanzia del suo fallimento. Se l’Unione fosse quella caricatura che Ernesto della loggia ci rappresenta, avrebbe potuto crescere e moltiplicarsi come ha fatto? E’ forse un tumore maligno? O non invece, l’impressione dei bisogno e di tendenze autentiche di quella storia? Della sua economia, certamente. Galli della loggia manco ne parla. Ed è strano, a meno che per questo tratto soltando non sia rimasto legato a una certa retorica di sinistra, cui anch’io in tempi remoti ho sacrificato: quella secondo cui l’Europa che si stava costruendo era l’Europa dei banchieri, non quella dei cittadini.
La verità è che l’unico sentiero che l’integrazione europea poteva imboccare, senza essere immediatamente paralizzata( come fu la comunità europea di difesa), era quello freddo, economicistico, di Jean Monnet: il giro lungo che attraverso l’unione doganale le politiche settoriali e l’atto unico, è giunto al federalismo dell’unione monetaria, che è come sa chiunque non sia accettato ideologicamente, una cosa che trascende i banchieri e introduce vincoli e obbiettivi di natura sopranazionale.
Ma non si tratta solo di moneta e di economia come si può non vedere che l’europa è oggi una grande politica indivenire, e in un indivenire difficilmente irreversibile? Il solo fatto che lo stato di guerra sia diventato, per i paesi aderenti all’unione, un fatto del tutto improbabile, e ciò sulla base di un grande processo pacifico di integrazione commerciale ed economica, avrebbe compiaciuto come una luminosa conferma delle sue teorie sul doux tesquieu.
Il fatto che il problema tedesco, incubo dell’Europa moderna, sia stato risolto pacificamente, non si deve forse alla capacità politica ed economica dell’Unione di assorbirlo senza grandi traumi? Il fatto che tre paesi mediterranei, Grecia, Spagna e Portogallo si siano potuti liberare di regimi fascisti, transitando dalla drepressione economica e dall’oppressione politica alla democrazia e alla prosperità, non si deve in gran parte all’attrazione politica e all’efficacia pratica dell’Unione? Il fatto che otto paesi dell’Europa orientali, liberati dalla cappa di piombo sovietica, possono guardare oggi con fiducia ad una condizione di economia libera ma non sregolata e caotica, avrebbe potuto realizzarsi senza l’incubatrice dell’Unione? Ma come fa uno studioso serio, come Ernesto Galli della Loggia ad affermare che l’integrazione europea è un processo senza contenuti? Forse la ragione vera di questa requisitoria, è lo stesso Galli della Loggia a rivelarla, quando afferma l’assenza di un’identità europea distinta da quella americana. Certo, democrazia e diritti umani sono retaggio comune degli europei e degli americani cosi come è comune a tutto l’Occidente la congiunzione delle due grandi forze della democrazia e del mercato, che ha costituito la formula chiave della sua superiorità, materiale e civile. Ma è altrettanto certo che il rapporto tra queste due grandi forze, negli ultimi 50 anni, ha assunto in Europa e in America forme diverse: molto più mercatistiche e molto più marcatamente ideologgizzate in America, molto più socialmente e laicamente caratterizzate in Europa. Insomma, di Occidente, ce ne sono due. Ed è bene che sia così. Un Occidente tutto americano, guidato da una leadership fanatica e responsabile come quella dei cosiddetti neocons, configura una condizione mondiale di tragica instabilità. Gli Stati Uniti d’Europa constituirebbero un formidabile fattore d’equilibrio e di stabilità mondiale: anche a vantaggio degli Stati Uniti d?America. Non è sufficente questa funzione mediatrice ed equilibratrice per dare una risposta a Galli della Loggia quando domanda: a che cosa vuole servire l’Europa? Proprio a questo: a evitare la deriva di un mondo che una Superpotenza solitaria si rivela imponente a governare. A porre il primo tassello di una nuova grande rete di Superpotenze che siano in grado di affrontare insieme,attraverso la cooperazione,i problemi suscitati da una globalizzazione sregolata. Ma che c’entrano le radici giudaico-cristiane- e perchè non quelle illuministiche,in tutto questo? E’ del tutto inutile prendersela con Prodi e con le istituzioni europee. Bisognerebbe piuttosto criticare e contestare coloro-leader e forze politiche e ĉierici della pubblica opinione – che mettono i bastoni tra le ruote di un processo di integrazione che,nonostante tutto,avanza faticosamente. Diceva Andrè Maurois che “l’umanità progredisce attraverso la realizzazione di cose ritenute impossibili”. L’Unione europea è una di queste.
La Repubblica p, 17
05-05-2004
di Giorgio ruffolo