Il primo discorso.
«Deferente» e «inverare», le parole poco «pane-al-pane» di Mattarella.
Il nuovo presidente sfoggia un mix di vecchio e nuovo nel linguaggio: espressioni tipiche della Prima Repubblica, ma anche sintassi incisiva e secca.
di Paolo Di Stefano.
Lo stile di Sergio Mattarella bilancia con abilità oratoria, ma con un tono sempre contenuto e privo di enfasi emotiva, il vecchio e il nuovo. Da una parte non mancano rari elementi della tradizione istituzionale (e astratta) tipica della Prima Repubblica, specialmente nell’aggettivazione: il «deferente saluto», la «tenace mobilitazione» o l’«ampia e incisiva riforma». Né mancano perifrasi alquanto formali, tipo «desidero esprimere l’auspicio», che potrebbero trovare soluzioni più semplici ed efficaci. Cacofonie fastidiose, come l’evitabile aver «inferto ferite (al tessuto sociale)» o come l’inattesa «agenda esigente» che attende il governo. Poche formule leggermente legnose: «Vi è la necessità…».
Basta «pane-al-pane»
Il vocabolario a volte risente di una solennità vagamente antiquata, ma quello del nuovo presidente della Repubblica è l’opposto speculare del linguaggio populistico, pane-al-pane, a cui ci ha abituato certa politica di questi ultimi anni. Mattarella non evita raffinatezze lessicali che non strizzano l’occhio a nessuno, ad esempio quando dice che «la democrazia non è una conquista definitiva ma va inverata continuamente». Niente meglio dell’uso del verbo «inverare» aiuta a misurare la distanza generazionale e culturale con Renzi. Poi c’è la sintassi, dove Mattarella rivela una classica modernità piuttosto apprezzabile: tranne rare eccezioni di giri un poco involuti («l’impegno di tutto deve essere rivolto a superare le difficoltà degli italiani e a realizzare le loro speranze»), predominano le frasi secche, una brevitas quasi tacitiana, ma anche una simmetria ciceroniana. Specie nei momenti di maggior forza assertiva, per esempio quando si tratta di mafia: «La lotta alla mafia e quella alla corruzione sono priorità assolute. La corruzione ha raggiunto un livello inaccettabile. Divora risorse che potrebbero essere destinate ai cittadini. Impedisce la corretta esplicazione delle regole del mercato. Favorisce le consorterie e penalizza gli onesti e i capaci». (Certo, «esplicazione» non è il massimo).
Misura e onestà
Il mix è forse poco espressivo ma indubbiamente efficace, equilibrato, illuminista. Nessuna citazione colta, nessun cedimento poetico, nessun esibizionismo oratorio a parte forse un eccesso di anafore, cioè ripetizioni di parole-chiave all’inizio di frase: «unità… unità… unità…», «Penso… penso… penso…», «Significa… significa… significa…», «speranza… speranza… speranza…», fino all’elenco finale dei molteplici «volti» (una cascata di dieci occorrenze) con la funzione di uscire dal generico visualizzando e avvicinando gli italiani, quasi ad additarli uno per uno, categoria per categoria («il volto di chi… il volto di chi…»). Rispetto a quello di Napolitano è uno stile meno alto (probabilmente non sentiremo mai Mattarella pronunciare «cimenti» né «convergenze»), forse meno vibrante, ma la fermezza è quella, e il tono altrettanto sobrio. Insomma, Mattarella promette, anche con il suo abito linguistico, misura e onestà. Niente male.
(Da corriere.it, 3/2/2015).