Il pianeta che parla globenglish

Il pianeta che parla globenglish

di Eugenio Scalfari

Dalla miscela tra questa nuova lingua e le immagini temo il formarsi di una umanità regredita a livelli mentali elementari, incapace di comprendere i nessi tra le cose e tra le persone, di approfondire la riflessione sul mondo esterno e su quello interno a noi stessi

Un internet point in Vietnam


Insieme a tanti altri argomenti di assoluta serietà (le morti sul lavoro, il caso Afghanistan-Mastrogiacomo, la crisi Telecom, lo stato della pubblica finanza) e ad altri che galleggiano tra il reale e il surreale (la nascita del partito democratico, lo scontro tra Beppe Grillo e il capitalismo, il libro-inchiesta su Gesù di Benedetto XVI in controtendenza con il film 'Centochiodi' di Olmi e con il 'Gesù' di Augias e Pesce) ce n'è uno che secondo me merita attenta riflessione perché sarà portatore di profondi mutamenti mentali nella popolazione del pianeta ed è l'affermarsi sempre più esteso del 'globenglish': s'intende con questo neologismo una nuova lingua che possiede tutti i requisiti per diventare a pieno titolo lo strumento di comunicazione più diffuso del pianeta.

Il suo principale mezzo di diffusione è la rete Internet e le centinaia di milioni di 'personal computers' ad essa collegati. Per navigare nella rete bisogna conoscere le parole-chiave del sistema, dei 'motori di ricerca', dei 'portali', dell'accesso ai 'siti' e al 'menu' che articolano le 'memorie'; parole-chiave tratte dalla lingua inglese e dai suoi derivati.

Ma questo sarebbe ancora poco. Quella stessa lingua infatti, largamente imbastardita, costituisce il nerbo delle comunicazioni postali quando si entra in contatto con persone, aziende, uffici pubblici e interlocutori di qualunque tipo al di fuori dei confini linguistici della propria nazione.

Ma non è soltanto Internet il vettore del 'globenglish': tutto il crescente settore della scienza, della tecnologia, delle ricerche mediche, avviene attraverso questa lingua franca che è del resto usata anche dall'immenso flusso turistico, specialmente giovanile, che circola e pervade il mondo intero, dalle metropoli ai luoghi più remoti.

Sociologi e studiosi del linguaggio preconizzano nel 'globenglish' la sola lingua parlata in tutto il pianeta in pochi anni; qualcuno azzarda addirittura una data: sarà il 2040, cioè tra poco più di trent'anni da oggi, appena il tempo di una generazione.


Questa prospettiva in sé non avrebbe nulla di terrorizzante, dovrebbe anzi costituire un evento positivo come tutti quelli che moltiplicano la possibilità di socializzare con gli altri, di scambiarsi informazioni pratiche ma anche culture, modi di essere, sentimenti e speranze, al di là dei paralleli e dei meridiani.

Invece il trionfo previsto a breve scadenza del 'globenglish' sta suscitando anche apprensioni e scenari preoccupanti, specie perché è inevitabilmente associato al prevalere ormai evidente della cultura delle immagini a detrimento della parola scritta.

Dalla miscela tra immagini e 'globenglish' si teme cioè il formarsi di una umanità regredita a livelli mentali elementari, incapace di comprendere i nessi profondi tra le cose e tra le persone, di approfondire la riflessione sul mondo esterno e su quello interno a noi stessi, di cogliere le sfumature che articolano la vita.

Comunicare attraverso immagini che si succedono sullo schermo raccorcia il tempo e quindi la probabilità stessa di una elaborazione mentale. D'altra parte l'esistenza di una sola lingua franca mondiale limita il numero delle parole usate; il 'globenglish' quale si sta fin d'ora delineando, si compone di un vocabolario che non supera le mille parole, d'una grammatica scarna, d'una sintassi pressoché inesistente. La retorica, l'eloquenza, la suggestione, i pensieri, in mancanza di un linguaggio complesso e ricco di spessore semantico, scadrebbero a livelli primitivi e puramente funzionali.

Insomma, una società globalmente imbarbarita, che dovrebbe ricominciare quasi da zero un percorso evolutivo che ebbe inizio 4 o 5mila anni fa con l'invenzione della scrittura e – prima ancora – con l'articolarsi di linguaggi differenziati.

Non saprei dare un giudizio compiuto sul possibile dominio del 'globenglish' e sul suo contributo alle invasioni barbariche che si profilano nel nostro universo mentale. Posso solo dire che la mia prima reazione inclina più verso la preoccupazione che verso la positività dell'evento. Ma questo è normale nei vecchi e non è affatto detto che immagini e lingua franca non diano luogo ad ulteriori progressi, quale che sia il significato che si dà a questa controversa parola.
(23 aprile 2007)
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