La Repubblica, 1 novembre 2004
IL COLLOQUIO
Prodi sulle accuse di Pera e Buttiglione: ci sono sensibilità diverse da rispettare, ma occorre avere prospettive comuni
“In Europa da politico cattolico mai mi sono sentito perseguitato”
MARCO MAROZZI
BOLOGNA – Non si è mai sentito «perseguitato». Né ha «mai nascosto di essere cattolico». Romano Prodi la sua Europa la racconta così: «Non bisogna minimizzare e negare le diversità, ma partiamo da queste per costruire una nuova grande sfida, un “demos” comune, un senso, un'anima democratica insieme». Lo spiega fra un cimitero di campagna e una chiesa di periferia. Le preghiere davanti alla tomba dei genitori, il battesimo dell'ultima nipote. Preti a salutarlo a San Ruffino di Scandiano, un prete ad aspettarlo al quartiere Barca. Fra la bassa reggiana («Padania pura, peccato che un nome così dolce sia stato rubato così male») e la periferia di Bologna, Prodi percorre questi suoi due giorni italiani. Doveva essere il gran ritorno in Italia. “A prodigal returns” scherza The Economist che pure mai lo ha amato. E' il gran restare in Europa: la Commissione Barroso è naufragata, lui è dovuto rimanere a Bruxelles. «Rimango a lavorare, ma credo sarà breve? o almeno non lunga. Il Parlamento ha acquisito il risultato che voleva, adesso è nell'interesse di tutti raggiungere un accordo. C'è un desiderio oggettivo di costruire. Io non ci sarò più, ma, scusate, nella costruzione dell'Europa mi sentirò per sempre». E' un'Europa dove però Rocco Buttiglione e Marcello Pera fanno aleggiare l'accusa di persecuzione anticristiana. Prodi si ferma. «Non è un'intervista. Su questo ci sono sensibilità diverse e vanno rispettate». Poi riparte: «Con il pudore che è necessario nelle cose religiose, non ho mai nascosto di essere cattolico e mai mi sono sentito perseguitato. Certamente ci sono stati confronti e diversità di opinioni, con conseguenti diverse prese di posizioni politiche. Ma questo non significa persecuzione religiosa». Parole pesate di un politico che segue la stampa cattolica europea e non vede nemmeno la cattolicissima Polonia o il Portogallo di Barroso sconvolte per il caso Buttiglione. E Prodi parla venendo da dieci giorni straordinari. Certo, la Costituzione europea, ma prima l'invito come ultimo oratore alle Giornate sociali dei cattolici francesi, a Lilla, poi la laurea honoris causa come “statista cattolico” a Lublino. Infine l'affettuosa udienza dal Papa. «Si sta insieme con modelli diversi di interpretazione della storia, ma anche pieni di prospettive comuni» ripete, citando l'incontro sulla dimensione spirituale e culturale dell'Europa in cui sedevano allo stesso tavolo lui, il laico Giuliano Amato e Bronislaw Geremek, storico cattolico, già capo di Solidarnosc, uno che a Strasburgo ha sostenuto fino all'ultimo Buttiglione. «L'Europa deve trovare una sua propria via. E noi tutti dobbiamo costruirla, insieme». Il presidente Pera dice però che non può avere anima un'Europa a cui manca una politica estera comune, non lotta per un seggio unico all'Onu, non ha posizioni condivise su rapporti con gli Usa, Iraq, Palestina ed Israele, non riesce a coniugare sviluppo-dimensione sociale-riforma del Welfare. «Nella Costituzione – si indurisce Prodi – mancano tutti quei punti di forza che i capi di Stato e di governo hanno voluto mancassero. Loro, non noi, lo hanno voluto. La Commissione queste cose la aveva proposte nel suo progetto di Trattato. Tutte quante». «Tuttavia – continua – sono convinto che l'Europa si costruisce con pazienza e bisognerà attendere che i capi di governo spingano concordemente verso frontiere più avanzate. Saranno le circostanze della storia a fare in modo che avvenga». Campa cavallo. Prodi guarda Chiara, Benedetta, le nipoti. «L'immagine sono loro, la bellezza, la speranza. E alle mie nipoti e a chi verrà con loro e dopo di loro che dedico cinque anni di lavoro. Ora l'Europa con la Costituzione non ha più alibi per non agire. Gli strumenti ci sono. Da migliorare, magari tantissimo, ma ci sono. Mettiamocelo in testa, facciamolo capire ai cittadini. Suona retorico, lo so: ma ora un passo avanti verso la prosperità, la giustizia, la pace è stato fatto. Importantissimo. Comunque». Il suo alleato Bertinotti dice però il contrario, per lui i passi sono all'indietro, ha pure manifestato contro, a Roma. La Lega poi vuole un referendum sulla Costituzione. Prodi attacca l'equiparazione. «La Lega non ne vuole sapere di Europa. Non si può mettere sullo stesso piano di Bertinotti, dei comunisti italiani. Loro chiedono più Europa, mica sono euroscettici: sbagliano per eccesso, chiedendo quello che si può conquistare solo con pazienza». Scompaiono nella nebbia padana gli estremisti compagni di strada di un'Europa che non c'è e chissà se mai ci sarà. Di nuovo scenari lontani, lontanissimi. Prodi si ribella: «Veramente di crescita, sviluppo, occupazione, del progetto di Lisbona ne parliamo questo fine settimana, al vertice di Bruxelles che aveva proprio questi temi al centro. Poi è successo quel che è successo. Andremo piano, però non ci fermiamo, anche se pure qui i veti incrociati dei governi rendono tutto difficile. Nessuno vuol rinunciare a niente, ognuno pensa di difendere i suoi recinti. Guardate il brevetto europeo che chiede Giulio Tremonti: la Commissione l'ha preparato da anni, i governi lo tengono fermo». «Torni presto», puntualmente augura qualche passante. Vedremo che farà lei se mai andrà a Palazzo Chigi, professore. «In Italia – dice Prodi – ci vuole un governo che finalmente capisca che il destino del nostro paese è legato ai destini dell'Europa. E si mobiliti per questo». L'Italia si è comunque impegnata a firmare per prima la Costituzione, mentre in molti paesi si andrà a referendum popolari spesso a rischio. «Intanto bisogna respingere i tentativi di chi cerca di legare i referendum sulla Costituzione al tema dell'adesione turca all'Unione. Non c'è nessun rapporto, bisogna spiegarlo bene. Il problema della Turchia ha tempi lunghi, suoi, la trattativa si prolungherà per anni, i negoziati si svolgeranno con l'accordo di tutti i paesi dell'Unione. Per la Costituzione è diverso, ci sono due anni per ratificarla. Ogni paese può decidere i modi dell'approvazione. E la sua entrata in funzione a tempi brevi è indispensabile per far funzionare l'Europa». Domani Prodi è di nuovo in una Bruxelles a cui aveva dato addio. Ride. «Anche i miei commissari l'hanno presa bene. Verheugen, che resterà con Barroso, ha pure offerto da dormire a chi non ha più la casa. E la prossima settimana rivedo Putin al vertice Ue-Russia. Mi aveva detto che avrebbe ottenuto la firma del suo Parlamento sotto il trattato di Kyoto contro l'inquinamento nel mondo entro il 1° novembre. Prima che me andassi. E' stato di parola, anche se io sono ancora qui».
Prodi se ne va con la Costituzione europea che gli ha regalato Pera e lui conosce a memoria. «Con due rimpianti su tutto. Avrei voluto più temi decisi a maggioranza e non all'unanimità per non vedere l'Unione bloccata dai veti. Avrei voluto che la seconda parte della Costituzione fosse emendabile di nuovo non all'unanimità, ma bastasse una larghissima maggioranza. Comunque siamo partiti, la parete è in piedi. Adesso si tratta di riempire di vita la casa».
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IL COLLOQUIO
Prodi sulle accuse di Pera e Buttiglione: ci sono sensibilità diverse da rispettare, ma occorre avere prospettive comuni
“In Europa da politico cattolico mai mi sono sentito perseguitato”
MARCO MAROZZI
BOLOGNA – Non si è mai sentito «perseguitato». Né ha «mai nascosto di essere cattolico». Romano Prodi la sua Europa la racconta così: «Non bisogna minimizzare e negare le diversità, ma partiamo da queste per costruire una nuova grande sfida, un “demos” comune, un senso, un'anima democratica insieme». Lo spiega fra un cimitero di campagna e una chiesa di periferia. Le preghiere davanti alla tomba dei genitori, il battesimo dell'ultima nipote. Preti a salutarlo a San Ruffino di Scandiano, un prete ad aspettarlo al quartiere Barca. Fra la bassa reggiana («Padania pura, peccato che un nome così dolce sia stato rubato così male») e la periferia di Bologna, Prodi percorre questi suoi due giorni italiani. Doveva essere il gran ritorno in Italia. “A prodigal returns” scherza The Economist che pure mai lo ha amato. E' il gran restare in Europa: la Commissione Barroso è naufragata, lui è dovuto rimanere a Bruxelles. «Rimango a lavorare, ma credo sarà breve? o almeno non lunga. Il Parlamento ha acquisito il risultato che voleva, adesso è nell'interesse di tutti raggiungere un accordo. C'è un desiderio oggettivo di costruire. Io non ci sarò più, ma, scusate, nella costruzione dell'Europa mi sentirò per sempre». E' un'Europa dove però Rocco Buttiglione e Marcello Pera fanno aleggiare l'accusa di persecuzione anticristiana. Prodi si ferma. «Non è un'intervista. Su questo ci sono sensibilità diverse e vanno rispettate». Poi riparte: «Con il pudore che è necessario nelle cose religiose, non ho mai nascosto di essere cattolico e mai mi sono sentito perseguitato. Certamente ci sono stati confronti e diversità di opinioni, con conseguenti diverse prese di posizioni politiche. Ma questo non significa persecuzione religiosa». Parole pesate di un politico che segue la stampa cattolica europea e non vede nemmeno la cattolicissima Polonia o il Portogallo di Barroso sconvolte per il caso Buttiglione. E Prodi parla venendo da dieci giorni straordinari. Certo, la Costituzione europea, ma prima l'invito come ultimo oratore alle Giornate sociali dei cattolici francesi, a Lilla, poi la laurea honoris causa come “statista cattolico” a Lublino. Infine l'affettuosa udienza dal Papa. «Si sta insieme con modelli diversi di interpretazione della storia, ma anche pieni di prospettive comuni» ripete, citando l'incontro sulla dimensione spirituale e culturale dell'Europa in cui sedevano allo stesso tavolo lui, il laico Giuliano Amato e Bronislaw Geremek, storico cattolico, già capo di Solidarnosc, uno che a Strasburgo ha sostenuto fino all'ultimo Buttiglione. «L'Europa deve trovare una sua propria via. E noi tutti dobbiamo costruirla, insieme». Il presidente Pera dice però che non può avere anima un'Europa a cui manca una politica estera comune, non lotta per un seggio unico all'Onu, non ha posizioni condivise su rapporti con gli Usa, Iraq, Palestina ed Israele, non riesce a coniugare sviluppo-dimensione sociale-riforma del Welfare. «Nella Costituzione – si indurisce Prodi – mancano tutti quei punti di forza che i capi di Stato e di governo hanno voluto mancassero. Loro, non noi, lo hanno voluto. La Commissione queste cose la aveva proposte nel suo progetto di Trattato. Tutte quante». «Tuttavia – continua – sono convinto che l'Europa si costruisce con pazienza e bisognerà attendere che i capi di governo spingano concordemente verso frontiere più avanzate. Saranno le circostanze della storia a fare in modo che avvenga». Campa cavallo. Prodi guarda Chiara, Benedetta, le nipoti. «L'immagine sono loro, la bellezza, la speranza. E alle mie nipoti e a chi verrà con loro e dopo di loro che dedico cinque anni di lavoro. Ora l'Europa con la Costituzione non ha più alibi per non agire. Gli strumenti ci sono. Da migliorare, magari tantissimo, ma ci sono. Mettiamocelo in testa, facciamolo capire ai cittadini. Suona retorico, lo so: ma ora un passo avanti verso la prosperità, la giustizia, la pace è stato fatto. Importantissimo. Comunque». Il suo alleato Bertinotti dice però il contrario, per lui i passi sono all'indietro, ha pure manifestato contro, a Roma. La Lega poi vuole un referendum sulla Costituzione. Prodi attacca l'equiparazione. «La Lega non ne vuole sapere di Europa. Non si può mettere sullo stesso piano di Bertinotti, dei comunisti italiani. Loro chiedono più Europa, mica sono euroscettici: sbagliano per eccesso, chiedendo quello che si può conquistare solo con pazienza». Scompaiono nella nebbia padana gli estremisti compagni di strada di un'Europa che non c'è e chissà se mai ci sarà. Di nuovo scenari lontani, lontanissimi. Prodi si ribella: «Veramente di crescita, sviluppo, occupazione, del progetto di Lisbona ne parliamo questo fine settimana, al vertice di Bruxelles che aveva proprio questi temi al centro. Poi è successo quel che è successo. Andremo piano, però non ci fermiamo, anche se pure qui i veti incrociati dei governi rendono tutto difficile. Nessuno vuol rinunciare a niente, ognuno pensa di difendere i suoi recinti. Guardate il brevetto europeo che chiede Giulio Tremonti: la Commissione l'ha preparato da anni, i governi lo tengono fermo». «Torni presto», puntualmente augura qualche passante. Vedremo che farà lei se mai andrà a Palazzo Chigi, professore. «In Italia – dice Prodi – ci vuole un governo che finalmente capisca che il destino del nostro paese è legato ai destini dell'Europa. E si mobiliti per questo». L'Italia si è comunque impegnata a firmare per prima la Costituzione, mentre in molti paesi si andrà a referendum popolari spesso a rischio. «Intanto bisogna respingere i tentativi di chi cerca di legare i referendum sulla Costituzione al tema dell'adesione turca all'Unione. Non c'è nessun rapporto, bisogna spiegarlo bene. Il problema della Turchia ha tempi lunghi, suoi, la trattativa si prolungherà per anni, i negoziati si svolgeranno con l'accordo di tutti i paesi dell'Unione. Per la Costituzione è diverso, ci sono due anni per ratificarla. Ogni paese può decidere i modi dell'approvazione. E la sua entrata in funzione a tempi brevi è indispensabile per far funzionare l'Europa». Domani Prodi è di nuovo in una Bruxelles a cui aveva dato addio. Ride. «Anche i miei commissari l'hanno presa bene. Verheugen, che resterà con Barroso, ha pure offerto da dormire a chi non ha più la casa. E la prossima settimana rivedo Putin al vertice Ue-Russia. Mi aveva detto che avrebbe ottenuto la firma del suo Parlamento sotto il trattato di Kyoto contro l'inquinamento nel mondo entro il 1° novembre. Prima che me andassi. E' stato di parola, anche se io sono ancora qui».
Prodi se ne va con la Costituzione europea che gli ha regalato Pera e lui conosce a memoria. «Con due rimpianti su tutto. Avrei voluto più temi decisi a maggioranza e non all'unanimità per non vedere l'Unione bloccata dai veti. Avrei voluto che la seconda parte della Costituzione fosse emendabile di nuovo non all'unanimità, ma bastasse una larghissima maggioranza. Comunque siamo partiti, la parete è in piedi. Adesso si tratta di riempire di vita la casa».