Firenze, l’allarme del prof: “Sì alle lezioni a distanza, ma serve una piattaforma italiana”

Firenze, l’allarme del prof: “Sì alle lezioni a distanza, ma serve una piattaforma italiana”

Saverio Mecca, docente di Architettura chiede strumenti realizzati dagli atenei appositamente per la didattica

“In pochi giorni abbiamo imparato che l’insegnamento a distanza per le Università non è un approccio di serie B e può assicurare qualità della formazione, ma servono piattaforme di proprietà degli Atenei perché quelle che Google e Microsoft mettono a disposizione producono una quantità enorme e continua di dati che sono il loro vero profitto”.

Ne è convinto Saverio Mecca, direttore del Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze. In queste settimane l’ateneo toscano ha continuato a proclamare, durante sessioni in videochiamata, decine di nuovi dottori. E il coronavirus ha già modificato anche altri aspetti della didattica, dal ricevimento agli esami.

Cosa sta insegnando a studenti e professori questa situazione?

“Gli studenti si sono subito adattati. Noi docenti abbiamo imparato che l’insegnamento a distanza può essere efficace ed è gradito alla maggior parte degli allievi, in particolare agli studenti pendolari: consente loro una gestione dei tempi di studio più fluida e meno rigida, fa aumentare frequenza e partecipazione attiva nelle aule digitali , può favorire maggiore consapevolezza e capacità di gestione”.

L’insegnamento digitale potrà essere una risorsa anche dopo l’emergenza? 

“Le lezioni preparate e registrate in anticipo dai docenti, ad esempio, potranno costruire un archivio della conoscenza comunicabile. Dovremo creare laboratori virtuali, oltreché reali, dove docenti, studenti e dottorandi, giovani ricercatori r tutor lavorino a progetti di ricerca innovativi”.

E il fattore umano? Sparirà?

“No. Serviranno da subito a bilanciare la didattica a distanza laboratori e workshop in presenza con a fianco dei docenti tanti nuovi giovani docenti e tutor che possano seguire piccoli gruppi per meglio curare e sostenere i processi di apprendimento”.

E per le piattaforme?

“Servirannno piattaforme diverse da quelle che ora stiamo usando tutti: quelle nate per il business non sono adatte”.

Perché?

“Le piattaforme di Google e Microsoft si nutrono dei nostri dati, che stiamo cedendo più o meno consapevolmente e dei quali non saremo più proprietari: da questi le aziende possono estrarre i nostri profili, ma anche sottrarci le conoscenze”.

Qual è la soluzione?

“Darci subito una piattaforma nostra, europea o italiana, progettata per l’insegnamento, che ci consenta di mantenere il controllo dei big data, di gestire le conoscenze che sono generate e arricchite da tutte le interazioni dirette fra docenti e studenti. Queste sono patrimonio immateriale nostro, della nostra cultura, del nostro territorio e non possiamo rischiare che ci vengano carpite, sottratte, raccolte, elaborate e sistematizzate, e riprodotte a beneficio di altri sistemi economici”.

Carmela Adinolfi | firenze.repubblica.it | 1.5.2020

1 commento

  • Lezioni a distanza sì, ma servono piattaforme di ateneo

    Il testo dell’intervento del direttore del dipartimento di Architettura dell’università di Firenze

    “Visti gli esami sostenuti, visto l’esame speciale superato con voto 110 e lode, in nome della Repubblica Italiana la proclamo Dottore Magistrale in Architettura”. Sta finendo un’altra sessione di laurea per centinaia di studenti, le commissioni si sono riunite e io ho appena proclamato la formula di sempre. Ma è tutto il resto che non c’è più. Sto parlando dal microfono di un pc in una stanza in cui sono solo mentre i colleghi e la laureanda mi appaiono nelle finestre del video. Eppure questa non è una delle tante università telematiche: è l’Università pubblica italiana, del Paese che per primo in Europa, secoli fa, ha aperto a Bologna la prima Università moderna in Europa, modello di tutte le università del Mondo.
    In pochi giorni un pregiudizio che sembrava radicato sembra dissolto, anche se molti alzeranno comunque lamenti per la qualità perduta, per l’età dell’oro soppiantata dall’età del silicio. In pochi giorni, e costretti da eventi drammatici, abbiamo imparato che l’insegnamento a distanza per le Università non è un approccio di serie B, che oggi è uno dei modi con cui produrre e trasmettere conoscenze, potenzialmente più rigoroso della lezione tradizionale, e abbiamo imparato che forse vale la pena di riconsiderare l’attuale sistema che quasi contrapponeva università tradizionali e università telematiche.
    Noi docenti siamo stati costretti a tutto ciò dagli effetti di una pandemia mondiale. Gli studenti, che questo modo di comunicare già lo usavano ampiamente, si sono subito adattati alle nuove modalità didattiche, e ora prendono confidenza, e intervenendo, partecipando e scrivendo ai docenti; a sentir loro studiano meglio e si appassionano, più di prima.
    Abbiamo imparato che l’insegnamento a distanza può essere efficace e sicuramente è gradito alla maggior parte degli studenti, consente loro una gestione dei tempi di studio più fluida e meno rigida, fa aumentare, almeno in questa fase di confinamento, la loro frequenza e partecipazione attiva nelle aule digitali, può favorire una maggiore consapevolezza e capacità di gestire il proprio tempo e le proprie attività. Abbiamo imparato che l’insegnamento a distanza aumenta l’accessibilità agli studi per gli studenti lavoratori, facilita i fuori corso e ne riduce la sensazione di esclusione, aiuta gli studenti pendolari che perdono meno tempo nei trasporti pubblici, aiuta tutti coloro che per malattia o temporanee indisponibilità non possono recarsi in aula. Abbiamo imparato che potremo più facilmente avere studenti da tutto il mondo, che potranno avvicinarsi alla nostra cultura, potranno studiare e fare amicizia con gli studenti italiani, che forse potremo averne di più. Abbiamo imparato che così potremo internazionalizzare le università italiane, aprirle al mondo veicolando insieme al sapere la nostra lingua.

    Abbiamo imparato che sul piano ambientale, l’insegnamento a distanza riduce la mobilità non essenziale finalizzata alla frequenza dei corsi in presenza, il fabbisogno di trasporti, i consumi di energia e carburanti, riduce i costi di studio senza penalizzare necessariamente la qualità della formazione, diventando più sostenibile per l’intera società. Abbiamo imparato che si può cambiare il lavoro dei docenti, i quali possono anche in anticipo preparare le lezioni e registrarle e averle pronte per i corsi successivi e costruire progressivamente un archivio della conoscenza comunicabile, che possono bilanciare il minore lavoro dato dai supporti digitali già preparati, dedicandosi al lavoro in presenza con gli studenti e rendendolo più efficace.
    Abbiamo imparato che serviranno da subito tanti nuovi giovani docenti, che serviranno docenti a contratto integrativi, magari con esperienze professionali qualificanti per i corsi, che serviranno tutor che possano seguire piccoli gruppi di studenti per meglio curare e sostenere i processi di apprendimento, che dovremo creare laboratori virtuali, oltreché reali, dove docenti, studenti e dottorandi, giovani ricercatori in formazione e tutor lavorino insieme a progetti di ricerca innovativi.
     
    Abbiamo imparato che, come per le scuole, anche per le università serviranno ambienti più belli, che meritino il costo e il tempo della frequenza speso in più rispetto al frequentare aule virtuali, che avremo meno bisogno di aule formali, monofunzionali, e più di ambienti polifunzionali per il lavoro di relazione diretta fra docente e studente, per il lavoro autonomo di gruppi di studenti, di laboratori didattici e di ricerca, di più servizi e infrastrutture.

    E noi che lavoriamo nelle scuole di architettura, design, urbanistica, paesaggio, restauro, gestione della costruzione, abbiamo imparato anche qualcosa in più: perché la formazione per il progetto creativo da sempre si fonda su un rapporto maestro-apprendista, sul lavorare in stretto dialogo nell’esplorare e scegliere e sviluppare soluzioni a problemi aperti che si strutturano in un dialogo serrato. Ecco, noi abbiamo imparato che serviranno piattaforme diverse da quelle che ora stiamo usando tutti: le piattaforme nate per il business non sono adatte all’insegnamento a distanza del progetto creativo. 
    Abbiamo anche imparato che servono piattaforme di proprietà degli Atenei, o meglio italiane o europee, perché le piattaforme che Google e Microsoft mettono a disposizione degli atenei, mentre le usiamo, producono una quantità enorme e continua di dati, i famosi big data, che sono il loro vero profitto. Dati che noi stiamo cedendo più o meno consapevolmente e dei quali non saremo più proprietari… quando una cosa in rete è gratis, il prodotto siamo noi!
    Ma abbiamo anche imparato che le piattaforme possono non solo estrarre i nostri profili, ma, peggio, potrebbero sottrarci le nostre conoscenze, imparando da noi e dalle nostre interazioni con strumenti di intelligenza artificiale; abbiamo imparato che dobbiamo darci subito una piattaforma nostra, europea o anche italiana, che progettata appositamente per l’insegnamento ci consenta non solo di creare ambienti virtuali migliori, ma anche di mantenere il controllo e la gestione dei big data, di gestire le conoscenze che sono generate e arricchite da tutte le interazioni dirette fra docenti e studenti, e naturalmente degli studenti tra loro.
     
    Abbiamo imparato che in ambiti come il progetto e la creatività, queste conoscenze sono patrimonio immateriale nostro, della nostra cultura, del nostro territorio e non possiamo rischiare che ci vengano carpite, sottratte, raccolte, elaborate e sistematizzate, e quindi riprodotte a beneficio di altri sistemi economici.
    Abbiamo imparato che dobbiamo riflettere su questa inaspettata esperienza di confinamento come se fosse un esperimento di laboratorio, che fra le azioni strategiche per il post-Covid19 dobbiamo investire subito su una piattaforma nostra.
     
    Abbiamo imparato che oggi la distanza ha accorciato le distanze.
    Lo abbiamo imparato in un solo mese, costretti da eventi imprevedibili. Ora a noi è richiesto di fare tesoro dell’emergenza e di sfruttarne le opportunità che ci sta aprendo. Colpevolmente non lo abbiamo fatto prima. Ma sarebbe imperdonabile non farlo adesso.
     
    Saverio Mecca, Direttore del Dipartimento di Architettura Università di Firenze

    firenze.repubblica.it | 1.5.2020

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