Figli di una lingua minore: gli insegnanti di lingua italiana nel mondo.
di Maria Katia Gesuato.
L’italiano è la quarta lingua più studiata nel mondo: un grande successo; ma al convegno dedicato a questo risultato mancavano proprio gli insegnanti. Tuttavia è grazie al loro lavoro paziente e quotidiano che la lingua italiana è sempre popolare in tutto il mondo, anche durante l’attuale periodo di crisi economica. Se la promozione della lingua italiana è importante, gli insegnanti sono la risorsa fondamentale.
Al convegno “Parliamone: l’italiano come risorsa” (organizzato dal Ministero Affari Esteri a Roma lo scorso gennaio 2014) non è stata neppure notata l’assenza dei docenti d’italiano e dei loro formatori. Assenza significativa.
All’esibizione entusiasta dei dati sulla diffusione della lingua italiana nel mondo corrisponde la disattenzione per gli operatori del settore che ne sono i principali artefici.
I riflettori sono puntati sulle star di eventi mediatici e vengono trascurati coloro che, con lavoro costante e continuativo, creano le condizioni per il successo di quegli eventi, coloro che tengono insieme l’attrattività di un grande passato – che non necessita di promozione – con una realtà culturale varia e stimolante, facendo dialogare, attraverso lo studio della lingua, l’opera lirica con il rap e conoscere i film visionari di Fellini e Sorrentino, senza cavalcare stereotipi ancora diffusi ma superati.
I docenti (assieme ai loro formatori), orfani di una politica linguistica “dall’alto” strutturata e coerente, sono gli attori di una politica linguistica “dal basso”, condotta in ordine sparso che, malgrado ciò, posiziona l’italiano come quarta lingua più studiata al mondo.
Il dato positivo tuttavia rischia di essere fuorviante e di creare eccessivi entusiasmi se valutato al di fuori di un contesto e comparato con l’andamento delle lingue con cui compete.
L’italiano, come qualsiasi altro prodotto del made in Italy, subisce la concorrenza delle lingue più diffuse che si pongono sul mercato agguerrite e con piani commerciali studiati meticolosamente. La crisi di sistema dell’Italia può innescare un’onda lunga di crisi del prodotto-lingua che si ripercuote anche sull’indotto: editoria, certificazioni, ecc…
Senza rifiutare pregiudizialmente i tagli, la crisi consente però di: ottimizzare, ridimensionare, riorganizzare, ristrutturare, ma soprattutto reinvestire e anche rischiare. Senza eliminare preziosi presidi territoriali chiudere una scuola italiana con classi numerose, ben frequentate e dove la concorrenza internazionale è minima, non è cecità ma autolesionismo.
Se la lingua è il primo asset della promozione del sistema paese si cominci a investire sui docenti: censirli, conoscerli, formarli, aggiornarli e valorizzarli.
Si cominci da un piccolo gesto concreto: l’invito agli Stati generali della lingua italiana di una loro rappresentanza.
(http://www.educationduepuntozero.it, 27/3/2014).
Commenti:
andiamo bene di DANIELE85, pubblicato il 28/03/2014
Se in un testo di questo genere si arriva a dire “asset” al posto di “bene” o “risorsa” allora c’è rimasto davvero poco da salvare e valorizzare…
(http://www.educationduepuntozero.it, 28/3/2014).