Fare o no un referendum sull’Europa

Corriere della Sera, 1 novembre 2004

Perchè è inopportuno

Fare o no un referendum sull'Europa?

Sabino Cassese
E' legittimo ed è opportuno sottoporre a referendum popolare la legge di
ratifica del trattato che istituisce una Costituzione per l'Europa?
Innanzitutto, interrogare la volontà del popolo sulla ratifica di un
trattato internazionale è illegittimo, perché la Costituzione espressamente
esclude il ricorso al referendum abrogativo per le leggi di autorizzazione a
ratificare trattati internazionali. Dunque, questa è una materia riservata
al Parlamento perché riguarda i rapporti tra Stati. Per superare la
diffidenza manifestata nel 1948 nei confronti dei referendum per i trattati, occorrerebbe percorrere strade oblique.
Strade lunghe, faticose e di dubbia legittimità (come modificare prima la
Costituzione, per ricorrere a un referendum abrogativo della legge, oppure
autorizzare la ratifica con legge costituzionale, per poi sottoporla a
referendum confermativo).
I sostenitori del referendum sostengono che il trattato produce una cessione
di sovranità e non basta una legge ordinaria. Ma la nostra Costituzione
consente le limitazioni di sovranità a condizioni di parità con altri Stati
e per assicurare la pace tra le Nazioni (art. 11), e non impone che tali
limitazioni siano decise direttamente dal popolo. Assicurare la pace è il
fine ultimo dell'Unione europea, come hanno scritto più volte i suoi
fondatori, preoccupati dalle due guerre mondiali che avevano funestato
l'Europa in meno di mezzo secolo. Non c'è bisogno di dichiarazioni solenni
sulla pace e sui valori per riconoscere che questa è l'«anima» della
costruzione europea.
C'è un secondo buon motivo per cui non è consigliabile un referendum sulla
ratifica del Trattato: sia la versione iniziale, quella del 1957, sia i
molti trattati successivi che hanno modificato quello istitutivo della
Comunità europea, non sono stati sottoposti a referendum, nonostante che
contenessero innovazioni almeno pari a quelle del nuovo Trattato di Roma:
insomma, una costituzione europea esisteva già da tempo e non si capisce
perché solo quella appena firmata debba essere sottoposta al vaglio
popolare.
Altri Paesi – affermano i sostenitori del referendum – ricorrono al voto
popolare; deve quindi farlo anche l'Italia. Ma altri Paesi hanno norme
costituzionali diverse, che consentono ciò che la nostra Costituzione non
permette. E, principalmente, altri Paesi sono divisi e debbono contare i
sostenitori dell'Unione e coloro che non vogliono parteciparvi. Al
referendum, in quei Paesi, non viene sottoposto tanto il trattato, quanto la
decisione dei rispettivi governi di aderirvi, presa con coraggio in presenza
di un forte numero di euroscettici.
In Italia, invece, maggioranza ed opposizione si sono schierate a favore del
trattato, mentre si sono pronunciati a favore del referendum solo la Lega e
Rifondazione. La prima l'ha fatto non solo per la sua provinciale e
contraddittoria avversione al federalismo esterno, ma anche per una sorta di
ritorsione (altri chiede il referendum sulla riforma costituzionale
italiana, patrocinata dalla Lega, quest'ultima chiede il referendum sulla
riforma costituzionale europea). Rifondazione lo fa perché l'Europa non
avrebbe un'«anima», perché manca l'«Europa della pace» (e così ignora che la costruzione europea stessa è un «ordinamento che assicura la pace», come è previsto dalla Costituzione).
Da ultimo, se classe dirigente italiana e Paese sono stati, per mezzo
secolo, costantemente, tra i più attivi sostenitori dell'Unione europea,
perché governo e Parlamento, maggioranza ed opposizione, dovrebbero cercare nel referendum la conferma di un orientamento diffuso e consolidato,
impegnando il Paese in una consultazione popolare dall'esito scontato?

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