Europeisti senza ardore

La Stampa, 28 novembre 2004

COSTITUZIONE E REFERENDUM

EUROPEISTI SENZA ARDORE
di Barbara Spinelli

MERCOLEDÌ prossimo, primo dicembre 2004, i militanti del socialismo in
Francia diranno qual è la loro opinione sulla Costituzione europea: in un
referendum interno al partito l'approveranno o la rifiuteranno, anticipando
la posizione che sarà presa nel referendum nazionale. Non è un evento
partitico di provincia, che riguarda solo la Francia e le sue sinistre. La
scelta che faranno i socialisti di quel Paese rischia di influenzare il voto
dei francesi al referendum che Chirac ha indetto per la seconda metà del
2005, e da un primo piccolo no di militanti potrebbe nascere il grande no
della nazione, e un disastro per tutta l'Unione. Pronunciato dalla Francia,
il veto alla Costituzione non può esser paragonato al ripudio che
scaturirebbe dal referendum britannico.
L'Europa si può fare senza inglesi, e più volte s'è fatta loro malgrado.
Senza la Francia no. La Francia è una potenza che ha sempre fatto o disfatto
l'Europa, e anche adesso ha il potere di edificarla come di disintegrarla.
Senza Parigi, gli altri referendum europei diventano in fondo superflui e la
Costituzione, solennemente firmata il 29 ottobre a Roma, sarà affossata.
Questa possibilità non può essere scartata, e per questo sarà importante
osservare quel che avverrà nel socialismo francese. Sarà importante per le
sinistre come per le destre, per i fautori di una Costituzione più federale
e democratica come per i difensori di un più forte potere di veto degli
Stati dentro l'Unione. Di questo si è infatti dibattuto, nella campagna
dentro il partito socialista francese: se l'attuale Costituzione permetterà
all'Europa di divenire potenza oppure glielo impedirà; se sarà in grado di
spezzare la scontrosa indifferenza dei cittadini verso le istituzioni
europee oppure se l'accentuerà; se sia possibile infine una democrazia
europea
– e dunque un popolo, un dèmos d'Europa – che vada oltre la mera addizione
di 25 società e 25 elettorati nell'Unione. Tali scelte riguardano tutta
l'Europa e i suoi politici, se è vero che l'Unione e la sua Costituzione
sono un processo non concluso ma ancora da perfezionare, e da adoperare nel
migliore dei modi.
Per questo non è inutile per gli europei il dibattito che si sta svolgendo
in Francia, anche se è assai pericoloso. Non tutti gli oppositori della
Costituzione infatti sono anti-europei: molti sognano anzi un'Europa più
forte, e sostengono che proprio quest'Unione politica non è raggiungibile
con l'odierno Trattato costituzionale. Meglio il caos creativo che lo status
quo, meglio distruggere quel che è stato fatto e rinegoziare ogni cosa da
capo, dicono molti socialisti che fanno la campagna del no in Francia. Fra
essi spicca Laurent Fabius, che si è improvvisato euroscettico lanciando la
campagna del no ma che euroscettico non è stato in passato.
In parte l'ex premier di Mitterrand si prepara cinicamente a scalare
l'Eliseo, ed è convinto di poter riuscire non già puntando sull'elettorato
europeista e moderato ma facendo il pieno della sinistra, compresi comunisti
e estreme sinistre che sono contro l'Europa.
In parte si finge un appassionato europeista, denunciando quel che non
funziona ancora nella democrazia europea e prospettando un rinegoziato del
trattato
costituzionale: un'Europa più possente potrebbe vedere la luce, nascendo
come Minerva da quello che i finti nuovi europeisti chiamano caos creativo,
o trauma salutare per l'Unione. È il motivo per cui europeisti come Michel
Rocard e Jacques Delors parlano di ipocrisia, di arroganza nazionalista, e
di europeismo completamente fittizio. Nelle condizioni attuali non esiste
una maggioranza nell'Unione pronta a rinegoziare il trattato costituzionale
e tanto meno a migliorarlo, essi dicono. Bisogna dunque accontentarsi di
quel che c'è e migliorare pian piano le cose: tale è la loro linea,
condivisa dal segretario generale Hollande e dall'ex ministro del Tesoro
Strauss-Kahn.
Può darsi che alla fine i militanti sconfessino Fabius – così come può darsi
che nel 2005 i francesi sconfessino un eventuale no socialista – e tuttavia
c'è qualcosa che non convince, nella battaglia del fronte favorevole alla
Costituzione. È un fronte singolare, composto da politici che danno
l'impressione d'esser rassegnati, privi di slancio. La difesa che essi fanno
dell'Unione e della sua Costituzione non è entusiasta ma tiepida. Rocard
mette in guardia contro quella che potrebbe divenire una catastrofe per il
continente, per poi aggiungere che l'Europa politica è comunque un sogno
lontano, se non fallito. Un sogno che deve cedere il passo ai compromessi, e
a un'attesa lunga decenni, generazioni. Al confronto, i fautori del no
sembrano ben più volontaristi, più esigenti, e meno stanchi. Le discussioni
sull'europeismo fanno sempre pensare – anche in Italia – a quel che dice
William Butler Yeats sulla forza eversiva del caos, nella poesia sul Secondo
Avvento: «Si sfalda ogni cosa; il centro più non tiene. Anarchia pura si
rovescia sul mondo (…) Manca ai migliori ogni convincimento, mentre i
peggiori son pieni d'appassionata intensità».
Precisamente questo manca oggi alle forze che più vogliono l'Europa, in
Francia come in Italia e in altri Paesi dell'Unione. Manca l'ardore, che
solo gli euroscettici pare possiedano; mancano l'impeto e il senso
d'urgenza, per mezzo dei quali far nascere l'Europa potenza che tanto si
dice di desiderare.
Si permette agli antieuropei di battersi in nome dell'europeismo, e ci si
limita ad accettare la Costituzione come il minore dei mali, senza attingere
da essa nuove energie e nuovi progetti per cui battersi subito, non chissà
quando. Questa la malattia di cui soffre l'europeismo, e curarla è urgente
in ogni caso, anche se al referendum francese vincesse il sì. Vale la pena
curarla per meglio costruire una politica estera comune, e superare
l'ostilità dei cittadini. Per correggere con ardore i vizi denunciati dal
fronte dei no, e forzare fin da ora i limiti istituzionali dell'Unione con
proposte che suscitino un'Europa al tempo stesso potente e democratica.
Il fatto è che l'Europa potenza democratica deve prender forma nel regime
dei trattati attuali, prima che la Costituzione sia ratificata: solo così si
influirà sui referendum. Nel Parlamento di Strasburgo c'è già chi vede in
opera questa democrazia di dimensione europea, per il fatto che l'assemblea
ha resistito alle formidabili pressioni degli Stati, e obbligato il
presidente dell'esecutivo Barroso a cambiare gli uomini del suo governo: le
cose sarebbero andate un po' come nelle democrazie nazionali, quando i
parlamenti approvano o censurano i governi. In realtà siamo ancora lontani
da una democrazia europea, tale da mobilitare su scala continentale le
destre come le sinistre.
In una vera democrazia costituzionale, la formazione maggioritaria presenta
in Parlamento il proprio governo, e quest'ultimo non si sente affatto
delegittimato e depotenziato se l'opposizione, com'è naturale, vota contro
il premier.
In Europa le cose non stanno ancora così. Il centrodestra ha vinto alle
elezioni del Parlamento di Strasburgo, aprendo la strada alla nomina di
Barroso da parte degli Stati. Il Parlamento ha disapprovato una serie di
commissari, e alla fine sinistre e destre hanno accettato Barroso a
condizione che alcuni commissari sgraditi venissero sostituiti (non tutti:
in un dicastero cruciale come la concorrenza resta Neelie Kroes, con i suoi
conflitti d'interesse).
Ma perc hé Barroso deve in ultima istanza esser approvato da stragrandi
maggioranze?
Perché disapprovarlo vuol dire entrare in conflitto con la Commissione in
quanto tale? E se alla fine tutti devono votare allo stesso modo, perché il
cittadino europeo dovrebbe andare alle urne? Questi interrogativi restano
ancora senza risposta, e non sono astrusi.
Questo significa che la democrazia europea sta appena cominciando, e che
davanti al dèmos europeo s'accampano fin d'ora grandi ed essenziali compiti.
I partiti possono organizzarsi non più sul piano nazionale ma
sovrannazionale, e decidere a maggioranza qualificata le posizioni che
terranno, in particolare nelle politiche dove l'Unione decide a maggioranza.
E i cittadini del continente possono iscriversi individualmente a tali nuove
formazioni (sono due proposte fatte nei giorni scorsi da Rasmussen,
presidente danese del partito socialista europeo). Molto presto inoltre
destre e sinistre europee potrebbero proporre propri candidati alla guida
della Commissione, nelle campagne per il rinnovo del Parlamento di
Strasburgo.
Ecco perché importa quel che accadrà in Francia. L'Europa nascerà davvero
quando smetteremo di fare battaglie esistenziali sul suo essere o
non-essere, e in gioco non sarà più l'esistenza dell'Unione, la
sopravvivenza delle sue istituzioni, ma quando ci si dividerà, molto
normalmente, sulle politiche che l'Europa potrà darsi. Quando a dire la
propria non ci saranno solo militanti nazionali ma militanti europei, di
sinistra o destra. E quando questi militanti, se saranno europeisti,
cesseranno di essere i tiepidi difensori dell'Unione e difenderanno l'Europa
potenza con la stessa appassionata intensità che oggi anima euroscettici,
antieuropei, e finti sostenitori di un'Unione rifatta da capo.

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