LA STAMPA
28.05.2004 p.26
LA COSTITUZIONE È FONDAMENTALE PER PROSEGUIRE SULLA VIA DELL'INTEGRAZIONE
PER la costituzione europea, la stretta finale si avvicina. Mentre la Convenzione aveva operato alla luce del sole, la Conferenza intergovernativa discute e decide nel chiuso delle cancellerie. Ben poco trapela al di fuori. E quel poco è inquietante.
Sulla procedura di decisione in seno al Consiglio dei ministri si svolge da mesi un braccio di ferro che ha per oggetto la soglia della maggioranza e quella, connessa, della minoranza di blocco: la Spagna e la Polonia esigeranno il sì della maggioranza dei governi che rappresentino il 65% della popolazione europea? Ovvero si accontenteranno del 62% se non del 60%? La questione non è irrilevante, ma non è certo decisiva, come molti governi sembrano invece inclini a ritenere, dal momento che su questo si stanno dilaniando. In effetti, quando si stabilisce una soglia di maggioranza qualificata, anche i due terzi sono una soglia accettabile.
Ben altri sono i motivi di giustificata preoccupazione. Non si può accogliere il criterio della necessaria unanimità dei governi – anziché il voto a maggioranza, come è invece previsto dal progetto della Convenzione – per consentire ad almeno un terzo degli Stati membri di avviare le cooperazioni rafforzate. Ed è un grave errore,
anzi un vero abuso, voler impedire la «passerella» – cioè il passaggio dall' unanimità alla maggioranza e dalla procedura intergovernativa a quella legislativa ordinaria – ai paesi che abbiano dato vita a una cooperazione rafforzata. Vogliamo sperare che quanto meno le cooperazioni rafforzate – vitali per superare l'anacronistico diritto di veto, così duro a morire – siano approvate nella versione originaria uscita dalla Convenzione, non
nella versione inspiegabilmente fatta propria dalla presidenza italiana in dicembre.
Non basta. Vi è il rischio concreto dell'erosione ulteriore del principio maggioritario, che pure la Convenzione aveva già fortemente limitato. In tema di bilancio europeo, di politica sociale, di politica estera, anche quel poco che era rimasto dell'ambizioso disegno iniziale di eliminare il nefasto potere di veto pare stia cadendo sotto i colpi di maglio della diplomazia britannica. A suo tempo essa fece sapere a Giscard d'Estaing che tutta una serie di decisioni dovevano essere assunte all'unanimità. Ottenuto ciò, gli inglesi hanno ripreso il tiro alla fune con la presidenza italiana della conferenza ottenendo altre cospicue limature. E ora, con l'annuncio del referendum inglese, Londra chiede di abbassare ulteriormente il livello della costituzione minacciando in caso contrario di non firmare il testo – che esige l'unanimità dei governi – con l'argomento che solo così Blair potrà ottenere il sì al referendum.
È una tecnica negoziale collaudata, questa volta condotta addirittura in tre tempi. Una tecnica che in passato è stata coronata dal successo, fuor che nei casi in cui Francia, Germania, Italia e Benelux si sono imposte minacciando di andare avanti anche senza gli inglesi. Come è accaduto con l'euro e con la politica sociale nel 1992.
Il problema vero sta qui. Di fronte a un bisogno di Europa che i cittadini percepiscono assai meglio dei loro ministri, e che tanti in Africa, in Asia e in America colgono con lucidità, capiranno i nostri governi che solo decidendo insieme e non isolatamente, solo eliminando il potere di veto, solo ancorando la loro decisioni al Parlamento europeo che rappresenta i cittadini dell'Unione, i nostri paesi conteranno davvero nel mondo di domani? La dura lezione irachena non ha insegnato loro nulla? La responsabilità dei leader che tentano di dare agli elettori l'illusione di tutelare la sicurezza comune in un'Europa divisa e perciò impotente è una responsabilità immensa.
Con tutti i suoi limiti, la Costituzione va approvata, perché consente di proseguire lungo la via dell'integrazione. Ma non si deve indebolirla ulteriormente. E non si può dare sempre ragione a chi l'Europa politica non solo non la vuole, ma pretende di impedire agli altri di realizzarla. Chi chiede un'Europa federale, di grazia, batta finalmente un colpo.
Per la Carta Ue la stretta finale s'avvicina. Speriamo che almeno le cooperazioni rafforzate, vitali per superare l'anacronistico diritto di veto, siano approvate nella versione originaria uscita dalla Convenzione, non in quella inspiegabilmente fatta propria nel mese di dicembre dalla presidenza italiana
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28.05.2004 p.26
LA COSTITUZIONE È FONDAMENTALE PER PROSEGUIRE SULLA VIA DELL'INTEGRAZIONE
Europa, chi la vuole batta un colpo
Antonio Padoa Schioppa
Per la Carta Ue la stretta finale s'avvicina. Speriamo che almeno le cooperazioni rafforzate, vitali per superare l'anacronistico diritto di veto, siano approvate nella versione originaria uscita dalla Convenzione, non in quella inspiegabilmente fatta propria nel mese di dicembre dalla presidenza italianaPER la costituzione europea, la stretta finale si avvicina. Mentre la Convenzione aveva operato alla luce del sole, la Conferenza intergovernativa discute e decide nel chiuso delle cancellerie. Ben poco trapela al di fuori. E quel poco è inquietante.
Sulla procedura di decisione in seno al Consiglio dei ministri si svolge da mesi un braccio di ferro che ha per oggetto la soglia della maggioranza e quella, connessa, della minoranza di blocco: la Spagna e la Polonia esigeranno il sì della maggioranza dei governi che rappresentino il 65% della popolazione europea? Ovvero si accontenteranno del 62% se non del 60%? La questione non è irrilevante, ma non è certo decisiva, come molti governi sembrano invece inclini a ritenere, dal momento che su questo si stanno dilaniando. In effetti, quando si stabilisce una soglia di maggioranza qualificata, anche i due terzi sono una soglia accettabile.
Ben altri sono i motivi di giustificata preoccupazione. Non si può accogliere il criterio della necessaria unanimità dei governi – anziché il voto a maggioranza, come è invece previsto dal progetto della Convenzione – per consentire ad almeno un terzo degli Stati membri di avviare le cooperazioni rafforzate. Ed è un grave errore,
anzi un vero abuso, voler impedire la «passerella» – cioè il passaggio dall' unanimità alla maggioranza e dalla procedura intergovernativa a quella legislativa ordinaria – ai paesi che abbiano dato vita a una cooperazione rafforzata. Vogliamo sperare che quanto meno le cooperazioni rafforzate – vitali per superare l'anacronistico diritto di veto, così duro a morire – siano approvate nella versione originaria uscita dalla Convenzione, non
nella versione inspiegabilmente fatta propria dalla presidenza italiana in dicembre.
Non basta. Vi è il rischio concreto dell'erosione ulteriore del principio maggioritario, che pure la Convenzione aveva già fortemente limitato. In tema di bilancio europeo, di politica sociale, di politica estera, anche quel poco che era rimasto dell'ambizioso disegno iniziale di eliminare il nefasto potere di veto pare stia cadendo sotto i colpi di maglio della diplomazia britannica. A suo tempo essa fece sapere a Giscard d'Estaing che tutta una serie di decisioni dovevano essere assunte all'unanimità. Ottenuto ciò, gli inglesi hanno ripreso il tiro alla fune con la presidenza italiana della conferenza ottenendo altre cospicue limature. E ora, con l'annuncio del referendum inglese, Londra chiede di abbassare ulteriormente il livello della costituzione minacciando in caso contrario di non firmare il testo – che esige l'unanimità dei governi – con l'argomento che solo così Blair potrà ottenere il sì al referendum.
È una tecnica negoziale collaudata, questa volta condotta addirittura in tre tempi. Una tecnica che in passato è stata coronata dal successo, fuor che nei casi in cui Francia, Germania, Italia e Benelux si sono imposte minacciando di andare avanti anche senza gli inglesi. Come è accaduto con l'euro e con la politica sociale nel 1992.
Il problema vero sta qui. Di fronte a un bisogno di Europa che i cittadini percepiscono assai meglio dei loro ministri, e che tanti in Africa, in Asia e in America colgono con lucidità, capiranno i nostri governi che solo decidendo insieme e non isolatamente, solo eliminando il potere di veto, solo ancorando la loro decisioni al Parlamento europeo che rappresenta i cittadini dell'Unione, i nostri paesi conteranno davvero nel mondo di domani? La dura lezione irachena non ha insegnato loro nulla? La responsabilità dei leader che tentano di dare agli elettori l'illusione di tutelare la sicurezza comune in un'Europa divisa e perciò impotente è una responsabilità immensa.
Con tutti i suoi limiti, la Costituzione va approvata, perché consente di proseguire lungo la via dell'integrazione. Ma non si deve indebolirla ulteriormente. E non si può dare sempre ragione a chi l'Europa politica non solo non la vuole, ma pretende di impedire agli altri di realizzarla. Chi chiede un'Europa federale, di grazia, batta finalmente un colpo.
Per la Carta Ue la stretta finale s'avvicina. Speriamo che almeno le cooperazioni rafforzate, vitali per superare l'anacronistico diritto di veto, siano approvate nella versione originaria uscita dalla Convenzione, non in quella inspiegabilmente fatta propria nel mese di dicembre dalla presidenza italiana