Europa, le spine dell’integrazione
La questione islamica / Due linee a confronto
«Quello che sta succedendo in Olanda potrebbe succedere dovunque e per questo riguarda l'Unione intera». Insomma, volenti o nolenti, oggi in Europa siamo tutti olandesi.
A lanciare l'allarme a Bruxelles non è stato un esaltato politico di estrema destra. Ci ha pensato Antonio Vitorino, il commissario Ue a Giustizia e Immigrazione, un socialista portoghese che nell'ultimo quinquiennio si è fatto conoscere per moderazione e senso di equilibrio.
Con 16 milioni di abitanti, di cui quasi uno di confessione musulmana (per l'esattezza il 5,8% del totale), l'Olanda era nota per la proverbiale tolleranza di una società ricca e aperta, concreta come sanno esserlo tutti i grandi mercanti. Fino all-assassinio, il 2 novembre scorso, del regista Theo Van Gogh per mano di un giovane immigrato marocchino, membro di un gruppo radicale islamico. Da allora il paese ha cambiato faccia. Il modello è andato in tilt. Nove moschee e due scuole islamiche profanate o incendiate (insieme peraltro a cinque chiese). Assalti della polizia contro un covo di presunti terroristi, che rispondono lanciando granate. La classe politica letteralmente sul piede di guerra, che si esprime con un linguaggio di inusitata durezza. In breve, Olanda irriconoscibile.
L'assassinio di Van Gogh «è stato dettato dalla stessa forza malefica che è stata dietro gli attentati di New York e di Madrid. Smettiamola di chiacchierare e rimbocchiamoci le maniche» ha detto ieri Rita Verdonk, il ministro olandese all'Immigrazione. «Non permetteremo che la comunità musulmana sia esclusa e messa in stato di accusa ma l'Europa non deve diventare il brodo di coltura del terrorismo islamico». E ancora: «L'integrazione non è un problema esclusivamente olandese perchè in tutta Europa i giovano si stanno radicalizzando. Però noi olandesi dobbiamo chiederci se negli ultimi anni non siamo stati troppo ingenui accettando per troppo tempo di accogliere chiunque si presentasse alle frontiere».
Le statistiche dicono che ci sono oltre 15 milioni di immigrati in Europa. E che almeno 10 sono musulmani: un numero pari alla popolazione del Belgio. Già con la prospettiva dell'adesione della Turchia all'Unione, paese musulmano con 82 milioni di abitanti, la questione islamica si poneva all'Europa intera e con urgenza. Il delitto Van Gogh, che segue il devastante attentato di Madrid, se possibile l'ha ulteriormente accentuata.
La lotta al terrorismo (che per essere efficace impone tra l'altro all'Europa di ricucire al più presto le relazioni transatlantiche) è la strada da battere ma da sola non basta a risolvere il problema del fondamentalismo islamico che ha messo radici nelle more di una società troppo distratta e autocompiaciuta di sè e del proprio benessere per perdere tempo a guardarsi intorno, a vedere e ascoltare il disagio degli altri che pure ha accolto tra le mura di casa.
Che fare? Sulle politiche di immigrazione, nonostante il gran parlare che se ne fa, l'Europa oggi è ben lungi dall'avere un approccio comune. Meno che mai ce l'ha quando si passa a ricette e regole di convivenza nei singoli paesi membri. La Francia per esempio è il campione delle politiche di assimilazione, che passano attraverso la scuola. La legge sul velo esprime al meglio l'approccio di uno Stato e di una società che si vogliono laici e portatori di un modello che tutti quelli che vogliono viverci devono accettare e rispettare.
Altri paesi, Gran Bretagma in testa, hanno optato per il sistema multirazziale e multiculturale, per l'integrazione soft. Che però, dopo l'11 settembre e la scoperta a Londra di centrali del terrorismo intemazionale teleguidate da imam radicali, ha imboccato la via del ripensamento. Come in Olanda dove il Governo finanzia scuole pubbliche confessionali, cristiane o musulmane senza distinzioni. Ma con comunità che, fondamentalisti a parte, spesso non vogliono integrarsi, non vogliono rinunciare ai propri valori e identità, meno che mai sposare quelli occidentali, non è e non sarà facile arrivare a un'intesa, che si usi la linea morbida o dura. L'unica cosa però è che ormai l'Europa non può più permettersi il lusso di ignorare la questione islamica. Perché i fatti dimostrano che la politica dello struzzo non paga. Anzi può anche trasformarsi in un boomerang mortale.
COSA DICE IL «MANUALE» EUROPEO
La Commissione Ue ha presentato un «manuale» di integrazione degli immigrati destinato alle autorità nazionali.
Inserimento
Il testo di Bruxelles si sofferma sulla necessità di garantire programmi iniziali di inserimento, corsi di lingua, corsi di formazione adeguati ai vari livelli di preparazione e qualifica, sottolineando anche l'esigenza di presentare e spiegare agli immigrati i valori di base della società in cui si apprestano a vivere attraverso l'educazione civica.
Religione
Un accento particolare è posto sulla partecipazione degli immigrati alla vita sociale e civica del Paese di adozione, che deve fare da volano all'integrazione economica. Il concetto su cui si insiste è quello della «cittadinanza attiva», condizionata tra l'altro dal dialogo interreligioso. Dato che «la religione svolge un ruolo positivo nel processo di integrazione», i govemi devono «offrire sostegno al dialogo interreligioso facilitando la creazione di piattaforme di dialogo e offrendo risorse finanziarie dove necessario».
Diritto di voto
L'altro cardine della partecipazione e della «cittadinanza attiva» degli immigrati dovrebbe essere la concessione del diritto di voto. La partecipazione politica deve passare, secondo la Commissione Ue, attraverso «la concessione dei diritti elettorali a tutti i residenti, almeno per l'elezione dei rappresentanti locali», e stabilendo regole chiare e non discriminatone per ottenere la cittadinanza, la nazionalità e la naturalizzazione, che sono elementi essenziali di integrazione.
Adriana Cerretelli
Il sole 24 ore, 11 11 2004