Piccolo esempio di identità nazionale vacante: una “smoking area” al congresso “degli italiani”
di PAOLO ARMAROLI
La nostra identità nazionale è un po’ come l’araba fenice: che ci sia ognun lo dice, dove sia nessun lo sa. Esempi, a bizzeffe. A partire da quella torre di Babele, che poi è il nostro Belpaese, nella quale la confusione delle lingue regna sovrana. Alla nuova Fiera di Roma, per dire, si è celebrato l’ultimo congresso di Alleanza nazionale, un
partito che la Nazione l’aveva nella stessa ragione sociale. Un funerale? Nossignori. Piuttosto un nuovo inizio. Tant’è vero che dietro il palco uno striscione gigantesco annunciava la buona novella: “NASCE IL PARTITO DEGLI ITALIANI”. Peccato che in una sala attigua campeggiava una scritta in controtendenza: “smoking area” anziché
“zona riservata ai fumatori”. Supponiamo che per coerenza Gianfranco Fini, che pure è un fumatore incallito, non abbia acceso neppure una sigaretta. Una supposizione, del resto, tutt’altro che infondata. Difatti al primo congresso nazionale del Pdl Fini è stato di una chiarezza assoluta. Il presidente della Camera ha tra l’altro affermato: “Dobbiamo in qualche modo offrire un grande sogno al nostro popolo. Dobbiamo, se volete usare un’altra espressione, dare un senso al nostro essere nazione. Dobbiamo ridare agli italiani il senso di appartenenza ad una comunità, e abbiamo il dovere di farlo non soltanto perché siamo alla vigilia di una ricorrenza storica: nel 2011 ricorre il 1500 anniversario dell’unità d’Italia. Dobbiamo chiederci che cosa significa essere italiani oggi. Dobbiamo chiederci che cosa significa l’Italia che verrà, che è alle porte delle nostre case”. E ancora: “l’integrazione è possesso dello strumento primo dell’integrazione, che è la lingua nazionale”. A proposito di lingua nazionale, si fa un gran parlare della legge sullo “stalking”, di recente approvata dai due rami del Parlamento. Interpellata al riguardo, il ministro per le Pari opportunità Mara Carfagna si è ben guardata dallo scimmiottare la lingua inglese. E ha preferito replicare, onore al merito, con una impeccabile versione italiana degna dello Zingarelli: “comportamento persecutorio consistente nel molestare un individuo con attenzioni indesiderate ed eccessive”.
Tuttavia una rondine non fa primavera. La società cosiddetta (chissà poi perché) civile, al pari della classe politica, spesso e volentieri preferisce usare forestierismi anche quando se ne potrebbe fare tranquillamente a meno. Perciò merita una speciale menzione un’iniziativa del Teatro stabile di Genova. Volta, nientemeno, a “Fare gli italiani”.
Come da programma: “Grandi Parole alla ricerca di un’identità nazionale”. Che una simile iniziativa sia stata presa nella città della Lanterna, non è sorprendente. Perché se a Quarto non si fosse imbarcato per il Meridione Giuseppe Garibaldi con i suoi Mille, non avremmo coronato il sogno dell’unità nazionale.
Così, dal 23 marzo al 6 aprile, alla Corte stanno andando in scena cinque rappresentazioni a ingresso libero. Circostanza – diciamocela tutta particolarmente apprezzata dai nostri concittadini, notoriamente parsimoniosi. Il lodevole proposito è quello di indagare le vie lungo le quali l’identità nazionale si è andata definendo nel corso di più di un secolo e mezzo di sofferta storia patria. La prima serata, dedicata ai progetti l’identità, è stata introdotta da Giovanni De Luna. Mentre gli attori Eros Pagni ed Elisabetta Pozzi hanno letto brani tratti da opere di Massimo D’Azeglio, Emilio Lussu, Benito Mussolini, Cesare Pavese, Carlo Levi, Luciano Bianciardi, Pier Paolo Pasolini, Giancarlo De Cataldo e Norberto Bobbio. Né poteva mancare – oltre a quelle sull’emigrazione, le guerre e le vie di comunicazione – una manifestazione centrata sulla scuola, la lingua e la cultura, introdotta da Tullio De Mauro. Nel corso della quale gli attori Laura Marinoni e Tullio Solinghi hanno recitato passi di Ignazio Buttitta, Cesare Pavese, Piero Calamandrei, Elio Vittorini, Italo Calvino e Umberto Eco. Siamo orgogliosi che una simile iniziativa sia stata realizzata nella nostra Genova.
C’è da augurarsi che non resti isolata e sia invece ripresa in ogni parte d’Italia. Perché finché non si riannoderanno a dovere i fili spezzati di un’identità nazionale fin troppo lacerata, ai nostri giovani sarà negato il futuro. E tutti noi, come temeva Indro Montanelli, diventeremo una massa informe di apolidi. Senza radici. Senza Patria. Oggetto della storia altrui.
(Da Il Secolo XIX, 2/4/2009).
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