E’ NECESSARIO ESSERE REALISTI PER DIFENDERE LA CULTURA EUROPEA
di Claude PIRON
UN CONTINENTE RIMPICCIOLITO
Al tempo dei nostri nonni l’Europa era vasta. Ma poi si è ristretta, si è rimpicciolita. La comunicazione telefonica internazionale a basso costo, il fax, il vivacizzarsi degli scambi commerciali internazionali e della vita delle istituzioni europee, L’innalzarsi generale del livello di vita e in più la crescita delle reti autostradale, ferroviaria ad alta velocità ed aerea, tutto ciò ha ridotto le distanze: più che mai i popoli stanno vicini gli uni agli altri. Questa vicinanza intensifica i problemi della vita culturale e interculturale. Tanto più gli uomini sono vicini, tanto più hanno bisogno di comunicare. Ed essendo uomini, essi comunicano con una lingua. Ma attraverso quale lingua?
Porre questa domanda significa mettere in evidenza il grave squilibrio che è avvenuto nella nostra evoluzione, soprattutto nell’ultimo secolo. L’intensificarsi della comunicazione, a cui abbiamo fatto allusione all’inizio, e puramente tecnico. Nel nostro modo di vivere la comunicazione non ci avviciniamo veramente tra di noi. Le nostre tribù sono forse più grandi di qualche millennio fa, ma il modo di pensare resta tribale. Da questo risulta un paradosso tanto complesso, che è appena possibile esprimerlo con parole.
Proverò a mettere un po’ di chiarezza in esso dividendolo nei seguenti quattro punti:
(1) Fisicamente e tecnicamente, i diversi popoli vivono tanto vicini I’uno all’altro, spesso perfino talmente mischiati, che, per cos dire, sono a stretto contatto di gomito.
(2) Essi conservano, l’uno riguardo gli altri e anche riguardo se stessi, pensieri e sentimenti tribali. Ne risulta che, quantunque siano costantemente a contatto, vivono uno accanto all’altro come unità separate, tra cui la comunicazione è minima.
(3) Questa separazione non e così completa, da impedire influenze.
(4) L’influenza non è reciproca.
In questa situazione complessa ci sono grandi pericoli, ma anche una sfida meravigliosa, che potrà portare l’umanità ad un grado di civiltà più alto di quanto non sia mai stato, se saprà comprendere la sfida e rispondervi.
UNA GIUNGLA LINGUISTICA
Il problema principale sta in questo, che la comunicazione tra i popoli avviene secondo la legge della giungla. La legge della giungla consiste in questo, che il più forte impone il suo modo di fare. La presa del potere da parte del più forte obbliga gli altri ad agire di conseguenza. Tra coloro la cui forza è sufficientemente alta, appaiono diverse rivalità e tentativi di ottenere una limitata sfera di potenza, insieme, in molti individui, con la tendenza ad imitare il meglio possibile il forte, che ha preso il monopolio. I deboli, d’altro canto, non sono stimati nè mai presi in considerazione.
Questa organizzazione della giungla è causa di molta sofferenza e angoscia, che tendiamo ad ignorare, almeno finchè non ne siamo vittime. Prendiamo un numero di Time, la rivista statunitense. La pubblicità recita : "Ho probabilmente mangiato qualcosa di avariato, mi potete aiutare a trovare un medico che comprenda l’inglese?" (1)
Possiamo facilmente raffigurarci la situazione: un turista in Portogallo, Moldavia o in una piccola isola greca prova improvvisamente un dolore insopportabile al ventre. Ha bisogno di un medico, con cui possa veramente capirsi, ma un tale dottore non si trova sul posto. L’angoscia prende il turista, sempre più oppressiva, con terribili pensieri di una probabile, prossima morte. Ma nessuno può aiutarlo.
Eccovi un secondo esempio, autentico: una donna rifugiatasi dal Kossovo in Svizzera. Essa parla solo l’albanese. Ha vissuto situazioni terribili, e ha bisogno di raccontarle.
Ma nessuno la capisce. Scoppia in lacrime, grida, ha attacchi isterici. Nessuno può aiutarla. Di fatto, avrebbe bisogno di una psicoterapia, che potrebbe ricevere nel centro psicosociale locale, pronto ad aiutarla gratis. Ma per questo sarebbe necessario poter comunicare con uno psicoterapeuta, cosa non possibile. Come esprimere la profondità della sua sofferenza? In assenza di un mezzo per comunicare, è stata murata in una terrificante solitudine. Situazione interculturale tipica del nostro tempo.
Come terzo esempio sceglierò una sofferenza in generale talmente accettata, che nessuno nemmeno si accorge che si tratta di sofferenza: la sofferenza di milioni di bambini, che si sforzano di assimilare una lingua straniera insegnata nella scuola. Certo, qualche bambino gradisce questo studio.
Ma per moltissimi altri è soltanto un tormento: assurde, capricciose regole senza una spiegazione accettabile. Settimana dopo settimana, ore di tormento. Settimana dopo settimana la sgradevole esperienza di sbagliare, la dolorosa esperienza di cadere in trappole, perchè non si riesce a ricordare o a stare attenti all’intera serie di obblighi arbitrari necessari non per comprendersi ma solo perchè la lingua è un dittatore che accetta che voi esprimiate a parole il vostro pensiero in un modo ma non in un altro. Una sofferenza per milioni di giovani uomini, una sofferenza in gran parte inutile, perchè solo una piccolissima percentuale di essi sarà mai capace di padroneggiare la lingua imparata con pena. Una sofferenza anche per l’insegnante, perchè non è piacevole far progredire tanto lentamente e faticosamente la classe. E’ tanto più piacevole insegnare qualcosa di facile!
UNA SOLA CULTURA SI IMPONE
Così si presenta il nostro mondo, dal punto di vista della comunicazione linguistica. Nella giungla culturale, in cui viviamo, la più forte, cioè la cultura angloamericana, impone la sua legge. Coloro che parlano inglese si permettono di non fare alcuno sforzo per comunicare, attendono e trovano normale che gli altri si rivolgano a loro in inglese. Accettando questa situazione noi accettiamo inconsciamente un messaggio, che nessuno dice mai esplicitamente, ma che ci influenza nel profondo della nostra psiche, cioè che i popoli non sono uguali in dignità. Gli uomini della casta superiore, i madrelingua inglesi, godono di privilegi che permettono loro di risparmiare molta fatica imposta agli altri, solo per il luogo di nascita.
L’organizzazione da giungla della comunicazione linguistica ha enormi conseguenze culturali, di cui i nostri popoli non sono coscienti. Tra le esportazioni degli Stati Uniti, gli articoli culturali stanno al secondo posto. Al secondo posto! E che cosa si trova sotto la voce "articoli culturali"? Di fatto, principalmente, videocassette e film, qualche rivista come Time e Newsweek e inoltre romanzi gialli, di spionaggio, di avventura, rosa non del massimo valore letterario. Non ho fatto statistiche, ma si dovrebbe calcolare la percentuale di libri nella serie Gialli Mondadori che sono mere traduzioni dall’inglese. Secondo la mia impressione, sono più dell’85%. Questi romanzi, questi film queste riviste, caratterizzati da un modo definito di pensare e di ordinare i valori, inondano il mondo. E lo cambiano.
Quando ero giovane e facevo conoscenza con la cultura asiatica, il tipo d’uomo, considerato eroe tipico dai cinesi di Singapore, era un individuo piccolo e grasso, non molto giovane, con un sorriso bonario, "un mento rientrante con grazia" (secondo la definizione di Lin Yutang) e gli occhi pieni dell’ironica intelligenza per mezzo della quale si toglieva da tutti i pericoli; i suoi muscoli, ammesso che li avesse, erano nascosti sotto uno spesso strato di grasso.
Ora, per influenza della cultura della giungla, che ha imposto i gusti americani, un siffatto eroe ha ceduto il posto, tra la stessa popolazione di origine cinese, ad uno giovane, di forte muscolatura, con mascella prominente, tratti severi, nemmeno un po’ di pancia e atteggiamento aggressivo. Qualcosa di simile accade ovunque nel mondo. La continua rappresentazione di modelli americani in televisione induce cambiamenti nel modo di pensare, cambiamenti sulla cui desiderabilità si può dubitare. Quei film di fatto tendono ad esaltare la violenza al di sopra della cortesia, l’azione immediata e istintiva al di sopra del pensiero e della meditazione, il rumore al di sopra del silenzio, la gioventù al di sopra dell’età matura: questa influenza cambia la ‘Weltanschauung’ di tutte le società, i cui valori tradizionali si sono meglio adattati alle esigenze di una vita felice e serena. E’ un’illusione immaginare che discutere quei film sia sufficiente ad annullarne gli effetti. Un film non tocca la parte razionale della nostra psiche, ma direttamente l’inconscio, che impressiona, allo stesso modo di una pubblicità che influisce non per il realismo delle sue asserzioni, ;una per il diretto, insidioso effetto di un’immagine e di uno slogan intenzionalmente concepiti per impedire l’obiettività e colpire subito la regione psichica delle emozioni, dove si formano le nostre preferenze. Non è un caso che sempre più spesso i candidati per i quali il popolo vota nelle elezioni politiche sono quelli che riescono ad avvicinare il proprio aspetto a quello degli eroi dei film polizieschi.
Una lingua è legata molto intimamente ad una cultura, perchè ogni lingua porta in se tutta l’atmosfera, tutta la visione del mondo, tutto il modo di percepirlo. Pertanto non è indifferente che in molte parti del mondo il sentire il bisogno di padroneggiare l’inglese spinga gli uomini a favorirlo troppo. Molti genitori vogliono che i loro figli comincino ad imparare l’inglese giù nella scuola elementare.
In Francia, il ministro della pubblica istruzione Uayrou ha preparato un protetto di legge con questo scopo. A Singapore, molte famiglie abbandonano la propria lingua, il cinese, il tamil, il malese, per passare all’inglese, immaginando che così i figli vivranno meglio. Questo è un esempio della tendenza che il nostro stimato amico Andrea Chiti-Batelli chiama glottofagismo, la tendenza a divorare le altre lingue. Per molti uomini nel mondo, in Africa abbondano casi di questo tipo, la propria cultura diventa estranea. Un po’ alla volta sono stati deculturizzati.
In Europa più del 90% degli studenti delle scuole superiori studia l’inglese . Questo significa che essi avranno appena un’occasione di un contatto con altre culture. In altre parole, saranno influenzati da un solo, definito modo di pensare e di sentire. Per la diversità delle culture questo è catastrofico.
Il pericolo che ne segue viene spesso citato da politici, professori, giornalisti ed intellettuali in genere. Ma che cosa fanno per cambiare la situazione ? Nulla, a parte parlare. Con belle frasi e ad alta voce essi proclamano l’assoluta desiderabilità di un continente diversificato linguisticamente e culturalmente: perfetto, ma queste belle parole non cambiano nulla perchè essi lasciano libera la tendenza della giungla di svilupparsi ancora. Di conseguenza ai giovani non resta altra soluzione che studiare l’inglese, il che è soltanto una pseudosoluzione, in primo luogo perchè la maggior parte della popolazione non padroneggerà mai realmente quella lingua, troppo difficile per essa, e in secondo perchè conoscere l’inglese non aiuta nella maggioranza delle situazioni interculturali.
MANCANZA DI RECIPROCITA’
Sia chiaro questo. Ciò che non va non è il fatto che la cultura più influente sia l’angloamericana. Ho un grande rispetto per questa cultura. Quello che trovo molto pericoloso, è che solo essa influenza il mondo in tal grado, praticamente da una posizione di monopolio. Persino in Corea, persino in Kenia, persino in Brasile guardano Dallas e Dynasty. Probabilmente molti di voi hanno visto quei film, ma quanti di voi hanno gustato per televisione sceneggiati coreani, kenioti o brasiliani? Il pericolo è che manca completamente la reciprocità. Se questa esistesse, ciascuna cultura influirebbe su tutte le altre con il massimo vantaggio della ricchezza culturale mondiale. Ma non è così: attualmente, con rare eccezioni, gli americani praticamente non assistono a film di altri paesi, non ascoltano canzoni straniere, non prendono parole dalle altre lingue, come poco tempo fa ha constatato un giornalista americano (2).
Abbiamo dunque una situazione in cui una cultura corrode dal di dentro tutte le altre, ma non accetta influenza da esse. Ne deriva che non si può assolutamente sviluppare la reciproca fecondazione delle civiltà, che potrebbero condurre l’umanità ad una vita culturale ricchissima e all’ampliamento della immaginazione necessaria per escogitare soluzioni ai molti problemi, che affliggono il nostro pianeta.
L’uomo diventa sempre più ad una sola dimensione.
PAURA DELLA REALTA’
Come è stata possibile questa pericolosissima evoluzione?
Secondo me, si deve a tre tipi di paura: paura della realtà, paura del cambiamento, paura della libertà.
E’ più piacevole nutrire belle illusioni che affrontare spiacevoli fatti. Uno di questi fatti, che i governi e il pubblico non vogliono guardare in faccia, è che una lingua nazionale di una famiglia diversa da quella della propria e troppo difficile perchè uno possa veramente padroneggiarla, tranne che in questi casi eccezionali. Per padroneggiare, non perfettamente ma tuttavia padroneggiare, una tale lingua, sono necessarie come minimo 10.000 ore di studio e pratica, come mi hanno rivelato delle ricerche, il cui risultato ho riassunto in un libro apparso in commercio da quest’anno. Calcolate quanti anni scolastici sarebbero necessari per far avere ai giovani tante ore di lezione!
Un altro fatto, che in generale ci si rifiuta di affrontare, è che, a causa di questa difficoltà, la maggior parte degli uomini, che hanno bisogno di comunicare con qualcuno di un’altra lingua, non possono farlo senza un aiuto per la comprensione. L’idea che con l’inglese sia possibile cavarsela ovunque ú non regge affatto alla verifica dei fatti.
Soltanto una piccolissima frazione della società mondiale è capace di usare l’inglese (nell’Europa Occidentale, soltanto il 6% secondo una recente inchiesta).
In più del 90% dei casi, quando due persone di diversa lingua si incontrano, non riescono a parlarsi facilmente e fluentemente.
Terzo fatto, che la nostra società rifiuta di guardare in faccia, è l’esistenza di un sistema di comunicazione, che funziona molto meglio dell’inglese e della traduzione simultanea, quantunque richieda molto meno fatica, tempo, denaro e altri investimenti. Questo sistema si chiama Esperanto. Ma non si vuole vedere questa realtà. Perchè? Passiamo così alla seconda fondamentale paura: la paura del cambiamento.
PAURA DEL CAMBIAMENTO
Se l’Esperanto vale molto, se risolve insomma il problema della comunicazione e, attraverso questo, il problema della cultura, se permette di uscire dalla giungla e avere rapporti umani, con una giusta attenzione ai piccoli, ai sofferenti, agli scolari, al turista in posizione sfavorevole all’imprenditore in una trattativa delicata con un partner di altra lingua, ecc., se inoltre favorisce anche la reciprocità, su scala mondiale, nelle influenze culturali, noi abbiamo un dovere morale di adottarlo. E questo significa cambiare tutto il nostro modo di concepire l’organizzazione linguistica del mondo. Ad un simile cambiamento le società umane resistono strenuamente.
Così hanno resistito per esempio alle cosiddette cifre arabe. Le cifre arabe sono una scoperta eccezionale. Grazie allo zero, tutte le cifre delle decine stanno allo stesso posto, cosicchè è possibile addizionarle senza alcun problema. Le cifre arabe hanno democratizzato il calcolo. Grazie a loro bambini, agricoltori, piccoli artigiani hanno potuto fare calcoli che prima erano riservati agli specialisti di matematica, Ma questo sistema di calcolo, senza cui la scienza e la tecnica non esisterebbero nella forma attuale e i computer non potrebbero funzionare, ha dovuto combattere per quattro secoli in Europa per scalzare le cifre romane. I suoi sostenitori venivano derisi e questo sistema fu persino proibito in più luoghi. Un altro esempio è il sistema metrico. Soltanto negli ultimi decenni paesi come il Canada, l’Australia, la Nuova Zelanda lo hanno adottato. Gli Stati Uniti resistono ancora contro di esso. In modo simile , la resistenza contro un’ortografia pratica e coerente raggiunge livelli incredibili in paesi come la Francia e la Gran Bretagna, quantunque il modo di scrivere locale crea a milioni di uomini molte sofferenze e fatiche inutili, grandi sensazioni di inferiorità, talvolta la non assunzione in un impiego, per il quale il candidato è idoneo pur avendo semplicemente un cervello che non riesce ad assimilare le assurdità arbitrarie che secoli di incoerenza hanno lasciato nell’ortografia. Riguardo a ciò, è interessante constatare che i paesi maggiormente propensi a resistere ai cambiamenti nell’ortografia o nei sistemi di misura sono quelli che sono o immaginano di essere i forti nella giungla. Un potente vuole aspettare che la realtà si adatti a lui, non lui alla realtà.
PAURA DI ESSERE LIBERI
Probabilmente molti di voi hanno trovato strano il mio riferimento alla paura di essere liberi. Nessuno, uomo o donna, avrebbe il coraggio di confessare di temere la libertà, Ma se si esplora un po’ più in profondità dei livelli superficiali della psiche umana, si `constata che questa paura è frequente e intensa.
La lingua è un campo in cui essa agisce con particolare forza. Ci si spiega con il sistema autoritario con cui abbiamo appreso la nostra lingua materna. Quando un bambino fa un errore linguistico, i genitori lo correggono. Ma se il bambino domanda: "Perchè non si può dire così?" la sola risposta è: "Perchè è così". Il bambino dunque deve imparare a soffocare la sua naturale tendenza a comportarsi in modo logico, creativo, deduttivo, libero. Noi abbiamo dovuto rinunciare cos tanto alla nostra spontaneità, e dunque a noi stessi, per accettare questo modello autoritario, che poi non abbiamo più il coraggio di tornarci con il pensiero. Che una certa forma sia permessa, e un’altra no, non riguarda in alcun modo la funzione della lingua, cioè comunicare. Se io dicessi: "Se avrei dei soldi, farei questo e anche questo" voi mi comprendereste perfettamente. Ma io non posso dire "Se avrei", devo dire: "Se avessi" . In modo simile, in una società primitiva potete percorrere questa strada, ma non quest’altra, essa è tabù. Nessuno sa il perchè, e se qualcuno non osserva il tabù, non succede nessuna catastrofe. Ma di generazione in generazione si è trasmesso il non compreso, non comprensibile, non razionale divieto. Allo stesso modo e per la lingua. Essere liberi, in una lingua, sarebbe commettere un sacrilegio contro gli antenati.
Su scala nazionale, questo divieto di essere liberi è per lo più ottimo. Rispettare gli antenati è rispettare la nostra cultura, la nostra identità. La funzione di una lingua nazionale è più che comunicare, è anche trasmettere bellezza. Ma in ambito internazionale questo non è più valido.
Perchè in ambito internazionale non è possibile rispettare la bellezza. Dopo 2000 ore di studio, un italiano o un finlandese medio, che provano a discutere in inglese, usano una deformazione abominevole dell’inglese: fanno sacrilegio agli antichi angli, sassoni e normanni. In ambito internazionale è preferibile e più rispettoso verso tutti usare una lingua che sia il più possibile libera, affinchè gli uomini di tutte le culture si sentano in casa propria con essa. Tale è l’Esperanto.
In francese dovete dire egli mi ringrazia, in inglese egli ringrazia me, in tedesco egli ringrazia a me. In Esperanto è lo stesso, che voi diciate li dankas min, li min dankas o li dankas al mi Siete liberi. Allo stesso modo siete liberi di tradurre ‘sono venuto a Vicenza in treno’ a vostro piacere: mi venis al Vicenza per trajno, mi venis Vicenzan en trajno, mi venis trajne, mi trajnis ecc. (5). Un secolo di uso prova che questa libertà non ostacola la comprensione reciproca, ma la rende più facile, permettendo a ciascuno di seguire la strada che il processo di formazione delle parole ha spontaneamente e naturalmente scelto nel cervello. L’Esperanto libera la mente, perchè non obbliga a seguire strutture prefissate. Questo è uno dei suoi grandissimi vantaggi. Ma molti uomini, appreso questo, trovano questa libertà pericolosamente insicura. Noi siamo stati talmente condizionati a credere che una sola forma linguistica o struttura fosse giusta, che abbiamo bisogno di fare un certo salto psicologico per accettare che esistono migliaia di modi per esprimere con parole il nostro pensiero, tutti ugualmente buoni e efficaci. Si, la paura della libertà è uno dei motivi per cui il mondo teme di vedere come la comunicazione funziona in Esperanto a confronto con gli altri sistemi.
FORSE GLI UOMINI SI MOSTRERANNO SAGGI…
Le nostre società resteranno imprigionate nelle loro paure? Troveranno in loro il coraggio di cessare di temere la realtà, e dunque di guardarla, di cessare di temere il cambiamento, e dunque di accettare di sostituire il sistema
della giungla con un sistema veramente umano, di cessare di temere la libertà e di organizzare la comunicazione linguistica con quella, tra le lingue, che lascia alla mente e al cuore la più grande libertà, il maggior numero di possibilità di essere spontanea, creativa e giocosa e tuttavia completamente efficace? Nessuno può prevederlo. Vedremo. Confesso che personalmente sono ottimista.
Perchè? Perchè secondo me gli uomini non sono stolti. Essi si comportano stoltamente all’inizio, quando le paure sono così forti, che bloccano l’intelligenza. Ma quanto più tempo passa, tanto più aumentano i non timorosi, che hanno il coraggio di andare a vedere come stanno realmente le cose. Nell’ultimo decennio, il numero dei linguisti, intellettuali, politici con posizione favorevole all’Esperanto è cominciato a crescere. Molti constatano che l’Esperanto non è un mostro, ma un amico che permette a ciascuno di essere
fedele alla propria lingua, alla propria identità e alla propria cultura, e tuttavia di comunicare in eguaglianza con altri uomini fedeli allo stesso modo alla propria lingua, identità e cultura.
Quando sempre più uomini saranno coscienti che linguisticamente i popoli vivono in una giungla con molti pericoli per la loro identità e sopravvivenza, ma che una piccola frazione dell’ umanità è riuscita a sostituire i rapporti della giungla con rapporti umani, che possono essere ottenuti in tempi relativamente brevi e senza grande fatica e sono psicologicamente più gratificanti della partecipazione alla vita della giungla, allora essi sempre più obbligheranno coloro che prendono decisioni ad alto livello ad affrontare la realtà. Probabilmente allora si confronteranno i due sistemi linguistici internazionali, quello della giungla e quello dell’Esperanto, e ci si accorgerà che nel secondo fioriscono diversità e reciprocità delle influenze culturali
Politici e giornalisti hanno a questo riguardo un’impressionante responsabilità. Da loro per lo più dipende la presa di coscienza della società. Da loro dipende se durerà ancora il monopolio dell’inglese o se ritornerà la diversificazione nell’insegnamento scolastico delle lingue. Poichè un anno scolastico è sufficiente per padroneggiare l’Esperanto, se si coordinasse il suo insegnamento internazionalmente, dopo quel solo anno gli scolari potrebbero studiare un’ altra lingua straniera, secondo la loro preferenza. Apparirebbe, riapparirebbe, l’interesse per l’italiano, per il francese, per il greco, forse perfino per lingue culturalmente importanti come il russo, il persiano, il cinese ecc. Che novanta scolari su cento scelgano oggi l’inglese è dovuto non all’interesse per la cultura inglese, ma soltanto al desiderio di disporre di un mezzo di comunicazione internazionale. Se il mezzo di comunicazione internazionale sarà l’Esperanto, l’apprendimento delle lingue si svolgerà in un atmosfera completamente diversa. Lo studio di una lingua nazionale straniera avrà uno scopo puramente culturale. Non si cercherà tanto di usare attivamente la lingua, quanto di comprenderla e di accedere ai valori culturali che porta.
L’Esperanto permette di uscire dalla giungla. Permette di dare alle culture deboli, ma piene di tesori, tanto quanto a quelle che dominano con il denaro. Molti uomini, per esempio, hanno scoperto la letteratura ungherese attraverso l’Esperanto. Si, l’Esperanto permette di uscire dall’ambiente selvaggio della giungla attuale e di avere rapporti in uguaglianza, efficienza, piacevolezza, libertà, con giusta reciprocità, in una parola: umanamente. Scommetto che la società, un giorno, se ne accorgerà, e deciderà di conseguenza.
NOTE
1) Time, nø 30, 25 luglio 1994, pagg. 8 e 9
2) Nicholas D. Kristof, "Benefits of Borrowing Le Bon Mot", Internatinal Herald Tribune, 25 luelio 1994
3) Claude Piron, Le d‚fi de langues L ‘Harmattan Parigi 1994, pagg. 76-94
4) Mark Fettes "Europe’s Babylon: Towards a single European Language?" History of European Ideas, 199l, 13, 3, pagg. 201-202.
5) Ndt: una traduzione ultraletterale delle frasi riportate in Esperanto sarebbe: sono venuto a Vicenza per mezzo del treno, ho venuto Vicenza in treno, sono venuto trenamente, sono trenato.