L’Europa della sicurezza a guida francese
Difesa: perché l’Italia fa bene ad aderire alla E2I francese
Lo scorso settembre il governo italiano ha annunciato l’adesione alla European Intervention Initiative (E2I) “fornendo la peculiare competenza nazionale nel settore securitario nella regione del Mediterraneo”. Superate le numerose perplessità iniziali, l’Italia diventa dunque l’11mo membro del club di Paesi creato dalla Francia, di cui fanno già parte Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito e Spagna e in cui sta entrando la Svezia.
A poco più di un anno dal suo lancio da parte del presidente Emmanuel Macron, la E2I continua a destare perplessità, tanto nelle finalità quanto nel suo rapporto con altre iniziative in materia di difesa già lanciate dall’Ue. Tuttavia, l’adesione italiana rappresenta una scelta necessaria da cui possono derivare considerevoli benefici.
Innanzitutto, la E2I costituisce un tavolo strategico al quale siedono già tutti gli altri grandi Paesi europei e l’Italia non poteva, né doveva, astenersi dal prendervi parte, considerando che le posizioni lì discusse e le decisioni eventualmente prese avranno un impatto sugli interessi italiani. Rimanendo assente, Roma avrebbe rischiato, infatti, l’esclusione da eventuali operazioni congiunte ivi decise, verosimilmente al di fuori dei quadri Nato e Ue, in aree strategicamente rilevanti, nonché l’indebolimento di alcuni partenariati militari e industriali di vitale importanza per il Paese.
Le ambizioni francesi
Nata per volontà di Macron nel giugno 2018, la E2I mira a coordinare l’azione di un limitato gruppo di Stati che dimostrino la “volontà politica” e la “capacità militare” necessaria per “imbarcarsi in operazioni volte a salvaguardare la sicurezza europea”. Parigi si riserva il ruolo di coordinatore e la facoltà di invitare i Paesi ritenuti idonei ad aderire all’iniziativa. L’idea di un club ristretto a guida francese riflette i dubbi che l’Eliseo ha avanzato circa l’istituzione della Permanent structured cooperation (Pesco), giudicata troppo inclusiva per essere sufficientemente ambiziosa, vista la partecipazione di 25 membri.
Inoltre, la E2I, pur aspirando ad essere complementare alle iniziative già presenti in ambito Ue, ne è estranea dal punto di vista giuridico e istituzionale, tanto che anche Paesi terzi possono prendervi parte a pieno titolo – come sarà il caso della Gran Bretagna in uno scenario post-Brexit.
Esserci per farsi sentire
Data l’adesione all’iniziativa degli Stati europei più attivi nelle missioni internazionali e all’avanguardia nel settore dell’industria della difesa, parteciparvi attivamente può presentare benefici importanti per l’Italia. Benché la cooperazione si basi su una organizzazione minima e preveda solo incontri a livello ministeriale, farvi valere costruttivamente le proprie posizioni può portare a una situazione più produttiva anche all’interno dei più strutturati forum Ue.
È infatti lecito aspettarsi che alcune posizioni concordate tra i Paesi della E2I saranno poi sostenute in blocco anche in sede negoziale rispetto a missioni Ue e/o progetti Pesco, visto il focus operativo-militare dell’iniziativa, ma non sono escludibili effetti a cascata anche sul Fondo europeo per la Difesa.
Lo spettro della Brexit e la necessità di partnership con Londra e Parigi
Poiché la E2I potrebbe favorire sinergie piuttosto marcate nel gruppo di Paesi che vi prendono parte, la partecipazione dell’Italia risulta ancora più importante qualora il Regno Unito, in seguito alla Brexit, dovesse guardare con favore ai partner E2I per mantenere o rilanciare una serie di partenariati militari e/o industriali. Come dimostrato dalla recente adesione al programma Tempest, l’Italia ha molto da guadagnare da cooperazioni solide con partner storici come la Gran Bretagna e svilupparle in tutti i tavoli rilevanti, inclusa l’E2I, dovrebbe essere uno dei capisaldi della politica di difesa di Roma.
Inoltre, mutatis mutandis, prendendo parte all’iniziativa francese l’Italia potrebbe contare su un importante strumento di negoziato e di collaborazione con Parigi, anche considerando le poste in gioco, in primis in campo navale. In altre parole, partecipare attivamente e a tutto campo alla E2I vuol dire anche cercare di sfruttare, rispetto alla Francia, le leve negoziali che dovrebbero far parte di una strategia complessiva del sistema-Paese.
Cultura strategica e operazioni congiunte, l’esperienza italiana
Basandosi su una “ambiziosa vocazione operativa”, la E2I ha come obiettivo di lungo periodo quello di istituire una “cultura strategica condivisa” che crei “i prerequisiti per operazioni militari congiunte” all’interno di “Nato, Ue, o coalizioni ad hoc”. Un obiettivo condivisibile e importante, che però riflette anche un preciso malcontento di Parigi per la mancanza di supporto da parte degli altri Paesi europei in missioni militari in Africa.
La vocazione operativa, insieme al preponderante orientamento verso il vicinato meridionale dell’Europa, sono in linea con le priorità della politica di difesa italiana. Infatti, Roma si è battuta negli ultimi anni affinché venisse posta la giusta enfasi sul cosiddetto “fianco Sud” da parte sia Nato che Ue, ottenendo anche importanti risultati, come l’hub Nato per il sud a Napoli. Tramite il dialogo nel E2I si può contribuire alla creazione di una cultura strategica europea attenta al sud e in cui la cooperazione Nato-Ue sia centrale, data l’adesione della maggior parte dei Paesi europei ad entrambe e l’importanza data dall’Italia all’equilibrio tra integrazione europea e coesione transatlantica.
Sul piano operativo, va ricordato che le missioni messe in piedi da Francia o Ue in Africa sono orientate a stabilizzazione, ricostruzione e Security force assistance, ambiti nei quali l’Italia ha una comprovata esperienza, soprattutto nel Mediterraneo allargato. Pertanto, contribuire a pianificazione, comando e realizzazione di missioni di questo tipo all’interno della E2I ne aiuterebbe sicuramente l’efficacia per la stabilità e sicurezza regionale, anche facendo sentire il proprio dissenso qualora fossero giudicate dannose o mal congegnate.
Il pensiero va ovviamente all’intervento militare in Libia del 2011, pensato e voluto da Parigi nel modo che ha dato luogo alla disastrosa situazione libica degli ultimi otto anni. Ragionare prima, e insieme, sul se e come intervenire militarmente, con quali scopi e alleanze, non è solo un fatto operativo, ma ha anche un risvolto politico-strategico della massima importanza per la sicurezza nazionale. Questa convergenza a monte manca tuttora a Italia e Francia, e in generale all’Europa, di fronte a conflitti come quello libico o siriano.
I quesiti aperti sulla E2I restano molteplici, così come i dubbi sulla sua capacità di rafforzare i meccanismi Nato e Ue, oltre che la cultura strategica e il coordinamento politico-militare tra gli europei. Tuttavia non è criticando dal di fuori che si può far prendere alle cose la piega che si vorrebbe o, perlomeno, evitare che ne prendano una dannosa. Il ministro della Difesa Lorenzo Guerini ha parlato della E2I come di un’iniziativa nata da “una forte volontà politica e che intende rafforzare la Nato e l’Ue”: se l’Italia vuole davvero far sì che ciò avvenga, cercando al contempo di non perdere le occasioni che possono generarsi, deve attrezzarsi per far sentire la sua voce all’interno del club.
Francesco Pettinari, Alessandro Marrone | affarinternazionali.it | 28.10.2019