Nessuna violazione dei «principi dello Stato di diritto resterà impunita, anche perché nessuna infrazione sfuggirà all’applicazione del regolamento», dice al Corriere il presidente del Parlamento europeo David Sassoli. Presidente Sassoli, il tema dello Stato di diritto non era mai stato così centrale nel dibattito politico in Europa. Perché proprio oggi?
«Perché c’è l’idea che senza una ferma difesa dei valori fondamentali l’Europa possa perdere identità e funzione. Se questo avvenisse vi sarebbero effetti catastrofici. Non saremmo più in grado di sostenere che la democrazia è il sistema che meglio accompagna il desiderio di libertà, giustizia e benessere delle persone, di difenderci dalle ingerenze dei regimi autoritari, di far valere la nostra identità nelle relazioni internazionali. E metteremmo in discussione lo spirito di solidarietà che sta accompagnando l’uscita dal Covid. Non saremmo più niente. E tutto questo avrebbe anche una ricaduta sul processo di ricostruzione».
In che senso, cosa c’entrano libertà d’informazione, indipendenza della magistratura e leggi antidiscriminatorie con il Recovery Plan?
«Democrazia e Stato di diritto sono la nostra carta d’identità. Oltre a garantire uno spazio di libertà unico al mondo, i principi fondanti dell’Europa producono anche regole, meccanismi di concorrenza e sistemi di protezione sociale che generano sviluppo, redistribuzione e lotta alla povertà. Tutto questo ha un alto valore economico e in questo momento garantisce anche i contribuenti sull’uso del debito comune. Se i giudici non sono indipendenti e la stampa non può assicurare il suo ruolo di critica del potere, i cittadini subiscono una restrizione delle loro libertà e i nostri Paesi un pregiudizio irreparabile. Chi potrà avere fiducia in quel determinato Paese e di conseguenza nell’Unione? Forse i regimi autoritari, pronti magari a comprarci. Il mercato interno, che è un elemento di forza del modello europeo perché protegge la nostra sovranità, ne sarebbe colpito alle fondamenta».
Ursula von der Leyen ha nuovamente definito «una vergogna» la legge ungherese and Lgbt.
«Lo ha detto anche il Parlamento europeo giovedì con un voto a larga maggioranza chiedendo di applicare subito il nuovo meccanismo di protezione del bilancio e dei valori Ue. La legge ungherese equi- para omosessualità e orientamenti sessuali alla pornografia e usa la protezione dei bambini come pretesto per discriminare le persone sulla base del loro orientamento sessuale. Tutto questo è contrario ai nostri principi sul Aspetto delle minoranze, dell’uguaglianza e della dignità umana. Siamo determinati nel difendere con forza l’articolo 2 del nostro trattato».
La presidente della Commissione ha annunciato che le prime procedure d’infrazione partiranno in autunno. Non bisognerebbe muoversi più rapidamente?
«Io ho piena fiducia che la Commissione rispetterà il suo impegno a difendere i principi dello Stato di diritto. Probabilmente dal punto di vista della procedura e dei tempi si dovrà tener conto anche della decisione della Corte di giustizia alla quale si sono rivolte Polonia e Ungheria. Ma questo non implica posticipare le linee guida che possono consentire alla Commissione già dopo l’estate di inviare le lettere indicando le infrazioni». In luglio la Corte costituzionale della Polonia potrebbe decidere di ignorare le misure ordinate dalla Corte di Giustizia europea in difesa dell’indipendenza dei giudici. Quanta pazienza è ancora possibile avere verso questi Paesi? «Ricordiamo che il diritto europeo è superiore al diritto nazionale. Per rispondere poi a gravi violazioni dei principi fondamentali i trattati prevedono l’applicazione dell’articolo 7. Su questo chiediamo coerenza ai governi: spetta al Consiglio europeo decidere sulla procedura in corso. Non basta indignarsi. Parlamento e Commissione chiedono al Consiglio meno dichiarazioni e più decisioni. Anche per evitare, citando Fabrizio de André, un Consiglio che “si costerna, s’indigna, s’impegna, poi getta la spugna con gran dignità”».
Eppure, nell’Europa di oggi molti chiedono la difesa della propria identità contro l’omologazione del «SuperStato bruxellese».
«Un conto è il rispetto delle differenze nazionali, culturali, che sono un arricchimento per l’Europa e che ben si riassumono nel nostro motto “uniti nella diversità”. Su questo noto una riflessione in corso anche in gruppi che un tempo volevano dividerci e ora invece chiedono un’Europa più governativa e meno federalista. Discutiamone. Altra cosa è se autorità locali, invece, dichiarano il loro territorio come “Lgbt free zone”. Quando sento parlare di zone “libere da qualcuno” mi vengono in mente i nazisti, che nel 1942 dichiararono Belgrado prima città “Judenfrei”. In Europa i diritti di ogni persona sono diritti di tutti. Da noi non possono esservi discriminazioni su base politica, religiosa, etnica o di orientamento sessuale. Punto. Bene che la Commissione abbia dall’inizio dell’anno aperto circa 4o casi di infrazione legati alla protezione dello Stato di diritto. 11 Parlamento farà la sua parte».
Non si rischia un dibattito europeo troppo autoreferenziale sui valori?
«No. Questo dibattito serve all’Europa per rafforzare il proprio ruolo. Forse non tutti si rendono conto di quanto l’Europa sia un punto di riferimento nel mondo. E lo è per i valori che esprime, per il suo sistema democratico e il suo modello sociale. Siamo uno spazio di libertà e benessere guardato con ammirazione. Giorni fa ho ricevuto una petizione sottoscritta da 270 mila cittadini europei per sostenere la cittadinanza italiana a Patrick Zald. Io appoggio questa richiesta, perché diventare cittadini italiani significa diventare cittadini europei e così avremo più possibilità di proteggere un ragazzo che ha studiato nelle nostre università, si è formato alimentandosi dei nostri valori ed è crudelmente punito per averli difesi. Se abdicassimo sui valori tradiremmo Patrick e tutti coloro, dalla Bielorussia alla Cina all’America Latina, che hanno fiducia nell’Europa dei diritti e della democrazia».
Paolo Valentino | Corriere della Sera | 10.07.2021